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Se Berlusconi fa schifo Diliberto che fa? Serve un’ Autority? Chiediamolo a Berlusconi. Feb 21 2007 12:00AM - (Arcore (Mi)) Dopo l’espressione offensiva
pronunciata da Diliberto al suo indirizzo, abbiamo immaginato di intervistare
il Cavaliere. Ne è venuto fuori un pezzo che con ogni probabilità Berlusconi
approverebbe, almeno nelle sue linee essenziali. ♫ ▪ Cavaliere, Diliberto ha detto che lei fa
schifo. Cosa gli risponde. Mi consenta, non desidero
rispondere alle provocazioni dei comunisti. Questo Diliberto poi, nemmeno lo
conosco. Credo si tratti del solito politico che non ha mai lavorato in vita
sua. ▪ Cavaliere, mi permetta di dissentire, lei Diliberto lo conosce e come,
ci ha fatto anche qualche testa a testa in TV, ma
soprattutto lo ha criticato personalmente, fin dai tempi di Oshalan e della
Baraldini. Ricorda? E poi Diliberto ha lavorato e
lavora: è professore universitario. Si, ora che mi ha richiamato alla mente quei nomi, mi
pare di ricordare qualcosa; se non altro… il disgusto. Credo sia un cittadino
sardo che lavora all’università, non so in che ruolo.
C’è gente che fa l’usciere al ministero delle finanze e al suo paesino sanno
che è direttore della Banca d’Italia. Potrebbe anche fare il prof., come tanti. Cosa vuole che le
dica? Non comprendo comunque tanto
scalpore. Non è la prima volta che Diliberto mi insulta
pubblicamente. Al congresso dei Comunisti Italiani nel ▪ Cavaliere, a noi, cioè ai nostri lettori,
interessa sapere cosa direbbe lei a Diliberto, dopo che le ha detto che fa
schifo. Se vuole farmi dire che
Diliberto fa schifo, non ci riuscirà, l’avverto subito. Lo schifo ci circonda, fa schifo
chi fa e dice cose schifose, non fa schifo chi si adopera per ripulire lo
schifo. E siccome la politica è scaduta a livelli di inciviltà
massiccia, dando luogo ad uno scontro aperto e
permanente, in Parlamento e nelle piazze, nei media e nei cantieri, forse sarà
necessaria un’altra Autority con poteri
speciali per fare dietrofront e
calmierare gli aspetti pubblici della politica. ▪ Ma lei, scusi, una cosa a Diliberto la vuole
dire, in risposta alla pesante critica che le ha rivolto? Del resto non è bello
sentirsi dire cose del genere. Guardi, non intendo discutere
sui gusti personali del signor Diliberto. Nessuno può obbligare nessuno a
prediligere una cosa anziché un’altra. La patologia consiste nel fatto che il
signor Diliberto ha usato i suoi gusti personali per offendermi pubblicamente,
forse per occupare
per qualche giorno uno spazio nelle cronache, ma sicuramente per incitare
all’odio di classe indicando ancora una volta chi è, secondo la vulgata
comunista, il principale responsabile di tutti i mali italiani. Capisco quelli che non hanno uno spazio proprio e
cercano tutti i mezzi perchè si parli di loro. Ma non
c’era ragione che dichiarasse in modo così aperto che
faccio schifo. A me per esempio fanno schifo i comunisti, ma non l’ho mai detto
davanti alle telecamere. Avrò detto che condanno la
loro storia, il loro modo di fare, che condanno le cose che fanno e le loro
doppie verità; ma non ho mai detto che fanno schifo. E
non dirò mai che Diliberto fa schifo. Al massimo possono farmi schifo le cose
che dice. ▪ Lei pensa dunque che l’espressione offensiva pronunciata da Diliberto
nei suoi confronti rappresenti una evoluzione nello
scontro politico? Se così fosse, la prossima volta
dovrebbe aspettarsi una pallottola? Lei avrà saputo, spero, che il mio nome, la mia casa
e le mie aziende erano iscritti negli elenchi sequestrati di recente agli arrestati delle
nuove Birre tra i quali, come lei sa, ci sono degli affiliati alla CGIL. Questa, purtroppo, non è
una novità. Quindi non è affatto sbagliato quello che
lei dice. Del resto il sindacato in genere è un brodo di coltura efficace,
proprio per la funzione che svolge, di contestazione mediante slogan scritti
sui muri a caratteri cubitali ed urlati dagli arruffa popolo. Il sistema sindacale, di accusare sempre il padrone e
difendere ad oltranza i lavoratori, produce slogan.
Gli slogan ripetuti e imparati a memoria dagli attivisti alla lunga producono
violenza. Ne hanno fatto le spese Dantona e Biagi. La cosa che più sconcerta,
parlo di Epifani adesso e di Cofferati allora, è la
sicurezza e la determinazione con cui i capi del sindacato di sinistra ogni
volta respingono le loro responsabilità. Addirittura subito dopo la morte della
vittima designata, sono i primi a fare le condoglianze
alla vedova. Non hanno mai voluto ammettere che se nelle strutture sindacali a
livello locale, provinciale
e regionale, si predica l’odio di classe, si applaudono certe
manifestazioni al di sopra delle righe, si lasciano senza controllo gli
agitatori, non è difficile immaginare che quelle strutture possano diventare
potenziali palestre di allenamento per rivoluzionari, per sovversivi e, come
abbiamo visto, per sedicenti brigatisti. Guido Rossa, ad esempio, trovò la
morte, perché ebbe il coraggio civile di denunziare un brigatista rosso
sindacalista della CGIL. Ma fu messo da
parte dal sindacato e praticamente fu considerato “morto”, almeno come
sindacalista, ancora prima che le Birre lo uccidessero. Ricorderà che all’epoca delle manifestazioni contro
l’articolo 18, fu persino aperto un fascicolo su Cofferati con l’ipotesi di istigazione per l’attentato al prof. Biagi. Cofferati in un memorabile discorso al termine di una
manifestazione aveva infatti bollato Biagi come nemico
dei lavoratori. E gli slogan pronunciati dai capi, si
sa, non rimangono lettera morta. Il procedimento fu poi archiviato. Come si fa
a dimostrare la responsabilità diretta in questi casi. Si naviga sul filo delle
ipotesi. Ora forse è il mio turno, mi
vogliono far diventare un eroe. Io ho solo indicato agli Italiani i mali
che ci affliggono, ho
accusato i responsabili di questi mali ed ho suggerito la cura. Questa è la mia colpa più grande, dopo quella di essere ricco, naturalmente.
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