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A proposito di eutanasia Vivere: tra diritto ed obbligo Mar 28 2007 12:00AM - Avv. L. Carosella (Rieti) Quando il direttore della rivista mi ha sollecitato di scrivere un pezzo sull’Eutanasia non vi nascondo che ho avuto una stretta allo stomaco per l’enormità dell’argomento e della complessità dei profili che vi si intersecano. Impossibile toccare ognuno di essi: morale, etica, filosofia, religione, legislazione e quanto ad essi correlato.
Come è impossibile fare sintesi del dibattito che nei vari ambiti, da anni, studiosi di tutte le discipline, anche in modo acceso, sostengono le rispettive tesi, tutte rispettabili ma che lasciano senza soluzione il dilemma. E’ probabile che non via sia una posizione più giusta delle altre, non potendosi pensare ad una uniformabilità delle coscienze che transiterebbe per una omologazione che comunque non è auspicabile.
E allora quale taglio dare a questo scritto?
L’unico che ho ritenuto più alla mia portata è una sorta di osservazione dal basso, ossia il proprio soggettivo sentire in relazione al bene vita e a come, chi scrive, si confronta nel proprio immaginario, con la possibilità di trovarsi in quella condizione. L’esistenza è sentire, è relazione, è percezione dell’altro da se. Affetti, dolore, gioia, vittorie, sconfitte. Cosa vorrei se il destino o gli eventi della vita mi ponessero nella condizione di non avere più coscienza di tutto ciò? Cosa vorrei che gli altri facessero se la sofferenza fisica fosse insopportabile e senza soluzione, ove io non sia più in grado di decidere?
Io so per certo che non vorrei “una non vita”, non vorrei che ci si accanisse con i più moderni ritrovati della scienza medica (farmacologici e strumentali) in grado solo di far respirare meccanicamente i miei polmoni, di far battere il muscolo cardiaco mentre i parametri cerebrali fossero irrimediabilmente e definitivamente compromessi.
Ovvero che mi si condannasse (perché come tale la vedo) a sofferenze inutili e senza speranze, prolungando una perfida agonia.
Il nostro ordinamento giuridico non prevede una regolamentazione della c.d. eutanasia (buona morte), ovvero di quella pratica che consiste nel far sopraggiungere la morte nel modo più indolore, rapido ed incruento a chi si trova affetto da una malattia incurabile al fine di far cessare la sua sofferenza. Se si usa il termine “buona morte” necessariamente c’è una “cattiva morte”.
La distinzione tra le due quindi non è sul “se”, ma sul “come”.
L’individuo ha diritto di scegliere questo “come”? Sicuramente vivere è un diritto, ma è un diritto anche vivere avendo coscienza del proprio esistere ed è un diritto non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la propria volontà (a meno che l’obbligo non sia previsto per legge- art. 32 Cost.).
Se vivere è un diritto io debbo avere la possibilità di scegliere. Se è un obbligo tale possibilità mi è preclusa. Io propendo per la prima ed auspico che un paese moderno, civile e sensibile alla sofferenza mi lasci la possibilità di decidere; auspico infatti una normazione del c.d. testamento biologico; auspico una norma che faccia divieto dell’accanimento terapeutico su espressa richiesta del paziente. Normative già presenti in molti paesi europei.
In buona sostanza auspico che il concetto di diritto alla vita non si estremizzi con l’ obbligo di vivere una non vita e che la centralità dell’uomo sia riconosciuta anche nelle sue libere scelte.
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