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Sostanze stupefacenti: le nuove tabelle Una ulteriore fonte di dubbio Feb 27 2007 12:00AM - Avv. Monica Fedeli (Rieti) La Legge 21 febbraio 2006 n. 49, che ha modificato la disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti, è stata accolta con critiche e riserve.
Certamente era necessaria una previsione legislativa che superasse il rischio di indeterminatezza ed incertezza legato ai concetti di lieve entità ed ingente quantità che avevano esaltato la discrezionalità del magistrato, determinando in capo a quest’ultimo un ingente carico di oneri che non gli competevano, proprio per sopperire a carenze legislative.
Sul piano puramente teorico, quindi, è apprezzabile il tentativo di delimitare e costruire il concetto di detenzione ma, in concreto, la nuova normativa rappresenta una soluzione discutibile e poco praticabile che pone una serie di problemi interpretativi, il primo dei quali è quello riguardante l’onere della prova.
La norma attuale, infatti, (unitamente al riferimento tabellare) pone una presunzione di non punibilità in capo al soggetto che venga trovato in possesso di quantitativi di sostanza stupefacente, che si collochino al di sotto della soglia massima stabilita dalle apposite tabelle interministeriali.
Il che, sembrerebbe comportare che, in casi analoghi di mera detenzione di stupefacenti, qualora la predetta soglia (relativa al solo principio attivo) risulti superata, opererebbe al contrario, una presunzione juris et de jure di detenzione illecita dello stupefacente, presuntivamente destinato alla spaccio, di fronte alla quale l’indagato risulterebbe privo di ogni possibilità di difesa, a prescindere da una completa ed effettiva valutazione dei fatti.
E' di tutta evidenza che una tale interpretazione non possa essere assolutamente condivisa.
La soluzione percorribile dovrebbe essere quella di mantenere ferma la presunzione di non punibilità, qualora la quantità detenuta non superi i limiti fissati dalle tabelle interministeriali ed adottare un principio di prova libera per quanto riguarda invece i quantitativi che eccedano detti limiti, non essendo tollerabile che la condotta detentiva sia considerata penalmente rilevante in base ad un puro e semplice automatismo interpretativo che, in ipotesi di superamento dei limiti, faccia ritenere la sostanza come sicuramente destinata allo spaccio.
Il che equivale a dire che, nell'ipotesi in cui un soggetto venga trovato in possesso di un quantitativo di sostanza stupefacente eccedente i limiti stabiliti, nel pieno rispetto dei principi processuali, incomberà sempre sull’accusa l'onere di dimostrare la sussistenza del reato - ossia che la detenzione dello stupefacente è finalizzata allo spaccio - e non all’imputato dimostrare la propria innocenza.
Non si possono infatti, trascurare altri elementi di natura soggettiva, quali le risorse economiche del singolo, la difficoltà di procurarsi la “dose” da parte di persona in avanzato stato di tossicodipendenza, circostanze tutte che possono giustificare il ricorso ad una modesta scorta, ovviamente sempre di poco superiore ai limiti.
Senza considerare che, fissare il discrimine tra detenzione illecita e finalità di spaccio, sulla valutazione del quantitativo di principio attivo, è sicura fonte di incertezze e di errori, che possono ricadere sull’indagato, soprattutto a fronte della carenza di strumenti idonei a permettere tale tipo di valutazione ad opera della polizia giudiziaria, che non sarà in grado di procedere ad un arresto in flagranza di reato, in quanto non dotata di attrezzature atte a consentire nell'immediatezza, di individuare il grado di purezza della sostanza e l’effettiva rispondenza della stessa ai criteri tabellari e, pertanto, di stabilire se la fattispecie concreta, integri o meno gli estremi di un illecito penale.
Incertezze ed errori che, conseguentemente, caratterizzeranno anche l'attività del Pubblico Ministero, nel momento in cui si troverà a chiedere la convalida dell’arresto, e del G.I.P. che dovrà valutare la legittimità dello stesso e l'eventuale applicazione di misure cautelari.
Lasciando da parte tali considerazioni, prettamente giuridiche, la legge 49/06 contiene in se un messaggio forte e chiaro: tutte le droghe nuocciono gravemente alla salute.
Sotto questo profilo - e senza con ciò voler giungere alla totale equiparazione tra le c.d. droghe leggere e pesanti - il segnale che si vuole dare è di tutto rispetto, è la scelta dello strumento attraverso il quale si vogliono raggiungere certi obiettivi a destare qualche perplessità.
La nuova normativa infatti, da un lato, non sembra rappresentare uno strumento idoneo di lotta ai narcotrafficanti, dall'altro, privilegiando l'aspetto repressivo a discapito di quello preventivo e riabilitativo, rischia di produrre, unitamente ad un'inadeguata informazione, un incremento della clandestinità del tossicodipendente e, di conseguenza, un maggiore danno per la sua salute.
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