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Vi racconto la mia vita ... Le pulsioni di un poeta contemporaneo Jun 1 2007 12:00AM - (Foligno (PG)) NUVOLE (1983)
ACQUE D’ABRUZZO (1983) IL VOLO LIBERO (1985) DIFFERENZE (1989) AUTORITRATTO (1989) OGNI VOLTA (1989) ENIGMA (1989) MILANO (1995) RACCONTO (1999)
DIARIO DAL KOSOVO (28 giugno 1999) DIARIO DAL KOSOVO II (30 giugno 1999) INCUBO (4 luglio 1999) IL NOSTRO DESTINO (Decane 2 agosto 1999) RITORNO DAL KOSOVO (27 agosto 1999) LUNGA NOTTE (20 settembre 1999) KOSOVO IN GUERRA (dicembre 1999) TRA LE BRACCIA DEL PADRE (Bricherasio 28 ottobre 2000)
DA PADRE A FIGLIO (13 novembre 2002) GUERRA (2002) PREGHIERA (2002) FIGLIO (2004) Le nuvole : matasse sinuose che affogano lente nel loro mare. Infinite. E gioiosamente bianche: s’intersecano in una lotta pacifica per colmare forme vive , umane. Disegni che restano incielati. Come i sogni, silenziose si specchiano nel mondo, e poi vanno a scomparire nel rosso dell’orizzonte più lontano. Le nuvole: arcani movimenti che svelano ricordi, meravigliose. Silenziose amiche del vento: s’addensano nello spazio indefinito, nell’azzurro opaco di questo spicchio di cielo. Corrono mosse dal vento come schiuma di mare in tempesta. Ed io sono Quel leggero vascello Che le cavalca, e scivola via per terre lontane. (Italialettere Anno II n. 6 giugno 1984) Ginestre fiorite lungo la strada sfumano nella velocità del tempo, un bagliore opaco sul profilo bruno delle montagne. Come il mistero del vento che canta tra i boschi d’oleandri la sua nota d’argento. E ti chini a sfiorare l’acqua fresca di torrente, per fermarla. Così come l’attimo evanescente di posseder cogli occhi queste terre. E nel sole già basso ai vetusti tetti ti prende quella malinconia che s’accompagna ai ricordi e alle cose perdute. Nel cielo terso vedo già l’infinito. (Antologia Pometina Vol.I E. Pomezia-Notizie 1985) E’ un dilemma come altri. La nostra esistenza è una pozza d’acqua gelata. Quanti fiumi il vento ha valicato d’un passo e quanti crocevia di scelte abbiamo affrontato da soli. La vita è una città senza sole, dalle strade smisurate che non puoi vedere mai l’orizzonte. Eppure il gioco, questa pietà che sgorga labile è sempre la stessa ogni sera. Allora per non morire mi inventerò un giorno infinito uno di quegl’attimi che gli artisti dipingono nel cielo solamente. uno di quei voli liberi che traccia il tuo fiore quando cade su me. (Antologia Pometina Vol.II E. Pomezia-Notizie 1986) L’uomo muore. E’ un pezzo di biologia imperfetta. L’uomo vive. E’ un volo d’anima Sopra i pensieri. (Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992) AUTORITRATTO (1989) Sono disperato Di quella tristezza Inutile che prende La sera. Sono uno sconfitto Felice dei desideri. (Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992) OGNI VOLTA (1989) Caparbia la china Di passi e struggenti Come foglie raccolte Momenti. Uno cerca la via E la smarrisce ogni volta (Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992) L’enigma è come facciano A nuotare le stelle: ma poi le domande finiscono per rispondere e le stelle mi accontento di guardarle senza capire. (Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992) Il vero viaggio è quello senza ritorno Lungo la strada disegnata dalle stelle Incendiare i giorni della memoria I muri dipinti dai sogni nostri Milano è una ragnatela Di fili d’acciaio Il tram si inerpica nel dedalo Dei palazzi nuovi. Una notte portata via dal Naviglio Ho visto il cuore immenso della città Accesa di mille luci fluorescenti Pulsava nascosto lontano dagli occhi Indiscreti dei sentimenti. Una vera città del futuro. Sono stato felice un sospiro Di attimo dimenticato Il necessario ritorno Alla fine d’ogni gesto. (Raccolta Ansol 2000 - Milano) Accade di remare il vento Come se fastidiosi punti di luce ovattassero Quello che resta della città Il centro della notte scorre via Appagato di leggera brezza della vita. Accade di calpestare le orme del déjà vu come librato volo di noi sopra le cose tangibili quello che resta della memoria. Rigurgitato fuori dal buio prepotenza Dei ricordi e dei sogni sul presente L’invisibile ricerca in fondo alle mani Quel che resta dell’impossibile amore (Raccolta Ansol 2000 - Milano) Or voglio, ma l’anima ne freme dolcemente Rammentarci di un pomeriggio presto Prima ancora che l’estate sia il sole del Palio Che salimmo in cima alla città e di quel giorno Noi due ne siamo segreti testimoni. Il Duomo, i tetti rossi e il Mangia Oscillavano al vento insieme ai tuoi capelli E lo sguardo non si stancava di viaggiare. C’era il silenzio immaginario delle case Viste di lontano e potei ascoltare almeno allora Le parole non dette dalle tue labbra. Or voglio ricordarmi, amica mia, con l’anima rapita da un oceano chiuso sporti da quell’angusto merlo di tre metri in cima a Siena e in mezzo al cielo intero ci siam sentiti liberi davvero. (Raccolta Ansol 2000 - Milano) Ho perduto un piede Ed una mano cadendo Dalle rovine dell’incertezza Adesso così storpio valico La linea d’ombra Nasco di nuovo, o Padre Partorito dal tuo dolore Oltre il confine Che ci fa uomini (da Dopo il Primo Luglio. Da pubblic.) Dio o de io, ovunque la vita mi porti dubbi o certezze di pioggia amo e d’amor vivo divoratore di sogni ancora un minuto di libertà (da Dopo il Primo Luglio. Da pubblic.) Odo l’acre miasma Della pianura nera Che m’ avvolge e nasconde Di certo i passi dell’andare Lento e faticoso e in gola Al ponte oltre la ferrovia Danzando in silenzio Un corteo di fantasmi Mi ha preso per mano Spettri di giorni incendiati Nel caos del niente Urlanti del dolore perduto Senza rotta la vela Strappata dalla tempesta Così ho raggiunto la casa Ed ho chiuso bene la porta (da Dopo il Primo Luglio. Da pubblic.) Vi racconterò forse Della pista di terra tonda come anfiteatro delle tiepide gocce di sudore della paura dietro i giorni del non ritorno della guerra vi racconterò Vi parlerò forse Del vuoto dentro l’anima Il silenzio dietro le parole Vuote di carne straziata e sangue Degli uomini scheletri E della loro guerra vi parlerò Forse starò da parte zitto Senza ricordo alcuno DIARIO DAL KOSOVO (28 giugno 1999) La terra che scorre sotto le ruote E il tempo che mi trascina Corpo morto passivo verso lontano Quest’anima senza più anima. Ho pensato tutto il giorno a te Insistentemente raccogliendo come fiori I ricordi con una sola certezza Sono inesauribili vie da percorrere. Ho sognato una grande nave grigia Uno di quei battelli da guerra Col portellone carico di soldati E mezzi e armi e vicina invisibile La costa d’Albania da raggiungere. Così è stato. Venti ore lasciate passare Sul mare placido e benevolo Una crociera noi scherzavamo Prima della tempesta annunciata. DIARIO DAL KOSOVO II (30 giugno 1999) Alla finestra dell’Albania Stanno milioni di bambini piccoli e sporchi A salutare i cingolati dei vincitori Come nei ricordi dei padri e delle madri Come in certi vecchi e nuovi films Le manine alzate le vocine acute Gridate con una rabbia non fanciullesca “italiani, cioccolata” un po’ come gli americani mi sento cinquant’anni dopo le stesse case bruciate le stesse donne ai bordi delle strade delle vie di sabbia e sassi i negozi devastati i tetti sfondati. Il dopoguerra coi carretti appena in piedi A portare qualche frutto qualche verdura Ma i visi della gente inspiegabilmente felici Docile semplice apparenza Nei dopoguerra! Il corpo soffre la febbre e la sete Il sogno ti raggiunge da questa stanza In solitudine piccola prigione. Pago il fio della mia ricerca Che ora appare sciocca e vana E ne conosco il prezzo la lontananza. Ho bisogno di te e della tua voce Del tuo semplice coraggio Ti amo e non potrò dirtelo stasera. Spero nei fumi della febbre Che da sogno si fa incubo Di leggere la fatidica scritta “in rete” Sul display del mio telefono cellulare Ma il miracolo tecnologico non avviene Il desiderio arde come la malattia Perché vorrei stare con te. Il tempo non corre, passeggia Sul mio corpo e lo martorizza. Ti amo però e lo sto scrivendo! Sogno quando leggerai queste righe Ed io le stesse delle lacrime sulle guance. IL NOSTRO DESTINO (Decane 2 agosto 1999) Ballano le anime dei morti Dinanzi a noi indiscreti visitatori Caduti trucidati di questa guerra Irta è la strada per la pace Su queste fosse di fango I monti incendiati vediamo Immobile il corpo senza testa Vacilla nelle acque tortuose Non c’è più poesia In quella morte Della sua putrefazione Immondo e gonfio I suoi invisibili occhi Guardano il nostro destino Di uomini in guerra RITORNO DAL KOSOVO (27 agosto 1999) Ho paura del tempo Il vuoto interposto agli attimi Il relativo silenzio interrotto Dal brusio di fondo Lontana reminescenza d’altri Voci confuse e di notte Bagliori di luminescenza La nave salpata dal porto Ha reciso qualcosa di invisibile Ma rimane sugli avambracci Chiusi all’aria fredda della sera L’indelebile cicatrice delle ferite Inferte dalla memoria. Il ciclo delle nostre lune ha inghiottito in un’eclissi tutti i pensieri inespressi le parole dette e ripetute a noi stessi, tutto lo spazio della lontananza. Un’onda di chiara schiuma Ha inabissato la vita un attimo Prima poi domani sarà Il sereno risveglio del ritorno. Non avrò paura di rivederti Del mio viso allo specchio Del perduto tempo e di quello ritrovato Dell’amore sopito abbandonato In fondo allo sguardo Nell’angolo segreto delle mani. Domani ti abbraccerò di baci LUNGA NOTTE (20 settembre 1999) Una totalità di stelle Pesante fardello appeso Alla solitudine del cielo scuro Tra gli alberi e le loro ombre Ho visto un uomo stanco Accovacciato a terra Nettarsi del fango con le mani Si è alzato a guardare la notte E sembrava immensa e lunga. KOSOVO IN GUERRA (dicembre 1999) Spartitevi le colpe degli avi e le vostre Pietà per il nero assassino ho chiesto Aveva il corpo divorato dai vermi E lo scalpo trascinato nella polvere. Ho visto una guerra ed è stato mia Miei i bambini senza voce Mia la tristezza del vecchio davanti Alle macerie che furono casa. Mio il dolore della sposa bambina E il suo calice di soda caustica da bere. Deponete le armi dell’odio Ho percorso i chilometri della vostra terra Montagne innevate e boschi d’abete Ho salito come fosse il mio Abruzzo Per trovare una casa isolata E le sue dodici tombe. Non chiedevano vendetta per loro Il vento le aveva già nettate Del sangue degli uomini e del pianto Delle donne sole. Chissà chi di voi avrà speranza o futuro Ho visto le immense solitudini Lo sguardo della violenza e la voce dell’odio Ho voluto guardare fino in fondo La guerra e la sua rovina Non ho trovato risposte né ragioni Non c’erano e non ci saranno vincitori. Sancire l’inizio del millennio Il nostro abuso sul tempo L’ineluttabile necessità di vivere Appoggiati fieramente al confine Valli e monti di deserto Sabbia sopra e sotto l’acqua Sono uomini che vengono da lontano Nel cielo annunciati da nessuna stella Al posto degli occhi dardi fiammeggianti Ora spenti alla fine del viaggio Tracce di secolo rechiamo loro in dono Brandelli di carni dal filo spinato strappate Odore acre di guerra perduta e morte Dalla periferia della terra e nei visceri suoi. In fondo a tutti i naufragi nel volo nero dei cormorani Ombre e flutti avvolti e intrecciati come mani Nel nucleo incessante dei pensieri umani Abbiamo intravisto due fantasmi segnati dal dolore Il morbo come Cristo sulle mani e sui piedi Un occhio splendente al posto della croce Abbracciavano quei delitti su barche annerite “non c’è pace senza giustizia” Ancora nel cielo ricolmo Di nubi cerebriformi Arabeschi dei venti giunti Con silenziosi sussulti Dall’altrove invisibile Cosa vede l’uomo alla finestra E la sua ombra clonata Dall’altro lontano emisfero Balzo di arrugginite lancette Incompreso tictac corrispondente Perché lo stesso sguardo cela L’uguale disegno di pensieri Arditi oltre le dimensioni comuni Specchio attraversato dello ierioggi Fin dentro quelle carni vive Dolcemente insicuro di esistere Il tram colorato sfida il viale Che fu dei cecchini Attraversa rumoroso la strada Calda di primavera a Sarajevo. Il giorno duemila significa Che non c’è più il fucile Ad aspettare la donna Uscita a fare la spesa. Non c’è più neanche quella donna. Corrono col tram dietro i vetri I visi di altre donne nel dopoguerra Il vestito e il trucco nuovo Il giorno atteso di festa. Non raccontano al primo venuto Le loro indicibili sofferenze Di bambine smarrite e la paura Di madri di figli partiti spariti Dalla guerra inghiottiti. Lungo le vie il popolo della Bosnia vive Senza chiedersi come sia potuto accadere. Testimone muto il muro in mille fori Artistico ghirigoro eco di anni senza silenzio Ora regna tra le carcasse di auto Da portar via e i grattacieli Ricostruiti a fianco degli scheletri Di cemento è stato dicono E non possono mentirci. Sotto i ponti di metallo scorre la vita In tempesta color amaranto Il sangue versato prosciugato È diventato vendetta. Canta ora il dio delle moschee Un minareto all’opposto della valle Risponde e diffonde il pianto Dell’umanità disgraziata e ci regala Il desiderio di pace sulla città. Un contadino ha deposto il fucile Con la vanga dissoda il campo Vicino il figlio salta e gioca Come in ogni luogo del mondo Il padre ha il viso di rughe profonde E gli stivali dei cosacchi. E’ stato un soldato e il canto di Sarajevo Era per lui l’ululato dei mortai dalle colline La sua guerra santa contro La guerra santa degli altri. I suoi figli adesso correranno su una terra Che fu degli Ottomani e degli Asburgo Qualcuno gliela fece sognare serba Non sarà di nessuno, solo di chi Saprà sopravvivere al fratricidio. I suoi figli lo sa avranno vacche denutrite L’odio e la vendetta dei figli di altri soldati Forse non moriranno presto su una mina Lasciata lì da chissà quale nemico. I suoi figli avranno montagne e abeti Inverni gelidi e di nuovo il canto dell’estate Si diffonderà su Rogatica e Sarajevo Umiliati, dimenticati avranno vinto lo stesso Loro bambini che corrono lungo la strada Gli stessi di Pec o di Mogadiscio E noi grandi soldati che non sappiamo Distinguere se serbi o croati o musulmani Ci fanno abbassare le armi e lo sguardo Ci illuminano il cuore di uomini lontani da casa. Quelle voci di bambini Vengono a dirci in una lingua ignota Ma così facile da capire Che il canto di Sarajevo Non è il silenzio della città vuota Perché loro non possono morire. TRA LE BRACCIA DEL PADRE (Bricherasio 28 ottobre 2000) Se noi sapessimo spendere Quel grande silenzio Le chiome spumeggianti del mare Iride profondo del viaggio Aldiquà della vita Se noi sapessimo parlare La voce urlante del bisogno Il segreto onirico dei sentimenti Timpano solleticato che si fa Grancassa e un sonno leggero Tra le braccia del padre Se noi sapessimo vivere DA PADRE A FIGLIO (13 novembre 2002) Ti insegnerò la pioggia quando viene A Novembre lugubre sui muri grigi Ti insegnerò il ricordo che sussurra All’animo triste e gli reca conforto Il sole dietro i palazzi farsi basso e gigante Il correre veloce delle ombre dietro i giorni E gli attimi terni dell’amore nostro Ti insegnerò le ore dell’orologio appeso Al muro della cucina e il suo datario perpetuo Ti insegnerò quel vetro infranto dall’abbandono Una luce accesa per sempre La via percorsa per chilometri con lo stesso passo Le belle bandiere e il poco vento a farle vela E lo spavento in fondo alla strada finita Ti insegnerò le parole di una canzone Quando viene il sole a farci ballare Ti insegnerò che non basta vivere Dobbiamo amare e cercare Il sapore salmastro del mare chiuso dentro La mano di sabbia e domani qualcuno sarà lì Ad aspettarti per riprendere il viaggio PREGHIERA (2002) Cenere e pioggia hanno fatto brulla La strada e il muro che corre cadente Ferito e piegato è rimasto trafitto Dall’eco del boato lontano Tutta la notte a cercare Tra le macerie inutile sfida Alla morte certa sorella matrigna Terra e fuoco in un solo ardere Le tende e i letti in fila Un’altra notte senza nome Un numero nella lista degli sfollati E fiori deposti in silenzio Gli occhi vuoti di lacrime Madri e padri senza figli Una preghiere lascio scivolare Pere quei piccoli angeli Pensa quante volte ti ho scritto ti amo E non è bastato a consolarci Quando fuori infuriava la battaglia E ancora adesso c’è puzzo di morte Esala dai campi abbandonati E dalle macerie ricomposte Pensa quante volte hai visto Un bambino morire per sbaglio O deliberatamente fatto bersaglio Perché il sangue innocente Lasciasse la sua indelebile traccia Pensa quante volte ti ho raccontato Quando vestito da soldato Sono andato a raccogliere i fantasmi Delle nostre guerre da telecomando E non sono più tornato Pensa all’immane oceano di sofferenza Che stenta ad inondarci da lontano Ma è questione di giorni forse di ore E vedremo le stesse immagini notturne La nostra guerra già vinta Una interminabile fila di prigionieri Con le mani sul capo giunte Canta e prega l’agonia degli uomini Continuo a sentire quel lamento Mi turo le orecchie ma lo sento più forte. Ho fatto un figlio Una mattina d’inverno Che il sole caldo esplodeva Già fuori della finestra Intravista nel viaggio Giorno d’Africa lontana Momento irripetibile Sembrerebbe al caso. Ho vissuto senza aspettare E ho avuto ragione. Prendere a piene mani Il sangue della vita Dissetarsi dell’aria stessa. Non celarla nel profondo Di dolore e paura. Urla figlia mia Così che io Possa ascoltarti. Versi di fine millennio Raccolti tra i sassi Di luoghi remoti Ove l’anima nera diventa Fatta di sogni e bugie Il ritorno dal viaggio Una nuova partenza. Versi del terzo millennio Speme di pace e sconfitta Raccolta di altre parole Città diverse vissute O intraviste soltanto Non ho ascoltato esperanto Ho guardato di nuovo le guerre. ( Da Prime edito in proprio Roma 2006). Fissa un tempo che non esiste L’immagine e le parole sono La notte breve e il sogno La strada segnata del ritorno. Ascolta la casa e il silenzio Non passa nelle porte aperte Ristagna aspettando un sempre L’ultima fila degli scaffali. Guarda il tempo attraverso Un ponte che non ho valicato Profumi sulle siepi dipinte Il fastidioso ronzio degli insetti Sospingi l’attesa di ore E finalmente l’amore È il senso che dà la vittoria Il domani esiste. (inedito)
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