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Il d.d.l. “Mastella” Sulla riforma del processo penale May 30 2007 12:00AM - Avv. Marco Arcangeli (Rieti) Il
Consiglio dei Ministri ha approvato, nella seduta del 5 Aprile 2007, il D.D.L.
c.d. Mastella su “Disposizioni in materia di accelerazione e razionalizzazione
del processo penale, prescrizione dei reati, confisca e criteri di ragguaglio
tra pene detentive e pene pecuniarie”. Lungi
dall’avventurarmi in un’analisi approfondita del provvedimento in questione,
sia poiché già effettuata da molteplici soggetti di ben altra statura
intellettuale, sia perché andare oltre una semplice lettura risulterebbe impossibile
per ragioni di spazio anche a voler abusare della pazienza del Direttore prima
e del Lettore poi, mi limiterò ad alcune brevi e personali riflessioni circa
l’impianto del disegno governativo e le conseguenze, a mio avviso gravi, di
un’eventuale approvazione senza significative modificazioni. Ad
onor del vero, il testo così come approvato a palazzo Chigi si presenta sotto
molteplici aspetti migliorativo della bozza circolata precedentemente in ambito
governativo, il cui testo è stato già oggetto di pesanti critiche da parte
dell’Unione delle Camere Penali tanto da sfociare nella proclamazione
dell’astensione dalle udienze per i giorni 21, 22 e 23 Marzo. Ciò
non esclude, comunque, che anche nella più recente approvata stesura, si
riscontri una profonda disistima per i principi fondamentali del rito penale,
quei medesimi cardini grazie a cui si possa qualificare come “giusto” il
processo. Ad
alcuni non sfuggirà il fatto che le seguenti considerazioni critiche sono state
già oggetto di dibattito nell’ultima assemblea straordinaria tenuta dalla
Camera Penale di Rieti il 21 Marzo scorso in occasione, come ricordato, della
prima delle tre giornate di astensione proclamata dall’Unione delle Camere
Penali con il precipuo scopo di richiamare l’attenzione di quanti, Colleghi e
non, ritenevano e ritengono ineludibile il sistema delle garanzia difensive e
la struttura accusatoria, o almeno tendenzialmente tale, del nostro sistema
processuale penale. Corre
l’obbligo di una premessa che mi auguro possa essere condivisa da tutti coloro
che hanno avuto o avranno modo di riflettere sulle proposte modifiche: sotto il
dichiarato obiettivo del raggiungimento del principio della ragionevole durata
del processo penale, la cui risaputa inefficienza ha originato molteplici
problematiche, con ricadute anche economiche, allo Stato Italiano, il Governo ha
invece manifestato, in maniera più o meno malcelata, l’intento di attenuare, se
non in alcuni casi cancellare, le garanzia difensive già oggi in più occasioni
pesantemente ridimensionate da molteplici interventi giurisprudenziali, recenti
e non, di matrice anche costituzionale. Tanto
che quasi ogni modifica proposta risulta gravemente peggiorativa delle
prerogative della difesa e finanche del ruolo del difensore, e ciò a valere per
ogni fase processuale, esaltando lo spirito di assoluta rinnegazione, purtroppo
ben radicato, della tutela fondamentale accordata alla Difesa dalla Carta
Fondamentale e dalle norme del diritto internazionale Nulla
si dice invece sulle autentiche ragioni, conosciute da tutti coloro che sono
protagonisti ed interpreti quotidiani del sistema vigente, che minano in
profondità l’efficienza del sistema giustizia, prima fra tutte l’assoluta
carenza di risorse in grado di garantire almeno l’ordinario funzionamento. Mi
sia permesso, a tal punto, di evidenziare che per molteplici aspetti il DDL
Mastella appare addirittura il frutto dell’elaborazione, questa volta
“dottrinale”, della magistratura associata, le cui proposte di riforma del
sistema appaiono sin troppo analoghe (ed anticipatorie) all’iniziativa
governativa. Il
fatto stupisce ancor di più solo a ragionare sull’esistenza di una commissione
ministeriale, l’ennesima, nominata dal medesimo ministro al fine di elaborare
una riforma che possa dirsi organica del processo penale, organo quindi istituzionalmente
deputato ad una ridisegnazione, ci si augura in chiave più “efficientista” ma
non meno garantista, dell’attuale codice di rito. Ed
allora mi domando quale fenomeno potrebbe originarsi nel caso in cui i due
elaborati, quello già approvato dal Consiglio dei Ministri e l’altro della commissione
ministeriale presieduta dal Prof. Riccio, fossero, come confesso di augurarmi,
configgenti e/o incompatibili nel disciplinare i singoli istituti. Si
invocherebbe forse una sorta di “gerarchia” basata sull’importanza politica dei
proponenti? Tralasciando
la risposta, sin troppo ovvia, all’interrogativo proposto, non resta che
addentrarsi, seppur come detto per sommi capi, nella lettura dell’articolato
Mastella. A
conferma delle intenzioni di restauro del sistema processuale di stampo
inquisitorio, già all’inizio del percorso si incappa in una prima quanto
sbalorditiva presa di posizione: l’art. 190 bis, nella nuova formulazione,
avrebbe come conseguenza necessaria l’utilizzabilità di ogni atto assunto o originato innanzi ad
un Giudice comunque ritenuto incompetente, in totale spregio del fondamentale
principio del giudice naturale precostituito per Legge. Tanto
più che alla decisione circa la competenza viene riconosciuto solo il vaglio di
legittimità, senza possibilità di riparazione dell’errore innanzi a diverso
giudice di merito. Ancor
più preoccupante appare la rivisitazione della disciplina delle notificazioni,
certamente uno degli attuali punti deboli della procedura. Unico
obiettivo, anche alla luce dei principi degli ordinamenti internazionali più
evoluti, dovrebbe essere quello di garantire, comunque, una conoscenza in capo
all’indagato-imputato del procedimento a carico che possa dirsi effettivamente
concreta. La
soluzione adottata dal progetto governativo sta invece tutta nell’addossare al
difensore, di fiducia ma anche d’ufficio, la responsabilità di farsi carico di
notiziare l’assistito delle vicende processuali scandite dalla notificazione
alla difesa degli atti. Viene
previsto addirittura che il difensore, se intenda rifiutare tale gravoso e
spesso in concreto impossibile compito di sostituzione all’organo notificatore,
debba rinunciare all’incarico fiduciario. In
materia di regime probatorio si prevede di limitare l’istituto
dell’inutilizzabilità, spesso unico baluardo agli abusi giudiziari,
assicurandone la ricorrenza ai soli casi di prove acquisite in violazione di
divieti posti a garanzia di diritti costituzionalmente tutelati. Per
la formulazione stessa della norma riterrei che nessuno, neanche gli estensori
dell’articolato, siano in grado di spiegarne in concreto il significato e le
conseguenze, se non ammettere che l’incertezza possa essere risolta, ancora una
volta, dall’assoluta discrezionalità della giurisprudenza. In
materia di recidiva, si può forse ragionevolmente sostenere che, a fronte di
profili di dubbia costituzionalità nell’imporre un regime di obbligatorietà
propria di un ordinamento che valorizzi il cd. diritto penale d’autore, vi
siano alcune modifiche, uniche meritevoli di apprezzamento, in grado di
abrogare quegli effetti devastanti introdotti dalla Legge ex Cirielli,
impedendo, ad esempio, che i precedenti penali del recidivo possano incidere
sulla durata della prescrizione. Relativamente
alla sospensione e all’interruzione del tempo occorrente per l’esercizio della
potestà punitiva, ancora una volta si introducono presunti rimedi, non
imputabili ad alcuna dilatoria strategia difensiva, finalizzati evidentemente a
mascherare quelle che sono le incapacità del sistema giudiziario ad assicurare
anche e soprattutto all’imputato, non lo si dimentichi, una ragionevole durata
del processo. Ad
esempio, viene infatti prevista la sospensione della prescrizione nell’ipotesi,
ricorrente, della necessità di rinnovazione della citazione a giudizio. Perché
allora non pensare di imporre in ogni fase processuale limiti massimi di durata,
quale rimedio per assicurare il buon andamento del procedimento nell’ottica
della ragionevole durata, eventualmente differenziandone la disciplina per
tipologia di reato, scaduti i quali far scattare una sorta di sanzione
processuale consistente, al limite, nell’improcedibilità dell’azione penale? Lascio
immaginare quale presa di posizione da parte di gran parte della magistratura
potrebbe suscitare una tale proposta. Sulle
ipotesi di archiviazione, tralasciando nello specifico la lettura della norma, vi
è solo da evidenziare, ancora una volta, lo spregio dei proponenti per il ruolo
delle parti processuali, specie nel momento del contraddittorio, quasi che il
garantirne il rispetto renda assolutamente impossibile la ragionevole durata
del procedimento. In
materia di 415 bis, ridimensionando la portata dell’istituto, che a mio avviso
per certi aspetti rappresenta il vero fulcro delle garanzie difensive e certo
indizio della natura accusatoria del sistema, se ne prevede tout court l’abrogazione
nei procedimenti in cui è disposta la celebrazione dell’udienza preliminare. Quasi
a considerare la sostituibilità delle facoltà riconosciute alla difesa in
quella sede, laddove tra l’altro il più delle volte nasce l’ipotesi e
l’intuizione difensiva, con la mera partecipazione ad un udienza che, comunque,
rappresenta pur sempre una fase successiva. Con
la concreta possibilità di imporre inutilmente una ulteriore sanzione al
soggetto, poi prosciolto, che richiedendo l’interrogatorio o producendo
documentazione rilevante in virtù di quanto previsto in sede di 415 bis, avrebbe
potuto evitare la “pena” dell’udienza. Generando, tra l’altro, proprio
l’effetto, contrario al dichiarato, della dilatazione dei tempi processuali e
del dispendio inutile di energie e risorse. Sintomo
inequivocabile del ritorno, o meglio regresso, ad una procedura più o meno
vagamente inquisitoria, è la riformulazione della disciplina del giudizio
immediato, dilatandone la possibilità di richiesta da 90 giorni a 6 mesi, e quella
relativa alla definizione mediante decreto penale, con l’eliminazione del
previsto termine di 6 mesi per la richiesta. A
ciò si aggiunga, ad ulteriore smentita dell’intento governativo di abbreviare i
tempi del processo penale, l’eliminazione della possibilità del cd.
“patteggiamento” in appello. In
materia cautelare reale, viene limitato il diritto alla difesa di ricorrere per
cassazione avverso le ordinanze rese in riesame o in appello, proponendo così
quanto meno seri ed evidenti dubbi di costituzionalità della norma. Il
discorso non può assumere toni diversi nell’esaminare l’ipotesi di riforma
della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in caso di sostituzione del
giudice persona fisica e dell’impedimento a comparire dell’imputato e del
difensore. Nell’un
caso, in assoluto difetto del minimo rispetto per le norme internazionali e
dell’elaborazione interpretativa ad opera della Corte europea, si permette
l’assunzione della prova, anche se decisiva, innanzi ad un giudicante che in
seguito, per la casistica più disparata, risulti impossibilitato a condurre a
decisione il processo. Si
intende allora scaricare sull’imputato
ciò che ad esso non è certo attribuibile: la disorganizzazione del sistema e, a
volte, la sua incapacità di programmare con un minimo di efficienza l’attività
giudiziaria processuale, la cui analisi, se effettuata sin dall’inizio,
porterebbe ad evitare le principali e prevedibili disfunzioni in questione. Nel
disciplinare l’impedimento a comparire dell’imputato, tralasciando l’ipotesi,
sin troppo discrezionale, circa la valutazione sulla probabilità dell’assoluta
impossibilità dovuta a caso fortuito o forza maggiore, peraltro non passibile
di alcuna impugnazione, neanche per motivi di legittimità, vi è da rimarcare
che nella nuova formulazione dell’art. 603 comma 4 c.p.p., allorquando per
cause seppur incolpevoli non si sia dedotto tempestivamente l’impedimento, quand’anche in seguito riconosciuto come
legittimo, non vi è spazio alcuno per una pur sacrosanta rinnovazione
dell’istruttoria. Per
quanto concerne il difensore, viene fortemente ridimensionato il suo ruolo,
dimenticando facilmente come soprattutto in ambito penale si esalti l’intuitus
personae, ponendo una serie di limitazioni al riconoscimento del legittimo
impedimento allorquando, ad esempio, non siano motivate le cause
dell’impossibilità di reperire un sostituto processuale per quelle udienze che
non siano dedicate alla trattazione delle questioni preliminari o alla
discussione, a conferma dell’obbligo, anch’esso previsto nel medesimo testo di
riforma, in capo al difensore pur legittimamente impedito, di nominare comunque
un sostituto proprio nelle udienze, fondamentali, in cui si svolge
l’istruttoria dibattimentale. A
conclusione del discorso, a parziale conforto esiste comunque la consapevolezza
che, soprattutto grazie all’opera continua, pressante e di alto profilo
dell’Unione delle Camere Penali e principalmente della Giunta, spiegata anche
tramite audizioni presso le competenti commissioni parlamentari, ma soprattutto
grazie all’organizzazione di convegni e seminari in grado di fungere da stimolo
alla riflessione ed al dibattito, lo scenario appare oggi meno inquietante di
quanto non fosse solo alcuni mesi or sono. Si
cerca, in poche parole, di preparare un terreno che risulti comunque in grado
di respingere l’impianto codicistico approvato in Consiglio dei Ministri per
approdare necessariamente ad una riforma organica della giustizia in grado di
assicurarne l’efficienza nel pieno rispetto della natura accusatoria del nostro
processo. Resta
attuale, comunque, la necessità di mantenere alta e vigile l’attenzione di
tutti coloro che rifiutano l’ipotesi di restaurazione inquisitoria. Così
evitando che, in accoglimento degli enunciati di una sola delle componenti del mondo
giustizia, per lo più dettati dalla magistratura associata, sotto il dichiarato
obiettivo di garantire tempi più brevi per il sistema processuale penale si
arrivi ad una profonda dequalificazione del ruolo e delle facoltà della Difesa,
con le inevitabili infauste conseguenze in capo a colui che di quel processo,
per il solo fatto di esserne sottoposto, è comunque vittima.
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