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Forum 9
Pensare al domani
L’economia dei consumi e le fonti energetiche alternative
Dec 4 2007 12:00AM - Avv. Valerio Martella – Foro di Roma
(Rieti)
Molti ricorderanno il mito di Prometeo che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e subì per questo un’atroce punizione.
Quel fuoco fu la prima fonte di energia che l’uomo poté utilizzare per soddisfare le proprie necessità.
In una certa misura si può anche dire che queste aumentarono proprio per effetto delle nuove possibilità che l’uso del fuoco offriva.
Nel corso dei millenni che sono seguiti, dalla preistoria in poi, sempre più l’uomo ha fatto ricorso all’energia oltre che per rendersi più sicura e comoda la vita, per affinare sempre più le tecniche destinate alla produzione di beni o servizi.
Si può individuare, quindi una stretta interdipendenza tra uso dell’energia, sviluppo della tecnologia e sviluppo socio economico in generale.
Nel corso del tempo l’uomo, spinto dell’aumento dei suoi bisogni, ha imparato a ricavare energia da elementi sempre più numerosi e diversificati: legna, carbone, olii vegetali e minerali, grassi, gas naturale e, primo fra tutti, il petrolio, ed ha imparato nel corso a sfruttare anche altre forme di energia presenti in natura. E’ facile andare con la mente al vento e all’acqua, che hanno permesso la navigazione a vela ed il funzionamento di mulini e di innumerevoli altri meccanismi.
Nel ventesimo secolo si sono aggiunti i combustibili nucleari a seguito della scoperta e del perfezionamento dei procedimenti di fissione nucleare che generano una notevole quantità di energia.
Quello che ha segnato la svolta nell’aumento dei consumi energetici è stata la c.d. rivoluzione industriale. Da allora vi è stato un continuo crescendo che non sembra cessare né avere più limiti, quasi che la fame di energia sia degenerata in una sorta di incontrollata avidità.
In tempi recenti paesi come la Cina e l’India, enormi quanto ad estensione territoriale (9.596.960 km2 la Cina e 3.287.590 km2 l’India) e a numero di abitanti (in totale oltre 2.300.000.000, che rappresentano un terzo della popolazione del nostro pianeta) hanno avviato una fase di rapido e straordinario sviluppo economico che li ha portati ad affacciarsi sul mercato delle fonti energetiche, in particolare su quello del petrolio, con una domanda assai elevata.
In questo quadro occorre fare alcune considerazioni.
La prima riguarda gli effetti, per così dire collaterali, connessi con l’uso dell’energia.
Se è vero che questa, avendo permesso e permettendo la produzione di numerosi beni e servizi ha indirettamente consentito alla specie umana di migliorare non poco le proprie condizioni di vita, ha provocato, però, effetti devastanti per il nostro pianeta.
Basti pensare, a mo di esempio, che la metallurgia del ferro - elemento che è stato determinante per l’evoluzione umana sotto numerosi aspetti –, secondo certe tecniche praticate nell’antichità, comportò in alcuni continenti una deforestazione selvaggia ed indiscriminata a cui conseguirono sconvolgimenti climatici ed ambientali di vasta portata che incisero profondamente anche sulle possibilità insediative delle popolazioni, tanto da provocare importanti flussi migratori.
E’ noto, peraltro, che il ricorso crescente e indiscriminato, per la produzione di energia, ai combustibili tradizionali, tra cui principalmente il petrolio, produce l’inquinamento dell’ambiente. Molti attribuiscono a questo anche i cambiamenti climatici che si stanno verificando da qualche tempo, sostenendo che essi derivano dal cosiddetto effetto serra provocato dalla emissione di gas nocivi conseguente l’uso dei combustibili utilizzati per produrre energia.
Sta, comunque, il fatto che, anche indipendentemente dall’effetto serra, l’inquinamento produce effetti deleteri, più immediatamente percepibili, sulla salute dell’uomo e danneggia gravemente le risorse indispensabili per la vita - aria e acqua – e tutte le forme di vita appartenenti ai regni vegetale ed animale. Fenomeni come quello delle piogge acide e come quello rappresentato dall’aumento considerevole e diffuso di gravissime patologie sono sinistri testimoni dei nefasti effetti dell’inquinamento.
La seconda riguarda la esauribilità dei combustibili attualmente usati. Il consumo, sempre più elevato ed indiscriminato, dei combustibili più comunemente utilizzati porterà in tempi relativamente brevi all’esaurimento di essi.
C’è, ad esempio, chi stima la consistenza temporale delle riserve petrolifere mondiali soltanto in pochi decenni a venire.
Se questo fosse vero le prossime generazioni si troverebbero a dover affrontare situazioni fino ad ora inimmaginabili, e divenire, probabilmente, testimoni di ripercussioni politiche e sociali di vasta portata.
Ne potrebbero risultare sconvolti i rapporti etici, sociali e politici, ma ancora di più lo stile di vita, individuale e collettivo, che molti di noi, superficialmente ed illusoriamente, ritengono ormai stabilmente ed irreversibilmente acquisito.
Alla luce di queste considerazioni non si può fare a meno di definire la situazione critica e preoccupante.
Certamente essa impone che tutte le nazioni ne prendano atto e che le popolazioni giungano alla consapevole e responsabile conclusione che è giunta l’ora di cambiare radicalmente un sistema di produzione ed uno stile generalizzato di vita - proprio dei cosidetti paesi industrializzati, ma, purtroppo, imitato da moltissimi paesi in via di sviluppo - , che non è più sostenibile e che ha sinora dilapidato le risorse energetiche ed ha provocato danni seri, se non irreversibili, all’ambiente.
Meglio cambiare direzione responsabilmente e gradualmente nell’ambito di un’azione condivisa tra tutti, che individui nel contempo modi e mezzi diversi e più sostenibili per mantenere il benessere acquisito e proseguire sul cammino di uno sviluppo sostenibile, piuttosto che precipitare, più o meno all’improvviso, in un baratro sconosciuto e non necessariamente fornito di vie d’uscita.
Sembra che i governanti di molte nazioni si siano resi e si stiano rendendo sempre più conto di questo.
Sulle conclusioni di numerosi incontri internazionali e dibattiti di cui sono stati protagonisti scienziati e politici, è stato sottoscritto, nel dicembre 1997, dai rappresentanti di numerosi paesi il protocollo di Kyoto con cui, tra l’altro, si è fissato l’obiettivo di ridurre l’emissione dei gas serra da parte dei paesi aderenti.
Se viste sotto un profilo assoluto, le prescrizioni del protocollo non sembrano essere particolarmente incisive né sembrano essere in linea con la tempestività che la situazione esige.
Inoltre importanti paesi, tra cui gli Stati Uniti d’America, che contribuiscono in maniera considerevole all’emissione dei gas serra, non hanno aderito al protocollo anche se, successivamente, sembrano aver fatto passi di avvicinamento.
Il protocollo, tuttavia, rappresenta una ulteriore e più consistente manifestazione di presa di coscienza nonché un importante e lodevole sforzo, comunque non irrilevante, volto ad affrontare concretamente il problema in campo.
L’augurio che ognuno dovrebbe formulare è che esso costituisca l’avvio di un percorso durante il quale, con partecipazione sempre maggiore, si approntino rapidamente strumenti vieppiù incisivi legati a tempi di attuazione più adeguati rispetto a quanto sinora previsto.
Certo il problema è assai complesso e arrivare a soddisfacenti soluzioni non sarà facile.
In Europa, fortunatamente, sembra che vi sia una particolare sensibilità rispetto all’argomento.
I media hanno dato il giusto risalto all’intesa, raggiunta nel marzo 2007 dal Consiglio dell’Unione Europea sulle politiche di contrasto al riscaldamento globale, che stabilisce importanti traguardi da raggiungere entro il 2020: il primo obiettivo che vincola i 27 Paesi UE è ridurre del 20%, rispetto ai valori del 1990, le emissioni di CO2, entro la data del 2020; il secondo obiettivo fissato dal Consiglio dei 27 è arrivare, entro il 2020, a produrre il 20% del totale dei consumi nazionali di energia utilizzando fonti rinnovabili, con correzione del più modesto 7% fissato in precedenza dalla UE, con il vincolo che il 10% delle rinnovabili sarà coperto dai biocarburanti per i trasporti, mentre per il restante 10% ogni Paese stabilirà i propri mix energetici, tenendo conto delle differenze a livello nazionale; Il risparmio energetico, terzo punto dell’accordo, è forse l’obiettivo meno complicato a livello normativo, ma ugualmente impegnativo per gli Stati.
In Gran Bretagna Tony Blair, quando ancora era primo ministro, ha deciso di rendere ancora più incisivo e ambizioso il contributo per i cambiamenti climatici e ha presentato un progetto di legge che prevede un taglio delle emissioni di CO2 compreso tra il 26 e il 32% entro il 2020 (superando il 20% deciso dalla UE), e una successiva riduzione obbligatoria di almeno il 60% entro il 2050.
Poco prima dell’estate, in occasione del G8 il tema è stato ancora dibattuto.
Come, tuttavia, si può intuire, dietro le manifestazioni di consapevolezza e di responsabilità, gli entusiasmi, le dichiarazioni di intenti e gli interventi normativi, si pone un impegno difficilissimo: quello di abbassare le emissioni di anidride carbonica intervenendo su mezzi di trasporto, fumi industriali e consumi domestici per Stati nei quali, invece, le emissioni di gas inquinanti non fanno che aumentare.
Solamente nei Paesi ex-sovietici si è registrato un effettivo calo dei gas serra: tuttavia, la causa non sono le buone politiche ambientali, ma un progressivo declino economico. L’Italia dal canto suo continua a registrare un aumento del 12,3% rispetto ai livelli del 1990 e, di sicuro, non basteranno le lampadine ad alto rendimento, distribuite gratuitamente dalle aziende fornitrici di energia elettrica, a cambiare la tendenza.
In questo quadro è divenuto sempre più pressante dare una risposta a due domande: l’umanità sarà in grado di produrre l’energia di cui ha bisogno sempre più crescente sostituendo, almeno in parte, i mezzi tradizionali con altri che permettano un approvvigionamento di lunga durata e riconsiderando in modo responsabile le effettive necessità energetiche ? Sarà in grado, anche per effetto di queste sostituzioni, di eliminare o almeno di ridurre in modo consistente l’inquinamento?
Certamente la ricerca scientifica e tecnologica daranno un importante contributo alla soluzione di questi problemi. Sono già da molti anni in atto studi, ricerche ed esperimenti alcuni dei quali hanno già portato alla realizzazione di dispositivi tecnici, sui mercati, che consentono di sfruttare fonti energetiche alternative.
Occorre, tuttavia, considerare che le scelte in tema di politiche ambientali non dipendono solamente dalle indicazioni e dai progressi della scienza e della tecnica.
Sono, infatti, in gioco innumerevoli, svariati ed enormi interessi mentre nel contempo emergono punti di vista diversi che non è facile conciliare. Senza parlare dell’ignoranza, dell’egoismo e di certe ideologie che sono i peggiori nemici di qualsiasi iniziativa che comporti cambiamenti.
Per incamminarsi su una strada più virtuosa occorre, perciò, uno sforzo comune di consapevolezza, di condivisione e anche, a volte, di rinunzia. E’ necessario che tutti: governanti, politici, operatori economici, e comuni cittadini di tutto il mondo acquisiscano lungimiranza e diano il proprio contributo positivo alla soluzione del grave problema.
E’ comunque evidente che l’equazione: uso dei combustibili tradizionali = inquinamento = esaurimento delle riserve, dovrà essere risolta, operativamente, su più campi.
Da un lato, infatti, è necessario reperire fonti alternative e inventare dispositivi tecnici, o perfezionare quelli già esistenti, che ne permettano lo sfruttamento con il massimo rendimento.
Nel fare ciò occorrerà essere molto attenti al bilancio energetico tra quanto speso per produrre ognuno di tali dispositivi e l’entità dei vantaggi, in termini di risparmio energetico, che i dispositivi stessi potranno fornire.
L’altro campo su cui operare molto seriamente è quello del risparmio energetico.
Anche per questo vale l’avvertimento circa il bilancio energetico nei casi in cui il risparmio sia ottenuto per mezzo di dispositivi da produrre o mediante processi produttivi, di beni o servizi, innovativi o migliorativi di quelli già esistenti.
Il risparmio lo si può attuare anche mediante comportamenti virtuosi. Sotto questo aspetto conteranno molto anche l’esempio dato dalle autorità nella corretta gestione dei beni e delle attività pubbliche o collettive nonché l’emanazione di leggi che sottopongano i beni prodotti ad una verifica di efficienza energetica sia a monte che a valle del processo produttivo nonché in relazione all’uso a cui essi sono destinati e che obblighino i cittadini a certi comportamenti.
Senza voler fare una analisi approfondita delle varie leggi che, in Italia, regolano la materia, è, utile, però fare il punto sulla qualità e quantità delle varie fonti di energia.
Queste possono essere suddivise in due grandi categorie: esauribili e rinnovabili.
Le prime sono quelle di cui abbiamo già parlato vale a dire i combustibili tradizionali.
Tra questi una parola a parte merita il combustibile nucleare, che già da molti decenni è usato in molti stati per far funzionare le centrali elettriche.
Questo, tra i combustibili tradizionali, sarebbe quello su cui riporre maggiori aspettative circa la disponibilità, la durata temporale delle riserve e circa il fatto che la sua combustione non produce inquinamento. Invero molti paesi, anche europei, si sono dotati di centrali nucleari.
Per quanto riguarda l’Italia, tuttavia, occorre dire che, è stata fatta già da molti anni una precisa scelta politica consistita nella messa al bando delle centrali nucleari; scelta che ha comportato anche la dismissione di quelle esistenti.
Hanno certamente influito su tale scelta il tragico ricordo di quanto accadde nella centrale nucleare di Chernobyl e il problema relativo allo smaltimento delle scorie radioattive costituite dagli elementi degradati, ma comunque radioattivi, che a ciascuna centrale rimangono come prodotto residuo del processo di fissione.
Occorre osservare che, anche se in Italia (risolti i problemi inerenti la sicurezza delle centrali e lo smaltimento delle scorie) si volesse cambiare direzione tornando all’utilizzo del combustibile nucleare per la produzione di energia, occorrerebbero tempi piuttosto lunghi, oltre che enormi capitali, per costruire nuove centrali elettriche o per riconvertire alcune di quelle esistenti e, quindi, i benefici sarebbero percepibili solo a lungo termine.
Inoltre il consumo di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica e la conseguente emissione di gas serra e, comunque di gas nocivi per l’ambiente, rappresentano solo una parte del totale. Il resto deriva, infatti, da numerosi altri processi di produzione industriale nonché, in larga misura, dal trasporto.
Un ritorno al nucleare, che consentisse di ridurre il consumo di quei combustibili per produrre energia elettrica, costituirebbe, quindi, una soluzione parziale del problema energetico ed ambientale.
Le fonti energetiche rinnovabili, debbono la loro denominazione al fatto che non sono esauribili.
Esse soprattutto non sono inquinanti, poiché in massima parte, soprattutto quelle c.d. non programmabili, non comportano processi di combustione.
Lo schema che segue ne dà l’elencazione e la classificazione.
la legislazione italiana ha creato, inoltre, la categoria delle fonti energetiche assimilate a quelle rinnovabili, anche queste sinteticamente indicate nello schema seguente, le quali consistono tutte, in forme sia pur attuate in modo differente, di risparmio energetico.
E’ intuitivo che questo equivale a produzione di energia rappresentando il lato opposto della stessa medaglia e che esso è e sarà protagonista nella battaglia energetica e nella lotta contro l’inquinamento.
Per concludere questo sintetico approccio con uno degli argomenti più importanti ed attuali del nostro tempo, si può individuare in quello sopra delineato l’ambito di intervento in cui le autorità di tutti i paesi si stanno muovendo e si muoveranno.
Occorre essere ottimisti ed augurarsi che l’umanità vorrà percorrere la strada del risanamento, confidando che si potranno ottenere i migliori risultati senza rinunziare a quei progressi e miglioramenti della vita umana realmente indispensabili; nella consapevolezza, però, che non è più tempo per sprechi e comportamenti sconsiderati.
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