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Pubblico Ministero - Avvocato - Giudice Differenti sensibilità si fronteggiano Jan 14 2008 12:00AM - Avv. Riziero Angeletti (Rieti) Titolo originale: “Il pubblico ministero crede ciò che vuole, l’avvocato crede di far credere,
il giudice non crede che a sé stesso”
La quotidiana esperienza giudiziaria mi porta ad una breve riflessione in ordine alla testimonianza nel processo penale. Ed in particolare a ciò che della testimonianza resta in capo agli artefici della danza spettacolare che offre il palcoscenico giudiziario.
Voglio premettere che personalmente ho la convinzione che la totalità dei testimoni chiamati a deporre dinanzi ad un giudice (penale o civile non fa differenza) potrebbe essere soggetto attivo del delitto di falsa testimonianza.
Un chiarimento necessita.
Falsa deposizione deve intendersi la deposizione non rispondente a verità, cioè racconto di u
Da cosa dipenda il contrasto dialettico sopra indicato e che spiana la via alla decisione finale è arduo definire. Non sempre si tratta di manifesta volontà di rendere una testimonianza falsa. Spesso è il ricordo che distorce i fatti, più volte la predisposizione ad aggiungere il proprio punto di vista, altre volte il tempo trascorso che offusca il ricordo e così ancora l’essere miopi o non dotati di un udito perfetto.
Prendiamo ad esempio un fatto ipoteticamente accaduto: E’ in corso una rapina in banca. Escono i rapinatori con una valigia piena di denaro sottratto alle casse. I fuggitivi salgono su una vettura che in un attimo scompare dietro la curva.
Nello stesso contesto temporale e locale, attraversava la piazza una scolaresca di giovani allievi accompagnati dalla loro insegnante. Il negoziante dirimpetto si accingeva a chiudere la propria bottega e il vigile urbano cercava di dirigere il traffico. Il solito disoccupato dinanzi al bar attendeva il trascorrere del tempo.
Chiamati costoro a deporre sulla individuazione dei responsabili della rapina ascoltiamo le loro risposte.
L’insegnante non ha visto granché perché impegnata a controllare i propri allievi che in quel momento attraversavano la piazza. “Possibile che non abbia udito grida o visto gente correre o un’autovettura schizzar via? Eppure il tutto si è svolto a pochi passi.” “Guardi, glielo giuro, non mi sono accorta di alcunché. I ragazzi facevano tanta confusione che non ho sentito nulla e poi ero preoccupata a controllare il loro attraversamento della piazza. Mi dispiace.”
Il negoziante: “Purtroppo in quel momento ero girato ad abbassare la saracinesca del negozio. Ho sentito delle persone correre ed altri chiamare aiuto, ma se mi chiedete se ho riconosciuto qualcuno non posso affermare di aver visto i volti delle persone. Quando mi sono girato ho appena intravisto una vettura che si allontanava a forte velocità verso nord. Mi sembravano tre persone con il volto scoperto. … anzi uno solo aveva il volto scoperto ma non sarei in grado di descriverne i connotati.” Poi nulla.
Il Vigile Urbano, credibile per divisa, pone una pietra miliare all’utilità processuale. “Ho visto tutto. Tre individui a volto scoperto sono usciti dalla banca alle ore 11,30. Velocemente si sono diretti con due valigette in mano verso un’autovettura bianca di grossa cilindrata e sono filati via. Uno sicuramente era biondo ed alto, un altro basso e moro e il terzo non ricordo esattamente ma mi sembrava anche lui basso e moro. Non ho mai visto quelle persone nel paese, ma sono sicuro di poterli riconoscere.” Chiamato a verificare la compatibilità dei suoi ricordi con l’album della polizia giudiziaria, ne scorre varie pagine finché individua tra i tanti tre persone. “Questo lo riconosco, è quello che aveva la valigetta più grande, si quello moro e basso. Gli altri due mi sembra di riconoscerli in quelli effigiati nelle foto 5 e 6 ma non ci giurerei.”
Il giovane disoccupato non ricorda neppure che vi sia stata una rapina in banca.
Ma il giudice deve decidere.
Il Pubblico Ministero porta in giudizio i tre riconosciuti dal Vigile Urbano attribuendogli il delitto di rapina pluriaggravata. Numerosissimi anni di reclusione li attendono.
L’Avvocato difensore dei tre “delinquenti”- il Signore lo ringrazi - riesce a dimostrare che il moro basso con la valigetta, tale Paolo Rossi, il giorno della rapina era detenuto per altra causa e quindi non poteva essere l’autore della rapina e gli altri due, senza un briciolo di prova non potevano essere condannati sulla scorta del dubbio offerto dal Vigile Urbano.
In dibattimento anche l’insegnante rende una nuova dichiarazione. “In realtà non è che non ho sentito, anzi ho anche visto i tre allontanarsi dalla piazza, ma più che tre rapinatori, mi sembravano tre ragazzi che si rincorrevano perché stavano giocando. Il colore dei capelli, poi, non mi è sembrato di certo scuro o biondo, piuttosto castano”.
Così anche il negoziante che a distanza di due anni pare abbia ritrovato la memoria, ricorda di aver visto che i tre fuggitivi in realtà erano due uomini e una donna: “Ho riconosciuto il passo tipico di donna”.
E, dulcis in fundo, il giovane disoccupato ricorda che nessuno dei tre uomini portava con sé una valigia.
A questo punto il Breviarium di Alarico II calza perfetto.
“Tortura” per i testimoni. Tortura a prescindere dalla falsità delle dichiarazioni o dalle divergenze delle stesse. Come a dire che il testimone è patologicamente falso e dato che la tortura sfida i limiti della resistenza fisica e psichica soltanto chi resiste vuol dire che ha i vantaggi che solo la forza degli Dei può fornirgli. Sia ritenuto vero ciò che da costui è stato affermato. Cordero, nella spiegazione del sistema inquisitorio offre ampie pagine di storia della tortura in ambito giudiziario. Si scopre, ad esempio, che non sempre una sola tortura è sufficiente. Se il destinato ha detto qualcosa di utile la prima volta, lo si sottoponga nuovamente al supplizio, sicuramente avrà ancora cose importanti da riferire e così anche per una terza volta.
Ma non scherziamo. Da un pezzo la tortura è stata abolita. La modernità, la civiltà e la saggezza hanno condotto la coscienza sociale a ben altre conclusioni. Il Testimone giura di dire il vero e di non nascondere al giudice quanto è a sua conoscenza. Quindi il tormento psichico ed interiore che scatta nella coscienza umana non appena il portatore legge la proposizione sacrale costringerà costui a dire il vero. Ed è vero tutto e il contrario di tutto. Solo così il giudice è libero di avere sempre ragione, anche quando il giudice superiore o quello ancora più in alto annulli o riformi le decisioni, è sempre un giudice ad avere ragione.
Ma è giusto che sia così. Non esiste nel nostro ordinamento la possibilità di non decidere. La decisione è saggia e giusta, oserei dire è “santa” e va rispettata oltre ogni confine a meno che non si voglia peccare mortalmente.
“Ed allora decida Signor Giudice, decida subito, si sbrighi, non abbiamo più tempo, siamo esasperati. Termini questo stillicidio, son già passati sei anni ed ancora siamo qui a decidere ciò che deve essere deciso. Non ci importa più quel che deciderà, ma decida, la imploriamo.”
“Ma certo che vi accontenterò. Avrete la mia decisione che oggi consacro in un’assoluzione piena per tutti gli imputati.”
Gioia e felicità. Libertà, ringraziamenti, laute parcelle. Rabbuia il Pubblico Ministero, ma in fondo è la giustizia che deve emergere e la giustizia per il Pubblico Ministero è il contenuto della sentenza di assoluzione. Mi guardano esterrefatti i miei giovani praticanti nell’udire queste affermazioni. “Avvocato scherza o dice sul serio”. “Perché cosa c’è di male in fondo lo dice il codice. Ma sarà vero? Lo dice il codice ma tu ci credi? Boh. Sarà.” Ma i dubbi restano.
Poi, d’un tratto, dopo qualche giorno accade l’imponderabile. Giunge in studio la notifica del dispositivo di quella sentenza già letto agli astanti d’udienza: “Il Giudice, blà, blà, blà, condanna …” !!!!!!”. Condanna? Si, e non solo, spese, provvisionale e tormenti. “Avvocato, cosa è accaduto?” “ Non so io non c’ero ditemi voi.” Si cumulano i ricordi di più persone presenti e tutti concordano per l’assoluzione: Il giudice aveva assolto.
Avete visto? Il Pubblico Ministero ha creduto fermamente alla sua tesi, ha avuto anche ragione, ma ha creduto anche al contrario di tutto.
L’Avvocato ha creduto di aver fatto credere le proprie ragioni ma alla fine è il Giudice che ha deciso per aver creduto a sé stesso.
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