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Forum 12

«In house providing» Nell’ordinamento italiano

Un contributo alla conoscenza


Nov 10 2008 12:00AM - Avv. Francesco Colapaoli


(Rieti)

L’istituto dell’in house providing compare per la prima volta nel Libro Bianco del 1998, nel quale la Commissione Europea, con riferimento al settore degli appalti pubblici, qualifica gli affidamenti cd. in house come quelli aggiudicati all’interno della Pubblica Amministrazione, ad esempio tra Amministrazione centrale e locale, o, ancora, tra un’Amministrazione ed una società interamente controllata (V., Corte dei Conti, Regione Sicilia, Sez. controllo, deliberazione 2.4.2008, n. 10). In materia di appalti pubblici, ormai comunemente, si parla di cd. appalti in house o in house providing, per identificare il fenomeno dell’autoproduzione di beni e servizi da parte di una P.A. per il soddisfacimento dei bisogni di una collettività mediante il cd. affidamento diretto, in contrapposizione al diverso fenomeno del cd. outsourcing o esternalizzazione con il quale, viceversa, la P.A., per il soddisfacimento di tali bisogni si avvale dello strumento della procedura di gara, nel rispetto delle regole in materia di concorrenza. Nel primo caso, il contratto pubblico è affidato a soggetti che possono essere qualificati parte della stessa P.A. (si parla di in house contracts), su un modello di delegazione interorganica. In altri termini, si è consentito di evitare di ricorrere al fenomeno dell’esternalizzazione mediante procedura di gara, nel rispetto del diritto comunitario sugli appalti pubblici, quando il rapporto contrattuale sussiste tra soggetti solo formalmente ma non sostanzialmente distinti, tanto che l’ente affidatario non è più un soggetto terzo rispetto all’Amministrazione affidante, ma si configura quale longa manus della stessa. Come è intuibile, tale istituto costituisce una deroga ai principi di concorrenza e trasparenza tale da prestarsi a determinare, in caso di abusi, anche in considerazione degli interessi sottesi, evidenti distorsioni del libero mercato, tanto è vero che sin dal suo primo apparire, la giurisprudenza comunitaria ne ha delineato precise condizioni di ammissibilità stabilendo in particolare con l’ormai storica sentenza “Teckal” che il ricorso all’istituto dell’in house providing legittima l’affidamento diretto del servizio da parte di un ente pubblico a una persona giuridicamente distinta, senza preventiva gara, qualora l’ente eserciti sul soggetto giuridico distinto un controllo analogo a quello dallo stesso esercitato sui propri servizi;ed il soggetto giuridico realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che la controllano (V., C. Giust. CE, 18.11.1999, C-107/98, Teckal). Nel nostro ordinamento, questa prima definizione è stata trasfusa nel T.U.E.L. all’art. 113 co. 5 lett. c), laddove si dice che l’erogazione del servizio avviene con conferimento della titolarità del servizio a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. Come era prevedibile, sia nella successiva giurisprudenza comunitaria, sia nella giurisprudenza amministrativa italiana, tale definizione si è prestata a mutevoli quanto contingenti interpretazioni, foriere di un clima di incertezza che hanno condotto financo a discutere sull’attuale ammissibilità del ricorso a questo istituto. Infatti, l’Unione Europea, da un lato a tutt’oggi ritiene che esistano situazioni nelle quali l’interesse pubblico affidato ad un soggetto pubblico sia più proficuamente curato attraverso un soggetto imprenditoriale che ad esso risponda direttamente in virtù di un rapporto di proprietà azionaria o comunque di controllo diretto (V., C.G.A.R. Sicilia, decisione 4.9.2007, n. 719), piuttosto che affidarlo ad un soggetto privato seppur scelto con procedura ad evidenza pubblica, dall’altro però tende a considerare questo fenomeno come del tutto eccezionale, tanto è vero che nel linguaggio giudiziario della Corte di Giustizia si parla comunemente di “eccezione Teckal”. Il nodo centrale, tuttora non risolto in dottrina e giurisprudenza, resta quello degli affidamenti diretti sia a società a totale partecipazione pubblica le quali siano potenzialmente aperte al capitale privato sia a società miste pubblico – private, anche nel caso in cui il socio privato sia stato scelto con procedura ad evidenza pubblica. A tal proposito, negli anni, la giurisprudenza ha via via puntualizzato gli indici rivelatori del controllo analogo, determinando un progressivo restringimento dell’area di operatività dell’istituto dell’in house providing in tutte quelle società nelle quali tale controllo non è garantito da stringenti poteri dell’ente o degli enti territoriali. Attualmente in relazione a tale problematica, da un lato il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione siciliana sostiene che la scelta del socio privato con procedure ad evidenza pubblica di per sé non consenta di rinvenire le garanzie minime per la possibilità di ricorrere agli affidamenti diretti, mentre parte della dottrina e della giurisprudenza sostengono che le società miste a prevalente partecipazione pubblica possono accedere agli affidamenti diretti quando la scelta del socio privato di minoranza sia avvenuta con procedura ad evidenza pubblica. In una posizione intermedia tra questi due opposti orientamenti si rinviene il parere n. 456/07 espresso dalla Sez. II del Consiglio di Stato nel quale il socio privato diviene “socio industriale od operativo” e, conseguentemente, in tale qualità concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico, cessando dalla sua funzione alla scadenza del periodo di affidamento con conseguente inevitabile rinnovo della procedura ad evidenza pubblica di scelta del partner che ha il vantaggio di evitare la formazione di soci stabili. Tale orientamento intermedio è stato di recente avallato dal Consiglio di Stato riunito in adunanza plenaria con la decisione n. 1 del 3.3.2008 nella quale, tra l’altro, si è evidenziato che in mancanza di indicazioni precise da parte della normativa e della giurisprudenza comunitaria, non sia elaborabile una soluzione univoca o un modello definitivo. Comunque, nell’incertezza generale, la Commissione Europea ha inoltrato all’Italia un parere motivato, relativo all’affidamento diretto dei servizi di gestione delle acque e delle acque reflue, parere nel quale si ribadisce che nel nostro paese non sono soddisfatte le condizioni per l’applicazione dell’eccezione in house. Appare, quindi, sempre meno lontana l’attivazione di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia mentre, di recente, è stata avviata la procedura di infrazione nei confronti della Germania proprio in relazione all’affidamento diretto del servizio di smaltimento dei rifiuti.

 

 

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