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Forum 12

Pacchetto sicurezza

Commento al d.l. n. 92/2008 Seconda Parte


Nov 10 2008 12:00AM - Avv. Marco Arcangeli


(Rieti)

Come è noto, il 21 Maggio 2008 il Consiglio dei Ministri ha deliberato il D.L. recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, pubblicato sulla G.U. del 26.05.2008 ed entrato in vigore dal giorno successivo. Trattasi dell’ennesimo intervento legislativo di emergenza, probabilmente non in linea con i parametri di straordinarietà, necessità ed urgenza previsti dalla Costituzione all’art. 77, teso in modo evidente a fungere da risposta, da parte della nuova classe politica al governo, all’asserito bisogno di sicurezza sociale insito nella cittadinanza. Non si dimentichi, del resto, che secondo gran parte dei commentatori politici la capacità o meno di affrontare tale problematica è risultata decisiva nella recente partita elettorale. Una soluzione, quindi, che non poteva lasciare insoddisfatte le esigenze, o meglio sarebbe dire in alcuni casi le pretese, di apparente sicurezza a discapito di una corretta politica criminale comunque consona ai precetti costituzionali tipici di uno stato liberale. Tralasciando, per ovvie questioni di spazio, le modificazioni apportate nel suddetto provvedimento in materia di circolazione stradale, con l’art. 1 del d.l. vengono introdotte significative varianti alla parte generale del codice penale, mentre al successivo art. 2 si incide sulle norme processuali del codice di rito. Quanto al primo aspetto, in particolare, intendo riferirmi all’inserimento di un comma, l’11-bis, all’art. 61 c.p., secondo cui la pena è aumentata fino ad un terzo qualora l’autore del reato (rectius: di qualsiasi reato) sia soggetto “che si trovi illegalmente sul territorio nazionale”. Il legislatore d’urgenza ha cioè previsto una nuova circostanza aggravante a carico dello straniero, anche comunitario, che, trovandosi non in regola con le norme amministrative che regolano il soggiorno nel nostro Paese, si renda colpevole della commissione di un fatto reato. Si è raggiunta così l’apoteosi del cd. diritto penale del nemico o del diverso, in uno il diritto penale d’autore, secondo un orientamento ideologico prettamente punitivo che considera il clandestino soggetto, o meglio oggetto, da colpire e neutralizzare con misure parallele a quelle previste in via ordinaria. Il tutto a discapito della funzione rieducativa della pena senza, d’altro canto, alcuna assicurazione in merito all’efficacia di prevenzione generale che pure si vorrebbe far intendere quale primario obbiettivo della modifica normativa. E’ evidente come in tal modo si operi in netto contrasto con il precetto costituzionale di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3) ma, a ben vedere, ci si pone altresì fuori dal contesto delle fondamentali norme di diritto internazionale quali quelle contenute nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo che non ammettono alcuna disparità di trattamento basata sull’origine nazionale o sulla condizione personale. Del resto, senza scomodare principi di tal rango, appare sufficiente richiamare l’attenzione sul concetto di lesività del fatto previsto come reato e, di conseguenza, sull’effettivo disvalore insito nell’azione criminosa, parametri che certamente non assumono maggior valenza antigiuridica se riferiti ad un autore clandestino. L’auspicio è che la difesa e/o il giudicante sollevino quanto prima questioni di illegittimità costituzionale sull’aggravante in questione. A ben vedere, più che un aleatorio augurio di legalità si è in presenza di certezze, visto è quel che in parte sta accadendo nelle aule di giustizia sin dai primi giorni di applicabilità del decreto legge, seppur con indirizzi giurisprudenziali inevitabilmente contrastanti. La previsione dell’art. 1 del d.l. contiene altresì la nuova disciplina delle misure di sicurezza di cui agli artt. 235 e 312 c.p. , con integrale sostituzione del precedente dettato normativo. Anche in questa sede si intende inasprire il regime di sicurezza a carico in un caso dello straniero non comunitario, nell’altro del comunitario, mediante la rilevante estensione dei casi di espulsione in seguito a condanna con introduzione della nuova fattispecie di reato di trasgressione all’ordine di espulsione dell’extracomunitario o all’allontanamento del cittadino comunitario. Ad ogni modo, seppur sottaciuto alla pubblica opinione, ciò che non muta è la necessità di valutazione della concreta pericolosità sociale dell’intimato, senza la quale, ovviamente, non vi è alcuna possibilità di applicazione di misura di sicurezza. A tacer delle difficoltà di applicazione nei confronti di cittadini comunitari, dati i vincoli già esistenti e vigenti nel diritto dell’U.E. circa la possibilità di limitare la libertà di circolazione in territorio comunitario, è d’obbligo evidenziare come una norma di simil portata già è presente e vigente nel nostro ordinamento all’art. 16 del D.lvo n. 286/98. Quanti di noi ricordano di aver assistito all’applicazione di tale norma? Con ogni probabilità ben pochi, visto che l’espulsione quale sanzione sostitutiva o alternativa alla pena detentiva è rimasta assolutamente inapplicata, o meglio sarebbe dire inapplicabile, per le consuete ragioni di mancanza di mezzi economici e/o organizzativi. Il decreto in questione, come risaputo e detto, si occupa altresì di modificare alcune norme processuali, lasciando ivi emergere ancor più, se possibile, l’evidente spregio per il precetto costituzionale di necessità ed urgenza. Senza entrare nello specifico degli istituti “rielaborati”, ciò che si tende a realizzare è da una parte il rafforzamento delle possibilità di procedere alla celebrazione di riti alternativi semplificati, con evidente diminuzione delle garanzie dell’imputato (basti ragionare sulla necessità che la misura cautelare sia in atto per procedere a rito “quasi” immediato). A ciò si aggiunga il rischio, neanche tanto improbabile, che il giudice in tali casi sia così influenzato nel decidere sull’istanza di revoca della misura custodiale poiché, in caso di accoglimento, svanirebbe la possibilità di definizione non ordinaria. Per concludere sul punto, non si capisce inoltre l’utilità processuale della soppressione del cd. patteggiamento in appello che pure in alcuni casi aveva dato prova di indubbia deflazione. Altro aspetto significativo è che nel d.l. 92/08 si aggiunge all’art. 12 del T.U. sull’immigrazione il comma 5-bis introducendo il delitto di cessione di immobile a straniero non soggiornante regolarmente sul territorio nazionale, sanzionato con pena da 6 mesi a 3 anni di reclusione con susseguente confisca dell’immobile in caso di irrevocabilità della sentenza, salvo che lo stesso sia di proprietà di soggetto estraneo alla condotta illecita. Da evidenziare come il legislatore fa riferimento allo straniero che soggiorna irregolarmente in Italia, con ciò comprendendo anche colui il quale se dapprima regolare diventi poi non più in regola per mancato rinnovo o revoca del permesso. Ma, come già per alcuni aspetti accade nei centri urbani della maggiori città, lungi dal realizzare quell’effettiva funzione di prevenzione a cui appare tendere la ratio legis, in effetti è facile prevedere come il precetto possa venire aggirato dalla stipulazione del contratto locativo in capo a soggetto in regola, con inevitabile applicazione di un sovrapprezzo a carico dello straniero clandestino che si avvale di questa sorta di intermediazione. Con due inevitabili effetti negativi: non si dissuade alcuno dal lucrare ingiustamente oltre parametri locatizi di mercato ed inoltre si aggrava lo sfruttamento dei non regolari che, a fronte del “servizio” di mediazione fittizia si vedono costretti ad un ulteriore ed odioso esborso di denaro. Circa la sanzione della confisca, come del resto in merito all’entità della pena per detta fattispecie illecita, vi è da rimarcare come risulti assolutamente sproporzionata alla lesività ed offensività del fatto. Per concludere, ancora una volta occorre prendere atto che in capo al legislatore, appartenente all’uno o all’altro schieramento non importa, non si intravede alcuna volontà e/o capacità di affrontare in modo organico le disfunzioni della giustizia penale. Si è voluto quasi esclusivamente soddisfare il bisogno, spesso non effettivo ma solo percepito, di sicurezza sociale proveniente da vasti strati dell’opinione pubblica. Occorrerebbe invece prendere atto, ma la speranza è ormai moribonda, che vi è urgente necessità di adottare misure di “sistema”, anche impopolari se del caso, senza rincorrere continuamente le sirene di allarme sociale spesso alimentate senza giustificazione dai mass media.

 

 

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