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LA RESTITUZIONE DI UN PASSATO L’acquisizione del cognome Oct 30 2008 12:00AM - Raffaella Ginanneschi (Rieti) L’iter evolutivo dell’acquisizione del cognome, quale segno distintivo di una determinata progenie, ha contrassegnato nel tempo il ruolo giuridico-sociale della donna. E’ interessante constatare che in Islanda vige tuttora il modus di trasmissione del suffisso patronimico “figlio di”, mutuato dalle antiche società. Tuttavia, originariamente, tale specificità del rapporto di filiazione ricorreva frequentemente come esclusiva prerogativa femminile. Dalle ricerche archeologiche, effettuate sui registri regali dell’Egitto protodinastico e sulle iscrizioni tombali etrusche e licie, è emerso un usuale ricorso al matronimico attraverso il quale i figli, anche sovrani, derivavano il loro nome direttamente dalle madri, le quali, pertanto, erano concepite come persone giuridicamente autonome, e, come tali, restavano estranee alle forme di tutela proprie del mondo classico greco-romano. Attualmente, invece, la priorità della linea materna è osservata soprattutto da alcuni popoli che custodiscono usanze matriarcali, le quali si rinvengono in talune remote zone indiane, ovvero in Tibet, laddove l’individuazione sociale si esaurisce con l’adozione di un nome unico, retaggio di arcaiche pratiche di poliandria adelfica, perseguita ancora oggi al fine di radicare un monitoraggio muliebre sui patrimoni familiari. In altre civiltà, come quella ebraica, invece, la donna tramanda al figlio lo status di appartenenza culturale, a prescindere dall’assegnazione nominale paterna. E’ bene ricordare che all’epoca della persecuzione sistematica del XX secolo, la legislazione italiana imponeva beffarde e ciniche applicazioni all’inverso del particolare principio matrilineare; a tal proposito si rievoca l’art.3 della legge 13 luglio 1939-XVII, n.1055, il quale sanciva che i cittadini italiani nati da padre ebreo e madre non appartenente alla razza ebraica, che non erano considerati di “razza ebrea” ex art.8, ult. co., R. decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n.1728, potevano ottenere di sostituire, al loro cognome, quello originario materno. D’altro canto, la obbligatorietà di precisare le genealogie, attraverso la operatività del rapporto di successione ereditaria, così come introdotta dal Concilio di Trento nel 1564, non ha espresso storicamente solo un precipuo intento di evitare legami tra consanguinei; infatti, l’automatismo del cognome paterno ha convalidato un privilegio discriminatorio, tuttora persistente, soprattutto nel nostro Paese. Il turnover di significativi disegni di legge, proposti nel corso degli ultimi trenta anni (destinati inesorabilmente all’oblio), dimostra una certa ritrosia del Legislatore nell’apportare mutazioni alla stereotipizzazione di ruoli, di aspettative e di comportamenti, la quale costituisce il diniego dell’importanza della dicotomia che la donna esprime nell’ambito della famiglia. Invero, allo stato attuale non può che essere applicata una normativa che, sebbene sia costellata di diritti ed obblighi ordinanti la solidarietà e la parità tra coniugi (ad. es. artt.143 e 144 c.c.), alla luce dei valori costituzionali di uguaglianza (art.3 e art.29 Cost.), assume un’apicale contraddizione nello stesso contesto di trattazione del rapporto di coniugio; infatti, l’aggiunta del cognome maritale, senza condizione di reciprocità (art.143bis c.c.), costituisce una previsione conservativa di frammenti patriarcali che condizionano inevitabilmente la identificazione, la discendenza generazionale e la stessa unità familiare. Peraltro, la Consulta ha dissipato il dubbio di costituzionalità riguardante la regolamentazione della filiazione legittima, nella parte in cui non è prevista la disapplicazione della estensione ipso iure del cognome paterno, qualora sia concordata e legittimamente manifestata dai coniugi. Infatti, a fronte della accertata esorbitanza dai suoi poteri, la Corte Costituzionale non ha ritenuto ipotizzabile “una pronuncia che, accogliendo la questione di costituzionalità, avrebbe potuto demandare ad un futuro intervento del Legislatore la successiva regolamentazione organica della controversia” (Corte Cost. 16 febbraio 2006, n.61). Oltre ciò, la difficoltà di risolvere una “serie aperta di opzioni” (C.Cost. N.61/2006 cit.) non è stata superata dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. Sez. I Civ., 6 giugno 2008, n.15087; Cass. Sez. I Civ., 5 febbraio 2008, n.2751; Cass. Sez. I Civ., 14 luglio 2006, n.16093), chiamata a pronunciarsi su talune fattispecie (aggiunta o sostituzione del cognome paterno a quello materno nel caso di riconoscimento da parte del padre del figlio naturale). Al riguardo, il canone prioritario di ponderazione delle decisioni, propugnato in ordine all’attribuzione o modificazione del cognome, corrisponde all’interesse del minore, anche in ragione della equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi. Tuttavia, l’insopprimibile diritto della personalità, ascrivibile al figlio e pertinente alla identità originaria, non risulta sempre adeguato ad escludere a priori ogni forma di tutela delle esigenze genitoriali materne. Queste ultime, infatti, vengono frustrate anche nei casi di adozione da parte dei coniugi (art.299, co.3, c.c.) e di contestuale riconoscimento di entrambi i genitori nei confronti del figlio naturale (art.262, co.1, c.c.), salva la facoltà di scelta del figlio maggiorenne (art.33, DPR 3 novembre 2000, N.396). D’altro canto, l’invocazione giurisprudenziale ad una disciplina più attenta alla tendenza “omologatrice” del Trattato di Lisbona, veicolo della parità sociale sostanziale (art.1bis e art.2, co.3, Tratt. Lisbona), lumeggia su principi che nella loro interezza dovrebbero essersi già radicati anche nel nostro Paese, firmatario della Convenzione di New York (Eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna) del 18 dicembre 1979, resa…esecutiva in Italia con la legge 14 maggio 1985, n.132. Tuttavia, la recente ordinanza “interlocutoria” (Cass., Sez. I Civ., 19 marzo - 22 settembre 2008, n.23934), sebbene replichi i pregressi orientamenti, è marcatamente propositiva e non è riducibile ad un mero gradiente sociale; infatti, grazie alla ratifica del Trattato di Lisbona di cui alla legge 2 agosto 2008, n.130, la Cassazione profila una improrogabile attivazione del Parlamento ai fini della tutela di un cognome più rappresentativo della storia genealogica e più coerente con l’ordinamento sovranazionale, anche attraverso il formale recupero della memoria storica della stirpe materna. (Segue Appendice aggiunta dall’Autore in data 2 Aprile 2015) La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo , Sez. II, sentenza 07.01.2014, n° 77/07, è intervenuta a risolvere l’impasse italiano; con la sentenza di Strasburgo, l’Italia è stata condannata per aver violato i diritti di due coniugi a cui era stata negata la possibilità dell'attribuzione del nome della madre alla figlia. Tale pronunciamento ha indotto il nostro Paese ad adottare riforme per rimediare ad una violazione che attiene ai diritti della persona. Nel 2014, il quadro normativo europeo è apparso per la Corte alquanto esplicito: la stessa Carta sui diritti fondamentali della Ue di Nizza, che tutela l’identità personale e garantisce la parità di trattamento tra uomo e donna, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri. Pertanto, a carico dell’Italia è sorto un preciso obbligo, il cui adempimento permetterà un più significativo avvicinamento all'Europa. Con il disegno di legge, Atto della Camera 360, Relatrice l’On.le Prof.ssa Michela Marzano, cade inesorabilmente un obbligo imposto alla nascita, rappresentato dall’automatismo del cognome paterno. Sarà attribuita piena facoltà di scelta che investirà diverse evenienze, cfr. www.cognomematerno.it . Il passaggio al Senato per il vaglio finale (DdL S 1628) costituisce comunque un passo importante per la definizione di una normativa che rappresenterà una svolta epocale per tutti noi italiani. Finalmente sono destinate al dissolvimento tutte quelle resistenze opposte alla legge in questione; infatti, la rievocazione di quella presunzione biologica e sociale di maternità “semper certa est”, che non necessita come tale di un ulteriore rafforzamento, non appare più tanto convincente; altresì, costituirà un mero ricordo di arretramento culturale la considerazione della trasmissione del cognome paterno come principale e prezioso strumento di riconoscimento formale e sostanziale dei padri!
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