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La Giustizia a Rieti Un’isola felice? Oct 24 2008 12:00AM - Marco Arcangeli (Rieti)
Sino ad un paio di giorni or sono, riflettendo sull’argomento da proporre ai lettori di Forum per il presente numero, era mia intenzione evidenziare il certosino lavoro di natura statistica appena realizzato dall’Eurispes in collaborazione con l’Unione delle Camere Penali circa le ragioni del (mal)funzionamento del processo penale, con particolare riguardo alla sua eccessiva durata.
L’elaborato di indagine, originato dall’osservazione scientifica di ben 12.918 processi celebrati in 27 Tribunali campione, oggetto di apposita pubblicazione editoriale con il titolo “Rapporto sul processo penale”, edizione eurilink 2008, non viene ad esistere come un noioso e stucchevole elenco di dati privo di immediato collegamento con la realtà quotidiana delle aule di giustizia penale che, se così fosse, ben a ragione giustificherebbe la consueta ritrosia di ogni buon avvocato per i numeri.
La ricerca riserva al contrario una base di concretezza per meglio comprendere le effettive motivazioni, da cui le evidenti responsabilità, della durata, spesso inaccettabile anche sotto il profilo costituzionale, di quello che dovrebbe essere il giusto processo.
Nel frattempo, però, complice un fine settimana di assoluto relax, è sopraggiunta la lettura del libro “La Palude”, sottotitolo “Gli sprechi, le assurdità, gli eccessi e gli interessi che paralizzano la giustizia italiana” (editore Gremese), in cui l’autore Massimo Martinelli, cronista di giudiziaria del Messaggero, a dispetto di quanto ci si può aspettare dal sottotitolo, non si limita come molti a ragionare solamente sulle ben note e ripetute disfunzioni degli apparati giudiziari, ma in modo inusuale intende dar rilievo ad alcuni, seppur purtroppo quasi isolati, casi di efficiente amministrazione della giustizia nel nostro Paese.
Trattasi di situazioni vigenti a prescindere dalle differenze culturali nord-sud e comunque tutte caratterizzate da un’unica preoccupante base di partenza rappresentata dalla ormai cronica carenza di risorse.
Tutto ciò a voler significare che in gran parte la realtà di ogni giorno è opera del singolo più che del sistema.
Quest’ultima riflessione, di cui ovviamente non ne pretendo l’assoluta condivisione, ben potendo essere tacciata di eccessiva superficialità e banalità, ha suscitato in me l’idea di posporre la presentazione della ricerca Eurispes per tentare in qualche modo di evidenziare alcune di quelle che a mio personalissimo avviso emergono in questo momento come criticità dell’amministrazione della giustizia nel foro di Rieti.
Naturalmente nelle prossime occasioni non ci si dimenticherà di quel che accade a livello nazionale, tanto che, in ciò adoperando una fusione di intenti, la Camera Penale di Rieti unitamente all’AIGA, è in procinto di organizzare per il mese di dicembre un convegno sulle effettive ragioni della durata dei procedimenti in cui parteciperanno in qualità di relatori il citato Massimo Martinelli, il Dott. Stefano Dambruoso, attualmente consigliere giuridico del Ministro della Giustizia, nonché alcuni esponenti dell’Unione delle Camere Penali scelti tra coloro che hanno curato l’analisi statistica dell’Eurispes.
Mi si permetta a questo punto una breve premessa: le problematiche che sto per esporre sulla situazione del foro non hanno naturalmente alcuna pretesa di esaustività né d’altro canto appaiono sintomo di rassegnata irreparabilità, bensì rappresentano a mio modo di vedere uno spunto di riflessione su quello che potrebbe essere efficiente, ma che purtroppo si dimostra non esserlo, in seno gli uffici giudiziari e le aule di giustizia del nostro circondario.
L’esposizione che segue è naturalmente frutto della personale esperienza e pertanto rappresenta una visione inevitabilmente parziale e soggettiva, oltre che disorganica, con preponderanza per il settore penale a causa della scarna familiarità dello scrivente nella pratica quotidiana del diritto civile.
Ad ogni buon conto esorto ogni Collega che voglia al riguardo rappresentare la sua opinione a contattarmi affinché si possa approfondire e aggiornare di volta in volta le problematiche rilevate, magari per farne poi utilizzo in iniziative e proposte da sottoporre agli organi competenti, quali ad esempio il Consiglio dell’Ordine o la stessa Camera Penale, dandone il giusto risalto anche confidando nella consueta ospitalità di Forum.
La convinzione di fondo è che in un foro della classe dimensionale quale è quello di Rieti si possa pretendere, anzi si debba, un andamento quotidiano nell’amministrazione della giustizia scevro da certe disfunzioni da qualcuno sin troppo frettolosamente considerate inevitabili.
In questo senso non ci si può certo trincerare, come spesso accade, su giustificazioni sorrette da ingestibili carichi processuali ovvero su carenze croniche di risorse, economiche e/o umane.
Ciò poiché, come tutti sanno, la principale preoccupazione di noi avvocati reatini (fondata purtroppo sui numeri) è proprio quella rappresentata dallo scarso volume di procedimenti pendenti, e d’altra parte l’insufficienza di fondi economici a disposizione è comune a tutti i circondari, anche a quelli in cui il buon funzionamento è in qualche modo assicurato, mentre riguardo alla presenza di personale, salvo alcune criticità di cui appresso si dirà, oltre che non assumere carattere di cronicità, in ogni caso non appare così grave da essere causa di malfunzione.
Ad ogni buon conto, la personale convinzione dello scrivente è che molto dipenda dalle modalità di inserimento delle persone nell’organizzazione di ogni ufficio e quindi dalla capacità di motivare e valorizzare il personale addetto ad un determinato servizio, ivi compresi i magistrati, senza necessariamente attribuire “colpe” al singolo individuo.
Più in particolare, le ragioni che originano le inefficienze scaturiscono in buona parte dall’assenza di progettualità nel lavoro giornaliero delle cancellerie, nella mancata individuazione delle priorità da affrontare, nella carenza di coordinamento e supervisione, da cui una scarsa analisi delle problematiche riscontrate e, di conseguenza, un’assenza di soluzioni praticabili tali da eliminare una volta per tutte l’inconveniente.
Naturalmente anche nel nostro territorio giudiziario esistono esempi concreti di assoluta capacità, come ad esempio la cancelleria penale dibattimentale del Tribunale di Rieti, valutazione questa che ogni Collega penalista non potrà che condividere.
E’ allora logico e necessario domandarsi da parte di tutti perché lì si assicura efficienza e altrove un po’ meno.
L’elencazione delle emergenze non può che iniziarsi dagli uffici del Giudice di pace, citati spesso presso l’opinione pubblica come i principali risolutori delle lungaggini giudiziarie avendo sempre più assorbito vasti settori di contenzioso prima o altrimenti di competenza del Tribunale.
A non voler considerare comunque che ciò che rende efficiente un sistema non è solamente la capacità di smaltire l’arretrato bensì soprattutto la qualità del lavoro svolto, viene ad esempio da domandarsi come si possa valutare l’operato di giudici di pace che impiegano anni per il deposito di sentenze o svariati mesi solo per sciogliere una riserva in ordine all’ammissione dei mezzi di prova.
Ed ancora: che impressione maturerà il comune cittadino alle prese con un’udienza fissata per le opposizioni ad ingiunzione, testimonianza forse del suo primo (e ultimo?) contatto con il mondo giustizia, che nel leggere il ruolo affisso fuori dalla stanza del giudice apprende della contemporanea pendenza di ben 44 procedimenti con conseguente trattazione sino alla ore 14 ed oltre?
Quale ricordo lo stesso potrà riportare ai suoi familiari e conoscenti nell’attendere il proprio turno, in condizioni ambientali precarie, sino al pomeriggio inoltrato (spesso sin dopo le ore 17,00) nonostante l’esistenza di un ruolo di “appena” dieci o dodici procedimenti?
E perché non si riesce in tempi accettabili perlomeno ad iscrivere a ruolo un ricorso per decreto ingiuntivo, magari con particolare attenzione a quelli con richiesta di provvisoria esecutività, tanto che ad oggi pare che si sia in procinto di iscrivere quelli depositati un mese e mezzo addietro?
Con l’inevitabile conseguenza che decorrendo in taluni casi tra il deposito del ricorso e l’emissione del decreto più dei 90 giorni previsti dalla normativa europea in materia di tutela del creditore nell’ottenere un provvedimento di riconoscimento giudiziale del proprio diritto, lo Stato Italiano potrebbe in teoria venire sottoposto ad una procedura di infrazione per inadempimento nell’applicazione del diritto comunitario.
Naturalmente molto altro ci sarebbe da scrivere sull’amministrazione della giustizia da parte degli uffici del Giudice di pace ma rischieremmo di oltrepassare la linea argomentativa di questo articolo per spostare la questione su tematiche di valenza più propriamente politica, quale, valga solo come accenno, quella dell’utilità di affidare o meno ad un organo giurisdizionale, seppur onorario, anziché ad un’autorità amministrativa, l’impugnazione di sanzioni al codice della strada (che rappresentano circa il 50% delle pendenze) nonché l’opportunità, anche in termini di equità e giustizia sostanziale, di far esercitare dal medesimo giudice onorario la giurisdizione penale per legge ad esso riservata anziché procedere ad una più efficace depenalizzazione dei reati bagatellari.
In ogni caso sussiste l’urgente esigenza di accorpare a Rieti e a Poggio Mirteto gli uffici sino ad oggi sparsi sul territorio del circondario onde ovviare all’inconveniente, per certi versi tangibile, dell’insufficienza del personale nelle summenzionate sedi principali.
Spostando il discorso sul Tribunale di Rieti, per chiunque di noi che è solito frequentare le cancellerie penali, balza subito all’evidenza l’inadeguatezza organizzativa di quella del GIP-GUP.
In detta sede, nonostante l’abnegazione al servizio da parte di alcuni, si deve ravvisare una tempistica non adeguata alla esigenze processuali, se è vero che a volte occorre attendere diversi mesi per ottenere una decisione su una qualche istanza ivi depositata.
In particolar modo appaiono del tutto sottovalutate, e quindi sottoposte ad un iter certamente meno “curato”, quelle istanze in materia di patrocinio a spese dello Stato e di liquidazione del difensore di ufficio che invece per ovvi motivi rappresentano per molti di noi una priorità.
Per anticipare facili obiezioni alla suddetta considerazione, deve sottolinearsi che non vi è difensore che non comprenda come in seno ad un ufficio di tal importanza possa riconoscersi, in modo più o meno esplicito o per espressa previsione legislativa, la precedenza ad istanze che incidono più profondamente sui diritti del cittadino, quali ad esempio quelle in materia di revoca e/o modifica delle misure cautelari.
E’ però altrettanto innegabile come, pur partendo dal dato oggettivo che l’ufficio GIP-GUP è ormai interessato da un numero considerevole e qualitativamente oneroso, per il giudice e per il personale amministrativo, di procedimenti quali ad esempio quelli sfocianti in riti alternativi, tutto ciò non deve distogliere l’attenzione dal fatto che con una buona (ri)organizzazione interna si potrebbe quantomeno migliorare i tempi e la qualità di risposta di ogni singola istanza.
Le ultime osservazioni vanno riferite invece al dibattimento penale, ma non per contraddire la premessa già svolta circa l’efficienza della relativa cancelleria, quanto per affrontare un ulteriore argomento giustamente caro a molti avvocati, ovvero i criteri adottati per la liquidazione delle parcelle di difensore di ufficio e per quelle in materia di gratuito patrocinio.
Chi scrive alcuni anni or sono partecipò ad una serie di riunioni informali tra avvocatura (Consiglio dell’Ordine) e magistratura per approvare delle linee guida sulle liquidazioni degli onorari previste dall’art. 82 T.U. 115/02.
In seguito all’ennesima riunione si riuscì a predisporre una sorta di parcella tipo per ogni tipologia di procedimento che tenesse in debito conto delle prescrizioni di legge (onorari non superiori ai valori medi tariffari) nonché dell’interesse dell’avvocato istante.
Sostanzialmente si stabilì di applicare per i processi di minima importanza, quali quelli, richiamati esplicitamente a puro titolo di esempio, a carico di stranieri per violazione dell’ordine di espulsione, onorari di poco superiori ai minimi tariffari, con l’ulteriore conseguenza che tutti gli altri procedimenti, ritenuti di maggior complessità, avrebbero meritato un trattamento economico pari o quasi agli onorari medi.
L’intesa venne addirittura suggellata in una nota dall’allora presidente di sezione Dott. Paolillo il quale in questo modo volle riconoscere una certa ufficialità all’iniziativa in questione.
A distanza di anni si deve però purtroppo registrare il fatto che solamente alcuni magistrati, a volte in modo esplicito e trasparente, seguono le indicazioni contenute in quella parcella-tipo, con il risultato che in questo caso le relative liquidazioni appaiono comunque in qualche modo accettabili.
Diversamente, altri giudici non tengono affatto in considerazione i criteri suddetti, pur non potendo ignorando l’esistenza della nota, costringendo spesso il malcapitato difensore ad impugnare il provvedimento di liquidazione.
Al riguardo molti di noi potrebbero esporre la loro infausta esperienza, come il collega che mi raccontava della misera e non degna liquidazione di circa € 170 per un procedimento patteggiato ovvero di € 250 per una udienza di convalida e successivo rito alternativo.
A tacer dei procedimenti di maggior valenza processuale, anch’essi purtroppo accomunati dalla triste sorte costituita dal fatto di non tenere nel debito conto il complesso lavoro di studio e di udienza (spesso di alcune udienze) che caratterizza il compito della difesa.
Con l’aggravante che a volte non vi è motivazione alcuna circa il mancato riconoscimento di voci tariffarie inserite nella parcella depositata, determinando così anche una certa difficoltà nel predisporre l’atto di impugnazione del decreto di liquidazione.
Tanto che si può ritenere come verosimile la circostanza che il giudicante non sia in grado di comprendere appieno ciò che accade dietro il banco della difesa, in un solo concetto non comprenda il valore professionale dell’attività difensiva, quasi a significare che per essere buon giudice occorra essere anche buon difensore, cercando cioè di immedesimarsi nella parte, spesso processualmente gravosa, di chi sta di fronte al proprio scranno.
Al riguardo, la mia provocatoria proposta per annullare la distanza mentale tra giudicante e difensore consiste nell’introdurre l’obbligo periodico (6 mesi ogni 5 anni?) per il magistrato di frequentare uno studio legale, che permetterebbe così allo stesso di scoprire per la prima volta le difficoltà, le preoccupazioni, ma anche la passione, l’entusiasmo e l’impegno di ognuno di noi.
Tornando alla realtà, succede anche che per avventura o spirito di dignità qualcuno di noi si azzardi a proporre opposizione al decreto di liquidazione versando altresì il previsto contributo unificato.
L’esperienza insegna che il più delle volte il fascicolo del reclamo viene assegnato, a mio avviso illegittimamente, ad un giudice appartenente alla sezione civile, con il risultato che, per ovvia deduzione, il giudicante non è in grado appieno di comprendere l’importanza dell’opera professionale svolta nel processo penale ovvero non si capacita di ben interpretare la tariffa penale finendo così ad emanare un provvedimento di rigetto che aggiunge sconforto a sconforto.
Con l’aggravante che avverso tale ultima decisione non è proponibile che ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..
Eppure, come ebbi modo di evidenziare ad uno dei giudici partecipanti alle suddette riunioni, non appare fondato il timore insito in molti giudicanti di incappare in una qualche responsabilità contabile allorquando si rispetti la volontà legislativa di liquidare gli onorari in modo non superiore ai valori medi della tariffa.
Al contrario, nel caso in cui venga ingiustamente rigettata una richiesta di liquidazione per non aver dimostrato il difensore di ufficio l’irreperibilità di fatto del proprio assistito, così inutilmente costringendolo ad intentare anche per via giudiziale il recupero del credito mediante ricorso per decreto ingiuntivo, è proprio allora che potrebbe sorgere la responsabilità contabile per esser costretti poi liquidare, secondo gli insegnamenti ormai consolidati della cassazione, anche i diritti ed onorari della fase successiva del recupero.
Per concludere questo sommario excursus, non poteva mancare un accenno a quel che accade presso la sezione distaccata di Poggio Mirteto.
In detta sede, come è notorio, accede, ovviamente per la fase dibattimentale, un numero di fascicoli processuali penali pari quasi alla metà di quelli pendenti nella sede centrale.
Ciò naturalmente comporta una oggettiva difficoltà di gestione da parte della cancelleria, composta solamente da un unico cancelliere ed un’altra unità, peraltro, per quanto consta, applicata solo in via temporanea in quel determinato ufficio.
Uno dei primi inconvenienti che ivi si registra è quella dell’ipotesi in cui il giudice ritenga di emettere sentenza con motivazione contestuale, evento peraltro ricorrente in pratica con una certa frequenza.
In tal caso, essendo come risaputo oltremodo brevi i termini per impugnare la condanna, il difensore è in qualche modo obbligato a richiedere copia della sentenza seduta stante, anche in considerazione del fatto che non tutti i giorni ci si reca in quegli uffici distaccati.
La risposta a tale legittima e sacrosanta richiesta è sempre la stessa: non è possibile il rilascio urgente in quanto il personale addetto (essendo tra l’altro il cancelliere presente in udienza) non è in grado di “intestare” il provvedimento per poi rilasciarne immediatamente copia.
Con l’inevitabile conseguenza che per quel malcapitato difensore, incappato in una motivazione contestuale, si comprimono ingiustamente i termini per predisporre appello.
Nello specifico ciò ovviamente non significa che al giudice non vada riconosciuta una certa ed apprezzata capacità professionale in termini di efficienza, bensì che lo stesso dovrebbe tener nel debito conto che lo stato organizzativo della sua cancelleria non è in grado di reggere “l’urto” di una serie di sentenze con motivazione contestuale.
Ed infine, per quanto concerne il settore civile della medesima sezione distaccata, ottemperando alla premessa di non addentrarmi in questioni poco praticate da chi scrive, intendo accennare solamente al fatto che in merito al gravoso carico processuale possono svolgersi rilievi analoghi a quelli citati per il settore penale, con l’aggravante, se mai ce ne fosse bisogno, che in detto settore operano attualmente addirittura tre giudici mentre il personale interno è rappresentato da un’unica unità, salvo benemeriti aiuti di altri soggetti addetti, per fortuna spesso solo formalmente, ad altre funzioni.
Concludo nella consapevolezza di aver evidenziato solamente alcune delle problematiche emerse nel nostro circondario, nuovamente esortando chiunque volesse a dare rilievo ad ulteriori aspetti critici di cui si è purtroppo saggiata l’esperienza.
Da ottimista, seppur contagiato da un velo di sano realismo, confido comunque che mediante opportune ed a volte anche banali iniziative si possa in qualche modo incidere su alcune non più tollerabili disfunzioni, la cui esistenza e persistenza finisce per rendere la nostra vita professionale, oltre che più difficoltosa, un poco più amara.
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