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STORIA D'ITALIA DAL RISORGIMENTO AI NOSTRI GIORNI Recensione del libro di Sergio Romano - Editrice Longanesi & C. Milano Apr 4 2009 12:00AM - (Rieti) 150 ANNI DI STORIA D'ITALIA DI SERGIO ROMANO
Sergio Romano nella sua “Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni” cita Cavour a proposito del “Povero Sud!...” Un povero Sud che era padrone in casa propria e che di colpo venne gettato nella caienna dei territori diseredati, le sue popolazioni emarginate e colpevolizzate, le sue ricchezze razziate.
A distanza di 150 anni circa da quegli avvenimenti non si sono registrati sostanziali cambiamenti migliorativi nelle realtà meridionali e nell’immagine che di quella gente raggiunge il resto d’Italia. Peggioramenti si. C’è una folta letteratura che narra le cose peggiori di questo Sud più volte maledetto, umiliato dalla Cassa per il Mezzogiorno, condannato all’isolamento da statuti speciali che di speciale non hanno nulla, gabbato e tradito in ogni aspetto ed in ogni settore che altrove rappresenta progresso ed emancipazione e che invece al Sud diventa il vile prezzo per l’espressione di un voto e non altro. La storia non ha ancora spiegato esaustivamente attraverso quali fasi si è affermato ed è progredito il fenomeno mafioso e camorrista dal dopoguerra in poi. Peccato!... Quelli tra di noi che sono più avanti negli anni non lo sapranno mai.
Oggi fa cassetta “Gomorra”, un libro di attualità ed un film che non riesce a prendere l’Oscar. Saviano commenta con arrogante spocchia che il mancato conferimento dell’Oscar al suo film va indirettamente a premiare la camorra. Ci va giù pesante la stella polare della cultura italiana politicamente corretta. Dopo tutto il battage pubblicitario costruito dai media, se lo aspettava il premio, Saviano. Dimentica però che due suoi attori sono stati indagati per reati di stampo camorrista. E queste notizie fanno più colpo di una cruda storia di omicidi, iniziazioni e tecniche per delinquere. Rimane quindi il sospetto che dietro a tanta cruda narrazione si celi un’avidità incontrollata, una inadeguatezza ideologica ed una incapacità di valutazione.
Tornando a Sergio Romano, penso che dobbiamo conferire il massimo credito alla sua ricerca storica. Al lettore che vi si accosta senza preconcetti di ordine politico o settario essa appare come una lucida sintesi soppesata e ragionata, condensata, attraverso passaggi minuziosi, misurata sulla personalità dei protagonisti e ritagliata lungo i contorni ancora vivi e verificabili di fatti, frasi e documenti storici, enucleati dal contesto biografico e dalla letteratura parallela. Considerazioni quelle di Sergio Romano elaborate con un onesto spirito socio-politico e modellate sul filo della sua lunga esperienza diplomatica. Romano è un raro narratore dei nostri giorni, efficace ed equilibrato, il quale espone le sue valutazioni con inaudita lucidità e freschezza, rendendoli comprensibili nei loro aspetti di causa ed effetto ed accettabili in una visione filosofica contestuale. Se ne consiglia una lenta ed assorbente lettura.
E’ sempre Sergio Romano che narra e commenta. Da Garibaldi a Mussolini l’Italia è rimasta uguale a sé stessa. Garibaldi parte con un migliaio di picciotti male addestrati e senza un preciso programma o un compito definito. Si muove come di soppiatto e perché sa di essere spiato e guardato a vista dalle marinerie di mezza Europa e dalla stessa marineria del Regno Sardo Piemontese. Stanno tutti alla finestra a guardare di nascosto l’effetto che farà la scorribanda ribelle dell'eroe dei due mondi, ma nessuno esclama “Vengo Anch’io?...” Il resto è una cronaca maleodorante, non del tutto rivelata, di forzature, soprusi, violenze, esecuzioni capitali, saccheggi, esecuzioni sommarie e stragi. Cavour è solo a commentare “Povero Sud…”.
Del resto, anche il buon Mazzini, non è che avesse un programma ben preciso. Con la scusa di incentivare la sollevazione delle popolazioni, di morti sulla coscienza, conseguenza degli atti di terrorismo e delle sentenze capitali prevedibili, ne ha davvero parecchi.
Mazzini, nella sua follia di patriota a tutti i costi, appare come un ideologo testardo che pianifica violenze a tavolino senza un'esperienza di combattente e senza alcuna cura o tutela strategica. Insomma, un antesignano di Toni Negri…uno stragista... un terrorista... comunque uno sconfitto che provocava morti dall’una e dall’altra parte nel convincimento che le esplosioni, i morti, la puzza di polvere da sparo da una parte e l’impiccagione dei ribelli dall'altra fossero sufficienti a far ribellare il popolo. Un popolo che dal canto suo commentava a denti stretti “O Franza o Spagna… purché se magna”.
E della marcia su Roma, di quel fatidico 28 ottobre 1922, cosa dire? Stessa accozzaglia di sbandati, identica mancanza di programmi o di compiti ben definiti, stesso successo conquistato inaspettatamente ed inspiegabilmente. In realtà nulla è cambiato. Anche oggi, lo abbiamo osservato nelle rissose coalizioni che si sono via via succedute al governo del Paese, siamo rimasti l’Italietta dell’armiamoci e partite di vecchia abitudine.
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