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Forum 15

I Decisionisti

Sulla vita e sulla morte


Apr 4 2009 12:00AM - Raffaella Ginanneschi


(Rieti)
Restano incerti i tempi parlamentari della legge inerente la regolamentazione degli atti di previa autodeterminazione rispetto ai trattamenti sanitari: devono ancora essere esaminate centinaia di sub-emendamenti al testo unico elaborato in sede di Commissione Sanità del Senato, il quale, a sua volta, costituisce una variante al disegno di legge già proposto dal Senatore Ignazio Marino. L’impegnativo discorso dialettico involge interminabili ricerche sociali, contraddistinte dalle cosiddette analisi intellettualmente rigorose. Ciò nonostante, si auspica che in Italia, attraverso una norma espressa, si possa desumere con più certezza entro quali limiti si dovrà considerare una certa disponibilità del principio di protezione del diritto alla vita ex art. 2 Cost., riconosciuto intangibile, in tempi più antichi, indipendentemente dalle condizioni in cui la esistenza si esplicava (1). Peraltro l’epilogo giudiziario della sorte di Eluana Englaro è apparso dirimente ai fini del riconoscimento del diritto di rifiutare le cure mediche, in conformità con gli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione, norme costituzionali a presidio di diritti primari, le quali sono state considerate dall’ultima giurisprudenza, “imperative e di immediata operatività senza che occorra, a questi fini, intervento alcuno del legislatore ordinario (2), con il conseguente diniego di un “supposto dovere pubblico di cura proprio di uno Stato etico, peraltro ripudiato dai costituenti”. Da qui “la corretta lettura del dettato costituzionale secondo cui “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, dove “l’intervento sociale si colloca in funzione della persona e della sua sfera audeterminativa e non viceversa” (3). Inoltre, riguardo l’evenienza della impotenza della persona ad esprimere alcuna volontà, sono stati disattesi i pregressi indirizzi che propugnavano la inconfigurabilità di un generale potere di rappresentanza in capo al tutore e curatore speciale in ordine all’esercizio di atti personalissimi, salvo ipotesi tassative previste dalla legge (4); infatti, la recente nomina di un amministratore di sostegno (5), nel caso di futura incapacità di intendere e di volere ad esprimere i consensi necessari ai trattamenti medici, ha consacrato la possibilità di ottenere gli stessi effetti giuridici di un testamento biologico, seppur in assenza di una normativa specifica, attraverso l’istituto di cui agli artt. 404 e segg. e 414 e segg. C.P.C., come novellati dalla Legge n. 6 del 9 gennaio 2004. Tra l’altro, nonostante nel caso modenese ricorresse una scrittura privata autenticata designante un incaricato, la interpretazione giudiziale è stata estesa anche nei confronti dell’incapace che, “senza aver lasciato disposizioni scritte, si trovi in una situazione vegetativa valutata clinicamente irreversibile e rispetto al quale il Giudice si formi il convincimento, sulla base di elementi probatori concordanti, che la complessiva personalità dell’individuo cosciente era orientata nel senso di ritenere lesiva della concezione stessa della sua dignità la permanenza e il prolungamento di uno stato vegetativo senza speranze di guarigione e, comunque, di miglioramenti della qualità della vita” (6). Tutto ciò appare anche in aderenza a quella giurisprudenza statunitense che attribuisce validità alle deposizioni testimoniali a favore della sospensione di trattamenti live-saving, anche in assenza di un precipuo living will. Pertanto, l’odierno Legislatore si appresta a questionare l’art. 4, punto 6 dell’odierno DDL, che prevede, ai fini della prestazione del consenso al trattamento sanitario per la salvaguardia della salute dell'incapace (e non in pregiudizio della vita del medesimo), la validità dell’istituto ex art. 404 cit. accanto alle ipotesi del tutore in caso di interdizione ai sensi dell'art. 414 del cod. civ., ovvero, nel caso di inabilitazione ai sensi dell'articolo 415 del cod. civ., con l’applicazione delle disposizioni relative agli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Inoltre in sede giurisprudenziale è considerata ormai indefettibile la regola che preclude al medico di eseguire trattamenti sanitari, qualora quest’ultimo non acquisisca quel consenso personale libero e informato del paziente che è presupposto espressivo del suo diritto primario di accettazione, rifiuto e interruzione della terapia; tutto ciò alla luce del Codice di Deontologia Medica, il quale aderisce alla Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, resa esecutiva con L. 28 marzo 2001, n.145 (7). Tuttavia, tale Convenzione potrebbe essere soggetta ad equivocità determinanti, perché formulata in termini generici, confutabili dalle normazioni nazionali; ad esempio, non appare risolto il rapporto tra il medico ed il rappresentante legale sul versante delle divergenze che potrebbero insorgere in situazioni d’urgenza. Infatti, la predominanza del dovere del medico ad intervenire a beneficio della salute, a prescindere dall’assenza di un consenso “appropriato” (art. 8), in ossequio a quel paternalismo medico, affatto obliato, si contrappone, invece, al principio assoluto inerente all’attività medica, concepito come incondizionata espressione del consenso informato (8). Ma alla luce di tali disposizioni, risulta difficile anche prospettare una univoca interpretazione sul versante della formazione e della consistenza della volontà del soggetto, ovvero del living will (art.9 “Desideri precedentemente espressi”), nonché sulla probabilità di conflitti di interesse con l’incapace rappresentato, attesa la previsione della estrema possibilità del ritiro, in qualsiasi momento, dell’autorizzazione all’intervento sanitario nell’interesse dell’incapace (art. 5). Ma sul piano interpretativo dubbi sorgono anche a proposito dei principi enucleati in sede giurisprudenziale in riferimento alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), tanto è vero che nel pieno rispetto dell’art. 2 che prevede la preclusione al diritto di autodeterminazione a scegliere la morte piuttosto che la vita, nei Paesi Bassi e nel Belgio l’eutanasia è ammessa da apposite leggi (entrate in vigore rispettivamente il 1° aprile 2002 e il 16 maggio 2002); a ciò si aggiunge l’audace iniziativa dei governanti spagnoli, che a dispetto dell’ossequio rivolto all’art.2 cit. da parte dei restanti Stati Membri, auspicano una prossima modifica del codice penale che consentirà la facoltà di porre fine alla vita esanime sotto l’egida statale. Tale proposito, tuttavia, aderisce all’orientamento della Corte di Strasburgo (sent. 29 aprile 2002) la quale, nel rispetto della vita privata e del divieto di ingerenza pubblica, salvo necessità attinenti anche alla protezione della salute o della morale, dei diritti e delle libertà altrui ex art. 8 della stessa Convenzione, ha individuato una precipua preclusione per lo Stato ad esercitare un’attività di compressione su scelte anche autolesive, perchè refrattarie di terapie, giudicando, infine, non lesivo del diritto alla vita di cui all’art. 2 cit., il divieto penalmente sanzionato di suicidio assistito previsto dalla legislazione nazionale inglese. Ciò nonostante, la protrazione di pretestuose letargie del legislatore italiano ha indotto la più recente giurisprudenza italiana ad individuare il crisma del diritto assoluto “di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita”, improntato alla sovrana esigenza di rispetto dell’individuo (9). E’ stato consacrato, così, il pieno riconoscimento dei diritti che si fondano sull'autodeterminazione, “purché questa si esplichi nel consenso, anche quando la scelta da compiere riguarda la vita stessa della persona, escludendo che le decisioni relative alla soggettiva modalità di intendere e condurre un'esistenza dignitosa possono essere condizionate dall'interferenza dell'interesse pubblico” (10). Invero, i più recenti orientamenti sono rappresentativi di una inversione di tendenza rispetto alle precedenti legittimazioni accordate alla stregua del combinato disposto degli artt. 32 Cost., dell’art. 9, L. n.145/2001 e dell’art. 40 del Codice di Deontologia Medica, in ordine a determinati urgenti trattamenti di salvezza operati nonostante la presenza di un espresso rifiuto preventivo, anche in ottemperanza all’art.8 della Conv. Oviedo cit., recepito dallo stesso Codice Deontologico Medico (11). Ciò nonostante, il dramma di Eluana costituisce un caso eccezionale, giacché permangono comunque non poche perplessità, anche giuridiche, dipendenti dalla atipicità di una forma di tutela fatta valere. Infatti, nonostante l’irreversibilità della degradazione della sola vita cognitiva, dal cui accertamento si è desunto che la vita vegetativa, per quanto biologicamente quasi completa, costituisce un presupposto di indegnità verso se stessi e verso gli altri (12) , si dubita proprio su quella rilevanza decisiva accordata alla sola parola, qualificante l’agognato “purché si esplichi nel consenso”. Nella congerie precettistica a sostegno della decisione di sospendere l’alimentazione artificiale, è invocata la valorizzazione di una volontà pregressa e, quindi, presunta, alla luce degli ormai consueti artt. 6 e 9 della Convenzione di Oviedo; dell’art. 5 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 211, riguardante la “sperimentazione clinica”, nonché dell’art. 410, c.c., che demanda all’amministratore di sostegno, nello svolgimento dei suoi compiti, il dovere di tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. Pertanto, appare discutibile la ricostruzione della originaria volontà della persona avvenuta pur sempre ex post, tramite testimonianze, da intendere, peraltro, come garanzia che quella stessa asserita volontà non sarebbe mai cambiata medio termine (nel caso di specie 17 anni di infermità), anche nel caso di impossibilità comunicativa. Opinabilità che si può estendere anche al valore, presuntivo e determinante, attribuito all’intimo nucleo della personalità, quale formatosi nel corso di una vita (e ci si riferisce alla consapevolezza dei 21 anni), in base all’insieme delle convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che ne improntano le determinazioni (13). Peraltro, tale tematica rischia di rimanere, ancorché metagiuridica, “socialmente pericolosa”, se ad una statuizione giudiziaria non farà seguito un sollecito espresso precetto ad hoc. All’uopo, si segnalano aspiranti portavoce od esecutori testamentari de relato, propensi ad ottenere analoghi risultati. Ma a prescindere dalla diatriba vertente sulla facoltà del Giudice ad espletare in tale materia «attività sostanzialmente paranormativa» (14), la disputa su Eluana ha comunque riecheggiato forme di decisionismo (15); l’epilogo della morte, scaturito pur sempre da una iniziativa giudiziaria, appare illusoriamente democratico, perché considerato conforme al sistema costituzionale, e, perciò, formalmente scevro di posizioni tendenziose e moraliste; e, come affare privato, è rimasto legittimamente nelle mani di pochi, perché non rispondente ad un interesse generale (17). D’altro canto, la eventuale sopravvivenza della Englaro sarebbe stata rappresentativa di una incondizionata facoltà di decretazione governativa, la quale, nonostante un doveroso e successivo vaglio parlamentare, avrebbe rappresentato una sorta di sospensiva della Costituzione, in nome di un asserito stato d’urgenza. Tutto ciò grazie ad un Legislatore finora inerte che ha impedito di affrontare il dramma sotto un profilo maggiormente pluralistico. Quel che è accaduto, pertanto, appartiene ad un dominio di significato sociale più ampio, e si dubita, comunque, che una legge, comunque inadeguata ad evitare nuovi arbitrii (16), comporti nel nostro Paese la esplicazione di scelte di routine, e perciò più silenti. Infatti, le fratture che sono emerse nella diaspora, anche a livello istituzionale, hanno ingenerato contraddizioni intrinseche ed insuperabili. Pertanto, risulta ancora operativa una antica matrice morale, di derivazione anche agnostica nei confronti della dottrina sociale cattolica o di altre culture religiose. Tuttavia, per alcuni obiettori, gli stringenti requisiti, richiesti al fine di indirizzare il modo d’essere e l’opera dell’uomo sempre verso la custodia della vita, si porrebbero ai limiti dell’etica di uno Stato liberale e democratico, cosicché quest’ultimo dovrebbe conferire al singolo la sovranità su se stesso, sulla propria vita e sul proprio lasciare la vita. Ma il Prof. Angelo Panebianco ci insegna che il liberalismo si alimenta di diffidenza per la politica ed è nemico giurato del panpoliticismo e “mentre usano il linguaggio della libertà i giacobini (ancorché travestiti) ne tradiscono la sostanza…” (18). Pertanto, seguendo tale visione, un problematico ripensamento in maniera reale del ruolo della cultura vitale dovrebbe rimettere in discussione, nella sua globalità, una umanità a questo punto più cinicamente libera ed aliena dalla vecchia interpretazione dell’art. 32 Cost., che conduceva ad escludere un giudizio sulla distinzione tra vite degne e non degne di essere vissute (19), concetto indeterminato e appartenente “ad a un campo non ancora regolato dal diritto e non suscettibile di essere riempito dall'intervento del giudice, nemmeno utilizzando i criteri interpretativi che consentono il ricorso all'analogia o ai princìpi generali dell'ordinamento” (20). Ciò nonostante, è proprio il dramma di Eluana ad aver offerto l’occasione per accelerare il lavoro di un legislatore, ingiustificatamente flemmatico (la vicenda processuale si è protratta per circa un decennio), il quale è chiamato a discettare sulle variegate posizioni assunte in proposito. In primis, il ganglio chiave del dibattito, attraverso cui si snoda il tripudio di iniziative dirette a ricomprendere o meno nell’alveo dell’accanimento terapeutico il trattamento sanitario della nutrizione e idratazione, costituisce un concetto tutt’altro che adamantino, giacché l’alimentazione forzata è latamente riconducibile a quel valore antropologicamente salvifico, connesso ad una necessità essenziale ancestrale e corrispondente all’imprescindibile compagnia dell’uomo, anche in occasione della sua inesorabile dipartita. Si pensi alle offerte di cibi ai defunti praticate non solo da parte di tutte le antiche civiltà, ma ancora oggi, attraverso le diverse commemorazioni simboliche che riscoprono l’insopprimibile istinto di nutrire, inteso come disperato invito alla prosecuzione della vita e al trionfo della immortalità. Perciò, si prospetta difficilmente realizzabile una linea unitaria ed una elaborazione largamente condivisa ai fini dell’approvazione di una legge che è destinata ad incidere comunque sulla persona e, quindi, su una delimitazione delle sfere di attribuzioni determinate dalla Costituzione, alla luce della quale, secondo attendibili preconizzazioni, si perverrà inevitabilmente ad una pronuncia della Consulta. Tuttavia, il proposito normativo che si sta intraprendendo in questi giorni, diretto a smarcare il sostegno vitale per una sopravvivenza, perfino inerte, dal contesto della dichiarazione anticipata di trattamento terapeutico (21), così come considerato dall’ultima giurisprudenza, potrebbe esprimere quel rispetto in assoluto del naturale percorso biologico, tutelabile secondo il Prof. Ernesto Galli della Loggia (22) attraverso la inviolabilità di un disegno imperscrutabile che fonda una vita, ancorché terminale. Pertanto, non dovrebbe offendere la comune sensibilità la compresenza di un obbligo di non fare, già legittimo per il medico, quale il medicamento, perché rinunciato dal paziente e di un obbligo di fare, corrispondente al nutrimento,…. non rifiutabile anche dal rappresentante di un paziente incapace. Rievocando la nota dottrina antropologica di William Styron (23), l’essere umano nella sua fisicità costituisce “il luogo creativo d’origine dell’esperienza”; affermazione emblematica, contraddistinta da una ambivalenza emotiva, oltreché espressiva, che racchiude in sé il rifiuto da parte del genere umano di accettare la malattia, quale possibile condizione dell’esistenza e che secondo un convincimento, a quanto pare, assai diffuso, rasenta un’occasione di fuga dell’anima dal corpo. (1) Pret. Genova, 20 marzo 1986; Trib. Lecco decr. 2 marzo 1999, confermato dalla Corte d’Appello Milano, decr. 31 dicembre 1999; questo Giudice, tuttavia, ha reputato sussistente una situazione d'incertezza normativa tale da non consentire l'adozione di una precisa decisione in merito. (2) Sull’obbligo di rispetto del “generale vincolo del giudice alla legge” e, percio’ e in primis, della Carta Costituzionale, cfr. Corte Cost. 8 ottobre 2008, n. 334. (3) Cfr. Tribunale di Modena, decr. 5 novembre 2008 in riferimento a Cass. 16 ottobre 2007, n.2 1748. (4) Cfr. Trib. Lecco, decr. 20 dicembre 2005; Cass., ord. 20 aprile 2005, n. 8291. (5) Decreto Trib. Modena cit. (6) Decreto cit. supra. (7) Tra l’altro, la Convenzione non è stata ancora applicata per la puntuale mancata emanazione dei decreti legislativi previsti dalla legge per l'adattamento dell'ordinamento italiano. (8) Cfr. sub-emendamento Finocchiaro al DDL in esame. (9) Cfr. Cass. 15 settembre 2008, n. 23676, “…tuttavia, affinché i medici si astengano dal somministrare al paziente incosciente le cure dalle quali quest'ultimo dissente è necessario che il "non consenso" sia contenuto in una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dallaquale inequivocabilmente emerga la volontà di non sottoporsi a determinate pratiche mediche”. (10) Cfr. Pres. Vincenzo Carbone, appendice alla relazione sull' amministrazione della giustizia, La Repubblica, 24 febbraio 2009. (11) E’ emblematica a tal proposito la sentenza della Cass. 23 febbraio 2007, n. 4211. (12) Sul punto ord. Corte. App. Milano, 9 luglio 2008. (13) Cfr. Cass., n. 21748/2007 cit. (14) Cfr. Cass., ord. n. 8291/2005 cit.; Tribunale di Roma, ord. 15 dicembre 2006; ord. Corte Cost. n. 334/2008 cit. (15) “Il Custode della Costituzione”, Carl Schmitt, 1931. (16) Angelo Panebianco, “I Confini della Politica”, Corriere della Sera, 29 febbraio 2009. (17) Cfr. Cass., S.U., 13 novembre 2008, n. 27145. (18) “Referendum su Dio”, Magazine, Corriere della Sera, 5 marzo 2009. (19) Trib. Lecco, decr. 2 febbraio 2006. (20) Tribunale di Roma, ord. 2006 cit. (21) Art.5 , punto 6, DDL Calabrò. (22) “La Natura e il suo Corso”, Corriere della Sera.it, 9 febbraio 2009. (23) “Un’Oscurità Trasparente”, 1989.

 

 

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