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Forum 16

Pił sicurezza o pił paura?

Analisi del fenomeno


09/09/2009 - Raffaella Ginanneschi


(Rieti)
La recente rivisitazione delle disposizioni in materia di sicurezza pubblica (1) alimenta annose querelles riconducibili comunque ad un antico comune sentire, pertinente all’istinto di sopravvivenza, il quale si disvela nella variegata ricerca della forma più appropriata, per esercitare il potere di controllo e di protezione del territorio. La emergenza delinquenziale, sottesa al generale inasprimento della portata normativa presentata con l’ultimo progetto, rivela un rapporto conflittuale tra varie culture popolari, intese nella loro accezione antropologica e contraddistinte pur sempre dal senso di appartenenza ad un gruppo, siano esse inerenti alle civitates europee, alle aggregazioni degli immigrati transfrontalieri ovvero alle organizzazioni criminali (2). Dal contenuto del testo in esame si evince l’aggravio delle sanzioni penali o amministrative per talune ipotesi di reato, nonostante siano ancora frustrate le aspettative di un’applicazione maggiormente decisiva del principio della certezza della pena e della sua esecuzione. Tuttavia, si segnala una indotta responsabilizzazione del cittadino italiano; si pensi alla riformulazione originaria della norma che obbliga i costruttori partecipanti alle gare di appalto a denunciare i tentativi di estorsione da parte del racket, con la conseguente esposizione del bene della propria vita; alla disciplina inerente al divieto di stipula dei contratti di locazione con immigrati clandestini; alla istituzione di un un fondo contro l'incidentalità notturna che servirà all'acquisto di materiali, attrezzature e mezzi per le forze di polizia e per campagne di sensibilizzazione e formazione degli utenti della strada, nonché alla regolamentazione di appositi albi per gli amministratori giudiziari, per i cosiddetti buttafuori, anch’essi valorizzati come garanti della collettività e come tali appositamente qualificati (3). A ciò si aggiunga l’eventuale ordine indirizzato ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzo degli appositi strumenti di filtraggio dei siti con contenuti che incitano ad attività illecite, nonché la originale introduzione di ausiliari degli Enti locali per la tutela territoriale (4). Quest’ultima norma non costituisce una contraddizione in termini, come si potrebbe intendere, dal momento che la eventuale istituzione di associazioni di volontari attiene pur sempre a cittadini, ovvero, agli stessi “assistiti” che in virtù di un patto costituzionale delegano lo Stato alla selezione di appositi corpi per la propria sicurezza. E’ indubbio che i ricordi sono rappresentativi della necessità avvertita in ogni tempo di garantire sicurezza alle proprie contrade; tuttavia, non è il caso di rievocare le compagnie barracellari sarde, legate al mondo rurale sardo del XVII secolo, tuttora prerogative istituzionali locali (5), poiché preposte tradizionalmente al rispetto dello ius municipale, attraverso la protezione degli agricoltori e dei pastori, sovente esposti a soprusi. Le opere di monitoraggio dei terreni e dei beni si realizzavano con la consegna dei vandali e dei ladri al giudice, il veghiere reale, titolare della competenza giurisdizionale per i reati commessi nell’agro, mentre di fronte all’amministrazione regia i feudatari e i loro ufficiali conservavano la responsabilità dell’ordine pubblico e della prevenzione dei reati. Ciò nonostante, infondatamente si sono paventati legami con un passato che certamente non può costituire il pretesto per riecheggiare la wehrmacht o le milizie mussoliniane né, tantomeno, i “bravi” ribaldi celebrati dal Manzoni, tutte figure storiche tipiche rappresentative di teams armati preposti ad uffici vili. Pertanto, gli emendamenti in esame non conducono né ad un reazionarismo, né ad indistinte persecuzioni e attribuzioni pregiudiziali. Peraltro, in materia di immigrazione, dalla disciplina che definisce l’ingresso legale e il soggiorno regolare si desume un certo impegno di rifrazione dell’immagine sociale del “forestiero”, raffigurato non di rado come latore ed esecutore di violenze, grazie anche alla sottoscrizione di un accordo di integrazione, condizione necessaria richiesta per il permesso di soggiorno, ma rappresentativo di una reciprocità di impegni che vengono assunti anche dallo Stato italiano ai fini della partecipazione dello straniero alla vita economica, sociale e culturale della società, nel pieno rispetto dei valori costituzionali (6). Quindi, premesso che appare arduo approntare regole chiare, trasparenti e “giuste” in proposito, risulta comunque circoscritta entro precisi limiti la previsione del reato di clandestinità (7), tanto è vero che sono salvaguardate comunque le istanze di protezione internazionale. Una certa opinabilità si esprime, invece, a proposito della sorte che si prospetterebbe per i minori in dipendenza della situazione dei genitori immigrati; infatti, da un canto è introdotto un trattamento più favorevole per il ricongiungimento del genitore naturale al figlio già regolarmente soggiornante in Italia (8); dall’altro canto è discusso il contegno omissivo che l’ufficiale dello stato civile dovrebbe adottare in caso di dichiarazione di nascita e di riconoscimento del figlio naturale di genitori stranieri privi di permesso di soggiorno (9); l’automatismo dei sei mesi di soggiorno concessi alle puerpere clandestine (10) non è idoneo a lumeggiare sulla fattispecie in questione, considerato l’obbligo di denuncia del reato di clandestinità da parte del pubblico ufficiale, con tutte le conseguenze connesse al rimpatrio e con il possibile impedimento in tutto o in parte dell’esercizio della potestà genitoriale. Tuttavia, sebbene la rivolta morale per taluni codicilli sia stata innescata anche dalla CEI, la quale riceve attenzione a seconda delle occasioni, la presunta “efferatezza” della normazione proposta e della politica migratoria perseguita recentemente dall’odierno Governo attiene alla risoluzione di una angusta problematica, relativa al contemperamento delle diverse, quanto inconciliabili, esigenze di pertinenza della UE, dei singoli Stati Membri e delle persone degli immigrati. Così, appaiono di difficile realizzazione le ipotesi di sinergie invocate per promuovere l’immigrazione legale, attesa l’elevata contraddizione che contraddistingue quella congerie di indicatori fondanti le valutazioni e le raccomandazioni annuali della Commissione e del Consiglio d’Europa sui profili migratori nazionali (11). Dapprima è invocato il principio proprio della strategia di Lisbona, secondo cui il flusso migratorio dovrebbe rispondere ad una valutazione comune dei bisogni dei mercati del lavoro all’interno dei paesi dell’Unione europea, fermo restando il potere per ogni Stato di decidere le condizioni di ammissione sul suo territorio di migranti legali e la possibilità di fissarne la quota numerica; all’uopo si evoca il deprecato etnicismo socio-economico, consacrato dal postulato “extra mercatum nulla salus” e mutuato dalla più vetusta espressione “extra ecclesiam nulla salus”, rappresentativo di una globalizzazione ontologicamente “razzista”, ma presuntivamente contemplata da tutti i Paesi; infatti, tenendo conto della nostra realtà concreta e della disposizione di “mezzi” limitati, non si può non aderire alla “comunitaria” politica di programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari (12). A ciò si aggiunge l’impossibile partenariato globale con gli stessi Paesi di origine, auspicato dalla CE attraverso azioni condivise di scoraggiamento operate sui vari fronti, alla partenza e all’ingresso, le quali, a dispetto delle ufficiali critiche mosse recentemente all’Italia, sono consigliate come le più idonee ad impedire efficacemente il soggiorno illegale sul territorio dell’UE. Ma vieppiù. Il nostro Paese, essendo esposto geograficamente ad un maggior afflusso, avrebbe diritto (ma alla luce dei recenti fatti di cronaca evidentemente non lo può esercitare) a ricevere l’aiuto di tutti gli altri Membri UE, in virtù dello stesso principio di solidarietà che dovrebbe permeare l’adempimento del dovere di accoglienza, incombente sempre su tutti gli Stati Membri, in nome dei valori universali di dignità umana, di libertà …e di protezione dei rifugiati (13). Ma l’intangibilità del diritto di asilo contrasta a sua volta con l’uguaglianza e con il divieto di discriminazione, e, quindi, anche con la possibilità di ammissione di singole regolarizzazioni sulla base di altri equi criteri. ___________________________________________________________________ (1) Già approvate dal Senato il 5 febbraio u.s. N.733 e successivamente approvate con modificazioni il 14 maggio 2009 con atto Camera N.2180. Il Ministro Maroni auspica la definitiva approvazione entro la fine del mese corrente. (2) “La cultura mafiosa, elaborata nel corso del tempo, è abbastanza similare e analoga alla cultura popolare… Il problema è che, mentre i valori della cultura popolare sono realmente perseguiti, voluti, come forme di autorealizzazione, i valori mafiosi sono detti per acquisire consenso, e vengono vissuti in maniera però truffaldina, perché servono per coprire il comportamento violento. Quindi abbiamo delle diversità fondamentali, non in ciò che si dice, ma in ciò che si fa. La mafia, come la camorra e la ndrangheta, è un'organizzazione di morte, e non di difesa degli oppressi, come molte volte ama presentarsi”. Luigi Maria Lombardi-Satriani, Antropologia della mafia, Il Grillo, ed. 15/12/1997. (3) Art.34, Art.32, co.2-3, art.57 etc. Atto C.2180 cit. (4) Art.52; Art.60, Atto cit. supra. (5) I Barracelli, L.R. Sardegna 15 luglio 1988, n.25, costituiscono ancora oggi una sorta di guardia rurale collaboratrice delle forze dell’ordine nella protezione civile, nella repressione dell’abigeato e della prevenzione degli incendi. Cfr. Cass. 25 giugno 2002, n.9253. (6) Art.47, atto C. cit. (7) Art.21, atto C. cit. Sono fatte salve le cause ostative di cui all’art.14, co.1, D.Lgs. N.286/1998. (8) Art.45, co.1, lett.q), atto C. cit.; infatti si terrà conto dei requisiti dell’altro genitore già insediato in Italia. (9) Art. 45, co.1, lett. f), cit. supra, che introduce l’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno per gli atti di stato civile. Cfr. l’appello dell'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI) sulle conseguenze dell’art. 45, comma 1, lett. f) del ddl C. 2180 sul diritto del minore a essere registrato alla nascita. (10) Ci si riferisce alla legge Bossi-Fini 30 luglio 2002, n.189. Inoltre, cfr. Artt.7-8 Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176. 11) Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni, “Una politica d’immigrazione comune per l’Europa: principi, azioni e strumenti” (COM (2008) 359 def.); Documento di accompagnamento – Sintesi della valutazione d’impatto (SEC (2008) 2027). (12) Art. 3, co. 4, D.Lgs. 25 luglio 1998, n.286; inoltre cfr. ad es. D.Pres.Cons. dei Min. 9 gennaio 2007, n.25580. (13) Art.14 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; art.1 Convenzione ONU relativa allo Status dei Rifugiati. D.Lgs. 19 novembre 2007, n.251 - Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

 

 

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