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Forum 16
L’arbitrato irrituale dopo il d.lgs. 40/2006
Regolazione interessi privati tra autonomia negoziale e funzione giurisdizionale
09/09/2009 - Avv. Gianluca Ludovici Dottorando di ricerca
(Rieti)
Tra gli interventi legislativi più significativi degli ultimi anni in materia processuale civile, assume particolare interesse il D.Lgs. 40/2006 che, dando attuazione alle direttive della legge delega 80/2005, ha consacrato a livello normativo l’esistenza di quel particolare istituto processuale che prende il nome di “arbitrato irrituale” o “arbitrato libero”. L’arbitrato, che oggi si pone come mezzo alternativo alla giurisdizione dello Stato, ha storicamente anticipato quest’ultima, anzi ne ha costituito, in un certo qual modo, la sua forma embrionale. In un periodo in cui fas e ius dovevano apparire mescolati e confusi tra loro, la primordiale esigenza dell’uomo di esercitare i propri diritti nella comunità sociale di appartenenza, sino ad entrare in conflitto con gli altri consociati, comportava il ricorso ai sacerdoti per la soluzione delle controversie; sacerdoti che, per la loro rilevante posizione sociale, offrivano una garanzia di imparzialità e giustizia che non traeva origine dal ruolo e dalla funzione imposti loro dalla società, ma dal credito di rispettabilità ed onore accumulato nel tempo. In altri termini, l’auctoritas ( concepita come “autorevolezza” fondamento di ogni arbitrato) e non l’imperium ( potere giurisdizionale devoluto ai giudici di professione ) erano alla base della garanzia della Giustizia originaria all’interno delle comunità primigenie. Dalla notte dei tempi, lo sviluppo del giudizio arbitrale al fianco della giurisdizione o, più spesso, in contrapposizione ad essa, ha portato sino ai nostri giorni un modello “altro” ( alternativo o derogatorio, a seconda della teoria seguita ) per la tutela dei diritti disponibili, variamente disciplinato dagli ordinamenti giuridici moderni in ragione delle proprie convinzioni filosofiche e politiche e tradizioni culturali e giuridiche.
La tradizionale distinzione tra arbitrato rituale e libero, ammessa nella nostra esperienza giuridica sin dagli inizi del ‘900, ad esempio, era stata messa in discussione, in tempi relativamente recenti, tanto dalle nuove impostazioni dottrinali, quanto dal prevalente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte: se la maggior parte della dottrina contemporanea, estremizzando il tema della natura negoziale del giudizio arbitrale e privilegiando il mero dato normativo, finiva per dare rilevanza al solo arbitrato rituale, la giurisprudenza, al contrario, pur condividendo con la dottrina le argomentazioni di partenza, ne sovvertiva le conclusioni, attribuendo all’arbitrato libero il ruolo di figura principale, quale unico istituto ( tra i due ) idoneo ad esprimere in modo puro l’autonomia privata.
In questo clima di incertezza interpretativa, che stava inesorabilmente scivolando verso la concentrazione ( o meglio, la confusione! ) delle due forme di giudizio arbitrale, il Legislatore del 2006 è dovuto intervenire autoritativamente; con un’operazione, in parte discutibile e discussa, il D.Lgs. 40/2006 riconoscendo, da un lato, l’esistenza di un arbitrato destinato a concludersi con un lodo che ( eccetto gli effetti esecutivi ) è una vera e propria sentenza ( il cosiddetto arbitrato rituale o “giurisdizionalizzato” ), ha codificato, dall’altro, l’esistenza dell’arbitrato irrituale ( ora anche definito “procedimentalizzato” ), figura originariamente confinata alla sola prassi ed impropriamente citata, senza velleità di disciplina, da sporadiche disposizioni ( si pensi alla Legge 604/1966 sui licenziamenti individuali ed agli art.. 419 ter e quater C.P.C. ). Quest’ultimo, nella sua “nuova” veste, ha attirato inevitabilmente l’attenzione degli operatori del diritto e ciò per un’ovvia considerazione: nato per evitare che la decisione arbitrale fosse “statalizzata” ( spesso per ragioni fiscali ) ed apparendo perciò come massima espressione dell’autonomia negoziale, la sua normativizzazione ha accentuato il ruolo di strumento di regolazione degli interessi privati, ma anche quello strettamente connesso ad una funzione peculiare dello Stato, la funzione giurisdizionale. Come è noto, infatti, l’arbitro irrituale, come quello rituale, può essere investito della composizione di contrasti proprio attraverso l’applicazione delle norme giuridiche ed in questi termini esso esplica l’attività di ius dicere, al pari di un qualsiasi giudice professionista. Al di là della definizione di “determinazione contrattuale” attribuita al lodo libero ex art. 808 ter C.P.C, la disciplina di questa forma di giudizio arbitrale la dice lunga sulla propria natura atipica; basti pensare al solo significativo divieto di applicazione delle norme in tema di arbitrato rituale di cui agli artt. 809 e ss. C.P.C., con la conseguente necessità pratica di ricorrere alle norme del Codice Civile per la soluzione di eventuali problematiche inerenti, ad esempio, alla nomina, alla revoca o alla ricusazione degli arbitri ed all’individuazione del termine o delle modalità per la pronuncia del lodo.
Persino la possibilità di adire l’autorità giudiziaria per impugnare il lodo “contrattuale”, nonché la stessa ratio impugnandi, sono indice della natura atipica del giudizio arbitrale irrituale; se da un lato, infatti, l’art. 808 ter C.P.C. stabilisce che è consentito impugnare il lodo libero come un qualsiasi negozio, davanti al giudice competente secondo i normali criteri, dall’altro, lo stesso articolo, al comma II, configura, tra i motivi dell’impugnazione, il mancato rispetto del principio del contraddittorio, peculiare elemento processualistico e fondamento del nostro ordine pubblico processuale, concettualmente estraneo all’ambito dei rapporti privatistici. Ad accentuare ancor più il carattere di negozio con natura mixta, occorre ricordare, poi, come la prevalente dottrina si sia orientata a ritenere non tassativa l’elencazione dei motivi di impugnazione di cui sopra, considerandola aperta alle tradizionali ipotesi di invalidità del contratto ed in particolare a quelle in tema di annullabilità ex art. 1425 e ss. C.C.; sul tema, davvero, non può riscontrarsi né assoluta certezza, per la latitanza del Legislatore, né concordia dottrinale, cosicché sul tema non ci si potrà che trovare “in balìa” delle future pronunce giurisprudenziali e dei vari orientamenti che le determineranno.
La particolarità dell’istituto in argomento si riflette persino in campo istruttorio, laddove, a dispetto di quanto accade in un processo e, con le dovute distinzioni, in un arbitrato rituale, sembra dilatarsi a dismisura il potere dispositivo dei singoli nella scelta delle prove e delle modalità di ammissione ed assunzione delle stesse. Relativamente a questa attività prettamente processuale, deve dirsi, però, che anche nell’ipotesi di conclusione di un contratto, le parti ricorrono sempre ad un’indagine privata per vagliare la serietà della controparte e delle sue affermazioni; quindi, tale attività, comunque necessaria per la funzione giurisdizionale esercitata sui generis dall’arbitro irrituale, non può che intendersi, in assenza di determinazioni normative, come la conferma della volontà legislativa di deformalizzarne la fase istruttoria. In questi termini, non si pongono violazioni delle regole sulle prove rilevanti in sé, le quali, peraltro, ove si verificassero, potrebbero costituire indici della ingiustizia od erroneità della determinazione contrattuale in cui si sostanzia il lodo irrituale e dar adito ad impugnazione ex art. 808 ter C.P.C.
Concludendo questo veloce sguardo di insieme, l’importanza dell’intervento del Legislatore, secondo i modi ed i termini appena esposti, non può sfuggire agli operatori del diritto: il “nuovo” arbitrato libero, al modestissimo parere di chi scrive, appare oggi, come uno strumento più “garantito” o, quanto meno, più “certo” rispetto al passato ( sebbene per sua natura atipico e per sua sventura non completamente disciplinato ) per la regolazione degli interessi dei privati, soprattutto in quei particolari ambiti in cui l’autonomia negoziale appare bisognevole di correttivi ( si pensi ai rapporti tra imprenditori e consumatori, laddove la clausola compromissoria per arbitrato libero non si configura come vessatoria né alla luce del diritto comunitario, né alla luce del diritto interno, oppure ai rapporti di lavoro ), ovvero, paradossalmente a contrario, in quegli spazi di assoluta irrilevanza – indifferenza per lo Stato, che non richiedono il necessario ricorso agli organi giurisdizionali precostituiti ( si pensi, in questo caso, alle questioni che non involgono situazioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi, rilevabili nell’ordinamento sportivo e compromettibili per arbitri ex artt. 12 e 12 ter Statuto C.O.N.I. ). Se nel primo caso, infatti, la determinazione contrattuale in cui si concretizza il lodo irrituale può trovare impugnazione attraverso il normale iter giudiziale del “primo grado – appello – ricorso per cassazione”, con il massimo di tutela offerto dal nostro ordinamento, nel secondo caso, la sua potenziale autonomia dalla giurisdizione nella definizione delle questioni, tipica di un contratto, gli consente di regolare anche situazioni non tutelabili dinanzi ai giudici dello Stato. In definitiva, un istituto valido per tutte le stagioni…o quasi.
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