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Forum 16
Bambini in carcere
Inchiesta
09/09/2009 - Marco Arcangeli
(Rieti)
Non si tratta dell’ennesima iniziativa socio-politica volta ad abbassare la soglia dell’imputabilità al di sotto degli odierni 14 anni, su cui molto ci sarebbe da contraddire, ma che comunque finirebbe per interessare soggetti che sono accusati e condannati per un qualche illecito penale.
Siamo di fronte a qualcosa di ancora più aberrante, al triste ed incivile fenomeno dei bambini costretti a vivere rinchiusi nelle patrie galere senza neanche (per buona sorte loro) comprenderne il perché. Per una colpa che non gli può e non gli deve essere attribuita, quale quella di avere come madre una detenuta in attesa di giudizio o in esecuzione pena.
Il riferimento spaziale non è a qualche staterello sottosviluppato del terzo o quarto mondo, ma alla nostra nazione che, purtroppo solo nei ricordi, un tempo era considerata la culla della civiltà giuridica.
Per la verità siamo in buona compagnia, solo a considerare che molti stati dell’Unione Europea (e non) adottano al riguardo sistemi detentivi analoghi, in assoluto spregio delle norme di diritto internazionale sancite in diversi trattati, quali la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 Novembre 1950, il Patto internazionale sui diritti civili e politici di New York del 19 Dicembre 1966, la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 Novembre 1989, tutte norme patrizie ratificate e rese esecutive anche in Italia.
Il fenomeno assume contorni inquietanti solo a voler considerare che presso la pubblica opinione, ma in verità, ed è ancor più grave, anche tra gli addetti ai lavori, eccezion fatta per il solito pugno di coraggiosi intelletti controcorrente, grazie ai quali ogni tanto cade un poco di luce sugli oscuri drammi di questo genere, nulla o quasi se ne conosce.
Le scarne iniziative adottate nei Paesi membri dell’Unione Europea per regolamentare la materia sono rappresentate dalla raccomandazione n° 1469 "Madri e bambini in carcere" del Comitato per gli affari sociali del Consiglio d’Europa nonché, in tempi più recenti, la Risoluzione del Parlamento Europeo del 13.03.2008 (2009/C 66 E/09), entrambe emanate con il fine di attutire gli effetti nocivi sui bambini della detenzione delle loro madri. Per quanto riguarda l’ambito nazionale, di particolare rilievo risultano l’articolo 19 del regolamento penitenziario ("Assistenza particolare alle gestanti e alle madri con bambini/e e asili nido") ed il compendio normativo racchiuso nella Legge n. 40 del 2001 ("Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli/e minori"), la cui voluntas legis è di garantire una tutela specifica dell’essere donna e madre in stato di detenzione all’interno del sistema carcerario italiano.
I numeri: al 10 Febbraio 2009 le detenute in Italia risultano oltre 2500 (il 5% del totale della popolazione carceraria); nei 19 “nidi” allestiti in altrettante strutture carcerarie vivono circa 65 bambini i quali, come pubblicato in un interessante articolo apparso sul settimanale Left Avvenimenti del Novembre 2008 a firma di Irene Testa, “vivono e respirano la reclusione, i cui sogni sono tormentati dai suoni metallici della battitura dei ferri e dallo stridere delle chiavi che chiudono i cancelli di sicurezza, bambini che imparano a dire “guardia” prima di “papà”, che nella loro naturale imitazione della mamma offrono i polsi agli agenti per farsi ammanettare”. Bambini che per anni, alcuni sin dalla nascita, non hanno ad esempio mai percepito neanche da lontano l’immagine del mare o più semplicemente di un piccolo giardino.
Bambini e madri dietro le sbarre che in ogni caso dovranno poi, al compimento dei 3 anni di età dei minori, subire l’ulteriore trauma della separazione affettiva, in molti casi passando dalla clausura del regime penitenziario a quella, per molti versi altrettanto traumatica, dell’istituto di affidamento.
Basterebbero queste crude immagini per ritenere l’urgenza del problema. Basterebbero forse, nell’ottica di alternativa al regime chiuso, cinque o sei appartamenti per ospitare tutti quei bambini sfortunati e le loro madri assicurando loro condizioni di minor disagio e così garantendo, per quanto possibile, un’esistenza più innocente.
Purtroppo nel corso degli ultimi anni la politica, malgrado alcuni buoni proclami, forse validi solo per riempire qualche convegno di nicchia, non ha ritenuto di interessarsi seriamente e con un approccio necessariamente pragmatico a questo dramma sociale.
Solamente nell’anno 2001, con la Legge n. 40, in buona parte oggi disapplicata, si intese dare una risposta, del tutto parziale come in seguito si dirà, alla tutela del rapporto madre-figlio anche in ambito carcerario. In ogni caso il pregio della suddetta iniziativa legislativa è stato indubbiamente quello di aprire un varco alle rigidità del sistema penitenziario, anche se, alla luce dei fatti, troppo esiguo per permettere un effettivo miglioramento della vita dei bambini reclusi.
In verità, nonostante la quasi totale assenza di norme, grazie al coordinamento di plurimi soggetti istituzionali, già oggi esiste una nuova (e diversa rispetto al carcere) struttura in grado di accogliere detenute con figli in tenera età: da due anni è infatti in funzione a Milano l’Istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM), formalmente considerata sezione staccata della Casa Circondariale di San Vittore, in cui gli aspetti più traumatizzanti della struttura chiusa tipica di ogni istituto di pena vengono cancellati per far posto, con l’indispensabile assistenza di operatori qualificati, ad una sorta di casa famiglia, con colori allegri alle pareti, stanze singole per tutelare un minimo di privacy, una ludoteca, una biblioteca, un giardino e persino una grande cucina in cui si condivide il momento dei pasti.
Tutto questo realizzato senza intaccare il delicato equilibrio tra le necessarie esigenze custodiali e la tutela affettiva e sociale dei bambini di madri detenute, anche se è da registrare che ben il 69% delle madri ammesse si trovava al momento del rilevamento in stato di custodia cautelare ed addirittura 24 di queste non erano state sottoposte durante la permanenza nell’istituto ad alcun processo, con ciò replicando in senso proporzionale la medesima grave situazione già presente negli istituti penitenziari affollati da detenuti in attesa di giudizio.
L’esperienza positiva dell’ICAM di Milano è da più parti considerata in ogni modo quale modello per altri analoghi progetti che negli anni a venire potranno essere replicati a Roma, Firenze, Favara, oltre che in Sardegna.
Non vi è dubbio alcuno, però, che occorre fare di più.
L’occasione, migliorando ed estendendo gli effetti dell’esperienza già in atto, si ripropone oggi sotto forma di iniziativa parlamentare con il disegno di legge n. 1129 del 20 Ottobre 2008 (prima firmataria Senatrice Poretti), che, nonostante il titolo riduttivo “Misure per la creazione di <> per detenute con figli minori”, dall’analisi del testo ben si comprende di portata più vasta, finendo per incidere con i suoi 6 articoli sul codice penale e di rito nonché su alcuni istituti dell’ordinamento penitenziario.
L’ottica primaria è quella di accrescere le possibilità già concesse attualmente dall’ordinamento giuridico, in primis dalla citata Legge 40/2001, per evitare che donne con figli minori di 10 anni finiscano in regime carcerario con i propri bimbi.
Già oggi, infatti, è previsto che tutte le detenute, a prescindere dalla gravità del reato commesso, possano ottenere la detenzione domiciliare cd. “speciale” dopo aver scontato un terzo della pena ovvero, in caso di ergastolo, almeno 15 anni.
Purtroppo il vaglio per l’ammissione è però basato principalmente su un giudizio prognostico di non sussistenza del pericolo di commissione di ulteriori fatti criminosi, finendo così per escludere la maggior parte delle madri detenute, o perché autrici di reati connessi agli stupefacenti da cui l’alto tasso di recidiva, o perché straniere prive di un domicilio dove poter scontare in maniera alternativa la pena.
Senza considerare che il beneficio in questione, per la formulazione stessa della norma, può applicarsi solo nei confronti di chi è già in esecuzione pena, e non in favore di coloro che si trovano in stato di custodia cautelare, che come detto rappresentano la maggioranza delle detenute, in ciò in evidente ed ennesimo spregio del fondamentale principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Nel giusto tentativo di ovviare a questi gravi inconvenienti di accessibilità a misure alternative al regime ristretto, vi è appunto il disegno di Legge n. 1129 che già all’art. 1 intende incidere in un ambito preliminare all’ingresso in carcere prevedendo una nuova formulazione all’art. 147 c.p. in cui, a prescindere dal titolo di reato ed escludendo ogni giudizio prognostico circa l’esistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, permette di concedere la sospensione facoltativa della pena anche alle madri di prole sino a 10 anni di età.
L’art. 4 invece incide sull’ordinamento penitenziario, in particolare sugli artt. 47-ter e 47-quinquies della L. 354/75, eliminando, ai fini dell’accesso alla detenzione domiciliare speciale, la solita valutazione dell’insussistenza del concreto pericolo di commissione di successivi delitti nonché l’ulteriore requisito (congiunto al primo) relativo alla possibilità di ripristinare la convivenza con i propri figli.
Inoltre, nella medesima norma è prevista la possibilità di concessione del beneficio in questione (e non solo di proroga com’è oggi) anche alle detenute con figli di età maggiore ai 10 anni.
Con l’art. 3 si introduce l’art. 30-quinquies dell’O.P. disciplinando la possibilità per la madre detenuta di essere autorizzata in via d’urgenza ad accompagnare il figlio in ospedale ed eventualmente a soggiornarvi in caso di necessità.
Le ulteriori disposizioni, art. 2 e art. 5, si occupano più specificamente della custodia cautelare e della regolamentazione, realizzazione e funzionamento delle case famiglia intese quali strutture concretamente alternative al carcere.
In particolare, l’art. 2 modifica la previsione di cui all’art. 275 comma IV del codice processuale estendendo il divieto di custodia cautelare, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, comunque non impeditive in assoluto dell’accesso a case famiglia protette, a donne con prole sino a 10 Anni di età e non più sino a 3 anni, finendo così per esaltare il sacrosanto principio della custodia in carcere quale extrema ratio.
La disposizione dell’art. 5 inserisce nell’ordinamento penitenziario un ulteriore norma, art. 47-septies, garantendo in fase di esecuzione pena, quale alternativa al carcere, l’accesso presso le case famiglia protette alle madri con prole sino a 10 anni, senza comunque escludere del tutto tale possibilità anche in caso di figlio di età superiore, come già visto nell’art. 2 per la custodia cautelare, e ciò all’evidente fine di tutelare lo sviluppo psicofisico del bambino.
Non ci si ferma qui. Viene altresì opportunamente stabilito nella medesima norma che la detenzione presso la casa famiglia comporti la sospensione della pena accessoria della decadenza o della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale, salvo i casi più gravi di cui all’art. 330 c.c..
Ed ancora: si prevede la costituzione di case famiglia necessariamente al di fuori degli istituti carcerari, da realizzarsi anche in convenzione con enti locali, associazioni, fondazioni e cooperative, con l’impiego di operatori qualificati in pedagogia o psicologia nella misura non inferiore al 65 % del totale degli addetti. Appare altresì significativo che la sorveglianza e la sicurezza delle case famiglia venga demandata alla Prefettura di competenza in coordinamento con la Magistratura di sorveglianza e con il direttore della medesima struttura, se del caso anche con l’ausilio di apparati tecnologici quali video e telesorveglianza.
In chiusura, all’art. 6, opportunamente viene salvaguardato il principio dell’unità familiare, ormai ben riconosciuto e codificato in ambito internazionale, nel prevedere il rilascio di un permesso di soggiorno in favore di figli che si trovano nel proprio Paese d’origine aventi madri detenute in Italia.
Nonostante le attuali e molteplici iniziative di politica criminale tendano tutte ad una rigida limitazione della possibilità di accedere a misure alternative al regime detentivo in carcere, vi è comunque da augurarsi che, anche attraverso una doverosa presa di coscienza da parte di tutta la società, l’abominio dell’esistenza di bambini in carcere, per natura liberi ed innocenti, ma per diabolica volontà umana ristretti dietro le sbarre di un qualsiasi buio penitenziario, diventi presto solo un orribile ricordo, certo il peggiore, della profonda inciviltà giuridica con cui oggi noi tutti ci dobbiamo misurare.
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