GRAFFITI-ON-LINE.COM

 

2002-2024 Graffiti-on-line.com

Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati.


Forum 16

Pareri

Consiglio dell’Ordine


09/09/2009 - Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rieti


(Rieti)
Alcuni iscritti hanno fatto richiesta di parere circa i limiti del segreto professionale al quale è tenuto il difensore e tutti i suoi collaboratori in ordine alle notizie apprese nello svolgimento del mandato defensionale in sede penale dibattimentale, nel corso dell’udienza preliminare o in una causa civile e/o amministrativa e, in particolare, se, nel caso in cui l’informazione ricevuta dal proprio assistito sia stata rivelata per finalità derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, questa perda il connotato di segretezza e quindi vengano meno per il difensore gli obblighi ai quali è tenuto ai sensi dell’art. 9 del C.D. Come è noto il segreto professionale è tutelato dall’art. 622 c.p. che punisce chiunque, avendo notizia per ragione della propria professione, di un segreto, lo rivela senza giusta causa. Sotto la stessa rubrica l’art. 220 c.p.p. afferma lo stesso principio, stabilendo che gli avvocati e gli altri professionisti non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione. Anche il Codice Deontologico europeo indica il segreto professionale come “dovere fondamentale e primordiale” base stessa del rapporto di fiducia con la parte assistita. Tali previsioni penali e comunitarie confermano che il segreto professionale - che in sostanza attiene tutto ciò che riguarda la persona assistita, che sia stato comunque appreso dall’avvocato - è forse il dovere principale al quale deve attenersi l’avvocato dovendosi intendere come un limite invalicabile perché costituisce un diritto ed una difesa per la parte assistita e un dovere dell’avvocato che proprio sul segreto professionale fonda il proprio ministero che non potrebbe esistere se non vi fosse un rapporto tacito ma cosciente tra avvocato e assistito, tutelato, appunto, dal segreto professionale. Ribadito quindi l’obbligo assoluto ed inviolabile di conservare il segreto professionale, delimitato da un punto di vista oggettivo e soggettivo dall’art. 9 del C.D., non è corretto porre il quesito se tale obbligo possa venire meno in quanto gli unici casi in cui ciò è possibile vengono elencati nelle fattispecie tassativamente previste dal canone completare IV del citato art. 9, che prevedono le eccezioni alla regola generale, le quali, secondo la giurisprudenza del C.N.F., debbono essere interpretate restrittivamente e tassativamente. Infatti il difensore è sempre tenuto ad osservare tale segreto in qualunque sede ed anche prescindendo dall’uso che della notizia ha fatto per scopi defensionali. La circostanza che la notizia sia stata diffusa a terzi per scopi defensionali non può infatti giustificare il venir meno dell’obbligo che permane a prescindere dalla conoscenza della stessa da parte di altri soggetti che potrebbero avere un interesse alla sua divulgazione. A conferma ditale interpretazione v’è la specifica previsione delle eccezioni contenuta nel canone complementare IV tra le quali rientra quella relativa alla controversia tra l’avvocato ed il proprio cliente in materia di responsabilità professionale ovvero di pagamento delle spettanze professionali. In questo caso è previsto che la rivelazione deve essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine da realizzare e non si potrebbe giustificare una rivelazione fatta al solo scopo di nuocere il cliente (cfr.: C.N.F. 22/3/1997, n.23). Ovviamente allorché l’avvocato intenda richiedere al Consiglio la liquidazione degli onorari maturati nei confronti del cliente non potrà esimersi dal produrre tutta la documentazione necessaria a tale scopo per consentire al Consiglio di valutare la chiesta liquidazione nelle singole voci e nella valutazione dello scaglione di tariffa applicato e, quindi, la fattispecie rientra nelle eccezioni previste dal citato art. 9. * * * Si chiede al contempo al Consiglio di esprimere un parere in ordine ai limiti di producibilità della corrispondenza scambiata con il collega di controparte, anche in considerazione del disposto dell’art. 27 che vieta di inviare missive direttamente alla parte quando questa sia assistita da un collega. Per quanto attiene la produzione in giudizio della corrispondenza scambiata con il collega, l’art. 28 del C.D. prevede che sia riservata la corrispondenza tra colleghi, espressamente qualificata come tale. Tale scelta è motivata dal fatto che da un lato l’avvocato non è solo il difensore di un interesse di parte, ma è anche arbitro della conduzione della lite e quindi della possibilità di conciliazione della stessa; dall’altro lato l’avvocato deve mantenere una posizione di alterità rispetto alla lite e non deve identificarsi con il litigante. Tale riservatezza colpisce non solo le comunicazioni espressamente dichiarate “riservate” ma anche le comunicazioni scambiate nel corso del giudizio, e quelle anteriori allo stesso, in quanto contengano proposte a carattere transattivo, ancorché non siano state espressamente dichiarate “riservate “. I casi nei quali la riservatezza viene meno si riferiscono alla volontà delle parti che esplicitamente possono dichiarare nella corrispondenza inviata che la stessa “non è riservata” ovvero ai casi specificamente indicati nei canoni complementari di cui ai nn.ri 1, 2 e 3 del citato art. 28 del C.D. che sono stati introdotti proprio per risolvere i casi dubbi. Si tratta di eccezioni che hanno un’evidente ragione d’essere in quanto nella ipotesi in cui l’accordo tra le parti si sia raggiunto è proprio compito dell’avvocato formalizzare l’accordo e, quindi, l’uso della corrispondenza è assolutamente legittimo, così come parimenti legittimo è l’uso della corrispondenza dell’avvocato che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste poiché il risultato cui si tende è proprio l’adempimento della prestazione. Infine il terzo canone tende ad evitare che il principio della riservatezza sia paralizzato dalla successione tra avvocati e, quindi, in quanto sancisce il principio che l’avvocato non debba consegnare alla parte la corrispondenza riservata con il collega ma possa consegnarla al professionista che gli succede il quale sarà tenuto ad osservare i medesimi criteri di riservatezza. La norma deontologica non offre pertanto margini di interpretazione che si pongano in contrasto con quanto in essa specificamente stabilito.

 

 

2002-2024 Graffiti-on-line.com - Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati.