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La caduta del panarabismo e del nasserismo

L’altro vincitore della Guerra dei sei giorni

La contestazione del sionismo da parte del fondamentalismo biblico


15/05/2008 - Massimo Iacopi


(Perugia)   Il conflitto del giugno 1967 oltre alla vittoria dell’esercito israeliano sulle forze egiziane e siro-giordane ha provocato nel Vicino Oriente la caduta del panarabismo e del nasserismo e in Israele la contestazione del sionismo da parte del fondamentalismo biblico. A tutto vantaggio dell’Islamismo.

Israele, all’alba del 5 giugno 1967, minacciato di sopravvivenza alla sue frontiere dagli stati arabi suoi confinanti, passa all’offensiva. La sera della prima giornata di combattimenti oltre metà dell’aviazione araba risulta distrutta e la sera del sesto giorno di guerra gli eserciti egiziani, giordani e siriani sono ormai sconfitti. I carri armati del Tsahal hanno fortemente scosso gli avversari su tutti i fronti di guerra. In meno di una settimana lo stato ebreo ha triplicato la sua superficie: l’Egitto ha perduto Gaza ed il Sinai, La Siria è stata amputata della regione del Golan e la Giordania ha perduto la Cisgiorgania, che aveva unilateralmente annesso nel 1950. L’aspetto più mortificante e simbolico della sconfitta araba è rappresentato dalla conquista israeliana della città vecchia di Gerusalemme. La città delle tre religioni del Libro, annessa allo stato ebraico, diventa la Capitale di Israele, fatto peraltro non riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale.

L’Arabismo (1), discreditato, affonda insieme agli eserciti arabi; molto presto l’Islamismo (2), il petrolio e la resistenza palestinese diventeranno i motori della causa araba, mentre la sconfitta militare sanziona il fallimento della precedente politica. Il cedimento degli stati apre una crisi politica di grande ampiezza che erode e distrugge la legittimità delle élites laiche al potere: Nasser in Egitto, El Atassi in Siria. Il 28 settembre 1970 milioni di Egiziani, in una immensa agitazione collettiva, spazzano il servizio d’ordine e gli ufficiali si impadroniscono della bara di Nasser e la portano alla sepoltura in un ultimo disperato omaggio a colui che era stato il leader del mondo arabo dal 1954. Ma con Nasser viene sepolto quel giorno anche il Nasserismo. Nel Vicino Oriente si apre una nuova epoca rivoluzionaria. L’Arabismo, fino al giorno prima strumento di contestazione popolare, ha ormai perso la sua virulenza, diventando una ideologia ufficiale. La “Liberazione della Palestina occupata” fornisce ora alle nuove generazioni arabe il nuovo mezzo per contestare una società bloccata, soffocante e dispotica.

La gioventù del Cairo, di Damasco, d’Amman e di Bagdad preferisce ormai, al posto dei primi eroi dell’indipendenza contro la presenza coloniale prima turca e poi britannica, gli attivisti palestinesi, Kefiah sulla testa, Kalashnikov a tracolla e nelle mani la bandiera di un marxismo “puro e duro”. I Fedayn rappresentano la rivoluzione in marcia contro i capi di stato arabi ed il nuovo ordine che essi incarnano.

In Giordania, nel settembre 1970, Re Hussein affronta militarmente i militanti della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che hanno creato uno stato nello stato; sarà una lotta senza quartiere, il sanguinoso “settembre nero”. I combattenti palestinesi, che hanno trovato rifugio nel Libano, dopo la loro espulsione da Amman, danno man forte agli islamo progressisti locali, dove si frammischiano maroniti, sciiti e drusi contro il fragile stato libanese multiconfessionale. In Egitto gli studenti affermano quotidianamente nelle strade il loro sostegno ai Palestinesi e spingono il Presidente Anwar el Sadat, successore di Nasser, ad affrontare Israele.

Dal canto suo, l’Occidente è convinto di aver individuato dietro i capi delle organizzazioni palestinesi Arafat, Habbash, Abu Nidal ed altri, i fantasmi di Marx e di Lenin, per il fatto che essi sono sostenuti dal blocco comunista. Per certi aspetti un errore fatale coltivato specialmente dalla Francia. La rivoluzione avrà effettivamente luogo, ma “partorirà” nel 1979 in Iran, una repubblica islamica e non certo una repubblica “popolare democratica”.

In effetti la perdita di Gerusalemme, Al Quds (La “Santa” in arabo) riveste un significato religioso considerevole per i mussulmani. Dalle origini dell’Islam, la città è uno dei luoghi santi: in effetti è prioritariamente verso di essa, prima della Mecca, che si sono rivolti i primi mussulmani nelle loro preghiere. Il suo suolo sarebbe stato percorso dal Profeta, in occasione di un suo viaggio notturno (miradj). “Una notte Muhammad – Maometto venne svegliato dall’angelo Gabriele (Gibril) ed avendo inforcato una favolosa cavalcatura, percorse in un baleno la distanza fra la Mecca e Gerusalemme. Laggiù egli recitò una preghiera. Poi, sempre accompagnato da Gabriele, egli fece una ascensione attraverso i sette cieli sino all’ultima Presenza divina; poi effettuò il cammino in senso inverso”. E’ sempre a Gerusalemme che avrà luogo, nel giorno del giudizio universale, il combattimento finale fra l’impostore apocalittico, Dajjal e le forze della fede, comandate dal Mahdi ed assistite da Gesù. Le truppe dei Credenti, finalmente vittoriose, andranno a pregare nella moschea di Gerusalemme, che diventerà da quel momento l’unico centro spirituale dell’umanità, ormai completamente convertita all’Islam.

Yaqut al Hamawi, un sapiente mussulmano morto nel 1929, affermava che la tradizione profetica recitava: “Chiunque prega a Gerusalemme è come se pregasse nel Cielo. E’ a Gerusalemme che Dio ha innalzato al Cielo Gesù, figlio di Maria, è là che Gesù riapparirà nel momento del suo ritorno. E’ a Gerusalemme che la Kaaba (3) sarà portata in corteo con tutti i pellegrini venuti apposta per essa e si dirà: Benvenuti al visitatore ed al visitato ! Tutte le moschee della terra saranno portate in processione a Gerusalemme …… Laggiù suoneranno le trombe nel giorno della Risurrezione”. Il carattere sacro di Gerusalemme viene ancora più amplificato durante il periodo delle Crociate. Uno storico mussulmano, contemporaneo del Saladino, Imad al Din, scriverà dopo la riconquista araba della città nel 1187: “Essa è all’origine dei messaggi profetici, dei miracoli dei santi e delle tombe dei martiri”.

In tale contesto, all’indomani della guerra dei sei giorni, numerosi mussulmani vedono nella perdita di Gerusalemme un intervento divino destinato a punire i regimi arabi miscredenti, che hanno dimenticato Dio e questo li incita a tornare con fervore verso l’Islam. Le parole di Sayd Qutb, un teorico dei Fratelli Mussulmani impiccato sotto Nasser, assumono per gli Arabi valore di profezia. “La dominazione dell’uomo occidentale nel mondo è ormai giunta alla sua fine, non tanto perché la civiltà occidentale è materialmente in fallimento o ha perduto la sua potenza economica e militare, esaurendo il suo ruolo, ma perché non possiede più al suo interno, quell’insieme di “valori” che gli hanno permesso la supremazia. ….. La rivoluzione scientifica ha assolto la sua funzione così come il Nazionalismo e le comunità limitate ad un territorio che si sono sviluppate a suo tempo. …. E’ venuto nuovamente il momento dell’Islam”. Questa idea è quella che restituisce il morale ai vinti del 1967 e diventa un’arma contro l’Occidente, alleato di Israele. L’Islamismo (2) ha ormai iniziato i suoi passi nella sostituzione dell’arabismo.

Fino allo scoppio della Guerra dello Yom Kippur (o del Ramadam, a secondo degli storici), nell’ottobre 1973, i gruppi marxisti formano la punta di lancia dell’opposizione ai regimi dal Cairo a Bagdad. Sulla base dell’esito di questo nuovo conflitto israelo-arabo, l’Islamismo, sino a quel momento represso da Nasser, rinasce dalle sue stesse ceneri e per mezzo di altre nuove organizzazione quali Hamas (4), il braccio armato dei Fratelli Mussulmani e lo stesso Anwar el Sadat, che firmerà gli Accordi di Camp David con Israele nel 1977, sarà assassinato da un commando islamista nel 1981. Dal Golfo Persico all’Atlantico le folle trovano nell’islam wahabita, praticato in Arabia Saudita, un surrogato del marxismo. Indubbiamente nel 1973 Israele, dopo aver subito degli insuccessi iniziali nel Sinai e nel Golan, esce ancora una volta vincitore dal nuovo conflitto. Ma il vero vincitore è il Regno dell’Arabia Saudita grazie all’arma, incredibilmente efficace, del petrolio.

Per obbligare l’Occidente a fare pressioni su Israele per l’accettazione del cessate il fuoco, quando ormai lo Tsahal è ad appena 30 chilometri dal Cairo ed ad una quarantina da Damasco, Re Feysal chiude i rubinetti del petrolio e Ryad si erge in tal modo ad ultimo bastione del mondo arabo, imponendosi sulla scena internazionale.

L’opinione mussulmana vede nel petrolio un dono di Dio ed a seguito della guerra dello Yom Kippur il prezzo del barile sale del 70%. Le casse di Ryad cominciano a rigurgitare di “petrodollari”. In effetti il primo shock petrolifero e l’embargo hanno dimostrato che il Regno Saudita avrebbe giocato un ruolo sempre più rilevante. Le sue entrate da quel momento conoscono una crescita irresistibile: 949 milioni di dollari nel 1969; 2.745 milioni di dollari nel 1972; 22.574 milioni di dollari nel 1974; 25.700 nel 1975; 30.800 nel 1977.

E’ ormai dimenticato il 1818, l’anno in cui i Saud furono costretti alla fuga sotto l’incalzare delle truppe egiziane del Vicerè del Cairo, Ibrahim Pashà, così sembra ormai un ricordo lontano la “defunta e screditata” Voce degli Arabi, che diffondeva i discorsi incendiari di Nasser contro la dinastia saudita. Ora Feysal è corteggiato dai grandi del mondo, adulato dalle popolazioni arabe che vedono in lui il nuovo difensore dell’Islam. Nelle strade del Cairo, qualcuno, nel 1975, arriva persino a diffondere l’idea di una possibile riedizione, dopo 51 anni, del Califfato vacante e di poterlo conferire a Feysal, capo incontestato del mondo arabo. L’Arabia Saudita si pone al centro dell’Umma, la Comunità dei Credenti mussulmani, dalla Malesia al Senegal e dalle Repubbliche islamiche dell’Asia centrale alle periferie delle capitali europee. La Somalia, l’Etiopia dancalica, l’Eritrea, l’Irak, l’Algeria, l’Egitto, l’Afghanistan, il Pakistan, ma anche la Francia, la Germania, il Belgio e la Gran Bretagna, vengono inondate da milioni di copie del Corano o da opere, lussuosamente stampate e vendute a basso prezzo, di Ibn Tamiya, uno dei grandi pensatori degli islamisti.

Ryad non bada a spese. Somme colossali vengono riunite per finanziare questa “reislamizzazione” del mondo e per aggirare il divieto coranico del prestito ad usura (la Riba), viene creata, nel 1973, a Gedda, da parte del regime saudita, la Banca Islamica di Sviluppo. Inoltre per promuovere l’ortodossia islamica, i dirigenti dispongono, a partire dal 1969, dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, forte oggi di ben 57 stati membri. Se dal un lato questa istituzione serve a propagare soprattutto il Wahabismo, dall’altro essa concorre anche a reislamizzare l’economia e la finanza. Sotto la sua ala protettrice si è già sviluppata, dal Pakistan al Marocco, una sequela di “Banche islamiche”.

 

Ma il mondo mussulmano non sarà il solo ad essere toccato dalla guerra dei sei giorni. Il 7 giugno 1967 le truppe israeliane raggiungono il “Muro del Pianto”. I soldati dello Tsahal si raccolgono davanti alle vestigia del Tempio di Salomone. Essi vi pregano, piangono e cantano l’Hallel, una serie di preghiere per le grandi occasioni. Tremanti di emozione essi si “dondolano” al ritmo dei salmi, con il mitra Uzi a tracolla, davanti al generale Moshé Dayan, Ministro della Difesa che dichiara: “Questa mattina, l’esercito di difesa israeliano, ha liberato Gerusalemme … Noi siamo ritornati nei più santi dei nostri luoghi e vi siamo ritornati per non separarcene mai più”.

Questa vittoria del giugno 1967, per usare le parole di un famoso giornalista svizzero Pierre Hazan, provocherà dei profondi cambiamenti religiosi in Israele e negli Stati Uniti, dove vive la più potente comunità della Diaspora. La Guerra dei sei Giorni stimola e “legittima” il sentimento politico religioso dei nazionalisti. L’annessione di Gerusalemme, questa appropriazione “quasi carnale” della vecchia città, apre la via alla rinascita del misticismo, ad una riaffermazione dell’identità giudea, non più sotto la forma del sionismo, ma sotto quella di un nazionalismo rigido ed intransigente. La stessa vittoria viene giudicata come un fatto quasi miracoloso, come una conferma quasi divina del diritto all’esistenza di Israele. La vittoria segna soprattutto la fine di un’epoca, quella della missione dei pionieri, i fondatori di Israele, atei in maggioranza, che hanno voluto fare dello stato ebreo un crogiolo nel quale gli immigranti giudei, venuti dai quattro angoli del mondo, avrebbero dato la nascita ad un “uomo nuovo”. Essi hanno ormai compiuto la loro missione: Israele è una realtà indiscutibile e la sua sicurezza sembra ormai essere assicurata per lungo tempo.

Questo vecchio sogno della fine del 19° secolo, fortemente impregnato di ideali socialisti, i religiosi ebrei non l’hanno mai accettato. Fino al 1967, i giudei ortodossi sono in maggioranza antisionisti. Essi pensano che dopo la caduta del Secondo Tempio, la vocazione degli Ebrei è quella di formare un “popolo di preti” dispersi fra le nazioni. Essi non devono partecipare alla restaurazione d’Israele prima dell’avvento dei tempi messianici. Con la conquista della vecchia città di Gerusalemme, essi cambiano radicalmente d’opinione. Partigiani del Grande Israele, religioso o nazionalista, essi si rifiutano di restituire la Cisgiordania, l’antica Giudea e Samaria, la loro patria storica. Essi immaginano ormai un altro Israele, erede del popolo del Libro, un Israele più grande di quello della guerra del 1948 e soprattutto più credente. Essi, in definitiva, vogliono offrire agli Israeliani una nuova frontiera ed un nuovo sogno.

Il 4 luglio 1967 il rabbino (rav) Tsvi Yehuda Kook esorta i suoi allievi, pronunciando il giuramento millenario: “Se per caso ti dovessi dimenticare o Gerulasemme, che la mia mano destra si secchi !”. Poi ammonisce il Capo dello stato di Israele, Zalman Shazar, ed i suoi ministri, venuti ad ascoltarlo: “Che la mano che firmerà degli accordi di cessione della terra d’Israele sia tagliata ! …. Esiste nella Torah un divieto assoluto di rinunciare anche ad un solo pollice della nostra terra liberata”. 28 anni più tardi, il 5 novembre 1995, Ygal Amir, obbedendo ai precetti di questo rabbino estremista, assassinerà Ytzhak Rabin, il Capo del Governo israeliano, che nel 1993 ha firmato degli accordi di pace a Washingon con Yasser Arafat, il rappresentante dei Palestinesi.

Le prime colonizzazioni ebree seguono immediatamente la vittoria del 1967, sotto la spinta del rabbino Moshé Levinger e dei suoi partigiani, che occupano un albergo ad Hebron, città dove sarebbe stato sepolto Abramo. Essi vogliono con tale gesto rammentare a tutti gli Israeliani il massacro della Comunità ebrea del 1929. In seguito, sempre nella regione di Hebron, essi fondano una nuova città, Kyriat Arba. Nel 1974, dei partigiani del rabbino Kook, creano il movimento Gush Emunim, il Blocco della Fede. Altri discepoli del rav Kook si riuniscono a sud di Betlemme, a Kfar Etzion, sulla strada Gerusalemme - Hebron. Questa località rappresenta un luogo altamente simbolico: in quanto costituisce una delle più antiche colonizzazioni ebree del Yishuv (5) nella Palestina, conquistata dalla Legione Araba nel 1948 e riconquistata da Israele nel 1967. Kfar Etzion incarna, da un lato la fragilità della presenza giudea, alla mercé delle armi arabe e dall’altro la volontà di non cedere. Nello spirito dei fondatori del Gush, ma anche in quello dell’israeliano medio, Kfar Etzion non è un “bene negoziabile”. Per il Gush il concetto si allargherà poi sino a comprendere tutti i territori occupati, come lo ha ben sottolineato lo scrittore Kepel.

Questi giudei religiosi non sono peraltro un elemento isolato nella società di Israele ed anche diversi cristiani sionisti condividono il loro stesso punto di vista. Essi vedono nel ritorno del Tempio nel girone del giudaismo, l’espressione della volontà di Dio e commentano questo avvenimento alla luce delle Sacre Scritture. Questa vittoria, a loro avviso, annuncerebbe nientemeno che il trionfo finale del bene sul male. Secondo la loro visione il giugno 1967 segnerebbe il ritorno trionfale di Israele, che nella Bibbia annuncia la vittoria del Bene, il ritorno del Messia e la fine dei tempi. Essi difendono incondizionatamente Israele nel conflitto che l’oppone ai Palestinesi e condividono la stessa visione della storia con i giudei ortodossi.

Ieri, l’Arabismo ed il Sionismo dominavano largamente la scacchiera politica del Vicino Oriente. Oggi, invece, essi hanno ormai lasciato, si spera non definitivamente, il loro posto al fondamentalismo ed all’estremismo.

 

 

NOTE

 

(1) Nel senso moderno rappresenta un movimento di rottura con il colonialismo con l’obiettivo di riunificare la nazione araba. Il Nasserismo vi aggiunge una connotazione di socialismo;

(2) Movimento politico-religioso integralista fondato su una lettura letterale del Corano;

(3) Luogo santo della Mecca che conserva la Pietra Nera sacra. Rappresenta il cuore del mondo islamico;

(4) Acronimo di Haraqat al Muquwama al Islamica (Movimento di Resistenza Islamica). Hamas significa anche “fervore”. Questo movimento, fondato il 14 dicembre 1987, cinque giorni dopo l’inizio della 1^ Intifada, rappresenta per certi aspetti il braccio armato dei Fratelli Mussulmani;

(5) La Comunità ebrea di Palestina esistente già prima delle colonizzazioni sioniste del 19° secolo.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Corm Georges, “Il Vicino Oriente esploso 1956-1991”, Gallimard, Parigi, 1991;

Enderlin Charles, “Gli anni perduti, Intifada e guerre nel Vicino Oriente 2001-06”, Fayard, Parigi, 2006;

Hourani Albert, “Storia dei popoli arabi”, Seuil, Parigi, 1993;

Kepel Gilles, “La Rivincità di Dio”, Seuil, Parigi, 1991;

Laurens Henry, “Il grande gioco, Oriente arabo e rivalità internazionali”, Armand Colin, 1991.


 

 

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