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Yalta

Il rivolgimento mondiale del 1956

La divisione del mondo fra Sovietici e Americani


15/05/2008 - Massimo Iacopi


(Perugia)   Nel 1945, a Yalta, Roosevelt e Stalin avevano sancito la scomparsa delle aree di influenza britannica, tedesca e francese in Europa, che erano state sostituite dalla divisione del mondo in due mondialismi (quello leninista e quello wilsoniano). Con il 1956 la coesistenza fra le due mondializzazioni segna una nuova tappa. Dopo aver tolto alle potenze europee il loro potere sul destino dell’Europa, Americani e Sovietici si mettono ormai d’accordo per liquidare ciò che resta delle aree di influenza britanniche e francesi nel terzo mondo.

Dopo la morte di Stalin, nel marzo 1953, la dottrina sovietica internazionalista conosce degli adattamenti, conseguenti alla evoluzione della situazione mondiale. Tenendo conto della superiorità strategica americana degli anni 1953-55 e della comparsa dell’arma termonucleare nel 1954, i dirigenti sovietici, anche se non lo ammetteranno ufficialmente prima del 1956, sono sempre di più convinti dell’impossibilità di una vittoria in una guerra nucleare e che pertanto il Comunismo dovrà imporsi sulla scena mondiale attraverso l’impiego di altri mezzi.

Questo cambiamento radicale nella maniera di pensare la contrapposizione dialettica fra comunismo e capitalismo costituisce l’origine delle riflessioni sulle vie da intraprendere per conseguire comunque l’obiettivo finale. Tali riflessioni si concretizzeranno nella famosa Dottrina della Coesistenza Pacifica, proclamata da Kruscev a Mosca, nel febbraio 1956, in occasione del 20° Congresso del Partito Comunista Sovietico (PCUS).

Da queste riflessioni emergono almeno due idee essenziali, che avranno delle significative implicazioni geopolitiche.

La prima idea: per poter progredire, il Comunismo deve appoggiarsi ai movimenti anticolonialisti e nazionalisti che interessano il terzo mondo sin dalla fine della seconda guerra mondiale. La Dottrina Jdanov che rifiutava il non allineamento è ormai superata. Nel mese di aprile 1955 ha luogo la conferenza afro-asiatica di Bandung. La Cina, l’India, l’Egitto e diversi paesi del Medio Oriente vi si incontrano per affermare il loro anticolonialismo e la loro volontà di non allineamento. I dirigenti sovietici decidono di giudicare positivamente questo movimento. L’appoggio della mondializzazione sovietica ai nazionalismi del terzo mondo viene a costituire una sfida capitale alla mondializzazione americana e contribuisce ad allontanarlo ancora un po’ di più dai vecchi imperialismi europei (britannico e francese).

La seconda idea: per dividere il blocco capitalista, il comunismo cerca di mediare con la socialdemocrazia in Europa, al punto tale da far credere a quest’ultima che sta perseguendo una politica della terza via, una specie di “non allineamento europeo”. In effetti la Francia di Guy Mollet, nella convinzione che la Germania rappresenti comunque il principale problema dell’Europa e cercando, inoltre, di fare da contrappeso agli Usa, cade nella trappola sovietica, almeno sino a quando l’appoggio sovietico al FLN algerino e la crisi di Suez non faranno comprendere chiaramente ai transalpini i limiti del viaggio fatto a Mosca dai dirigenti parigini (1).

In effetti, malgrado la critica ai metodi staliniani, l’URSS non modifica nulla riguardo agli obiettivi finali della sua politica: la vittoria del comunismo sul capitalismo. Numerosi eventi, fra il 1953 ed il 1956 attestano questa incrollabile determinazione:

-           la repressione dei moti del giugno 1953 nella Germania dell’Est;

-           la vittoria, nei mesi che seguono la morte di Stalin, di Kruscev e Molotov sulle idee di Beria e Malenkov, che erano orientati a scambiare il controllo assoluto di Mosca sulla Repubblica Democratica tedesca comunista con una divisione di potere fra comunisti e socialdemocratici in una Germania riunificata;

-           il recupero del controllo della “via polacca” di Gomulka; il partito comunista polacco può anche prendere una via di tipo nazionale, ma nel rispetto di due condizioni irrinunciabili; rimanere “partito unico” e mantenere la Polonia nel Patto di Varsavia;

-           il terribile intervento dell’Armata Rossa a Budapest nel novembre 1956, perché l’Ungheria non ha accettato le due lezioni contenute nella lezione polacca e per aver creduto alla destalinizzazione del 20° Congresso del PCUS.

 

Le conseguenze geopolitiche di queste due idee sovietiche (difendere il blocco all’interno e sostenere i nuovi nazionalismi all’esterno) saranno terribili per le antiche potenze coloniali e verranno alla luce con la crisi di Suez.

All’epoca Parigi e Londra consideravano Nasser come un pericolo per i loro interessi nel mondo arabo. I Francesi, in effetti, riconoscevano i maneggi di Nasser nei sollevamenti algerini, mentre gli Inglesi temevano per la sicurezza delle fedeli monarchie conservatrici di Irak e di Giordania. Secondo il punto di vista di Parigi e di Londra ed al di là, comunque, della pura e semplice prevaricazione di interessi privati, la decisione egiziana di nazionalizzare il canale crea una seria minaccia alle rotte del petrolio fra il Mediterraneo ed il Golfo Persico. In questo contesto le due vecchie potenze europee sono inevitabilmente forzate verso una drastica decisione: riprendere il controllo del canale anche con la forza. E’ noto che verrà a mancare un giorno all’operazione militare congiunta franco inglese per conseguire il controllo della totalità del canale, ma questo innegabile successo militare si trasformerà poi in una pesante sconfitta politica.

Almeno tre errori di analisi geopolitica contribuiscono a spiegare il fallimento politico dell’operazione di Suez.

Primo: Francesi ed Inglesi non si sono accorti che il Medio Oriente è diventato una variabile di aggiustamento del conflitto sovietico-americano, la cui posta essenziale resta il controllo dell’Europa. Nel momento in cui scoppia l’affare di Suez, Mosca si trova impegnata a reprimere l’ondata di emancipazione ungherese. L’operazione di Suez consente a Mosca di mascherare, attraverso un sostegno vigoroso alla lotta contro l’imperialismo occidentale in Medio Oriente, il proprio imperialismo in Ungheria. I Sovietici, con grande abilità, mentre da un lato minacciano di attacchi nucleari la Francia e l’Inghilterra, dall’altra tendono la mano a Washington, proponendo di adottare una posizione anticoloniale comune.

In realtà, le due vecchie potenze europee, avendo già perduto il loro potere in Europa a vantaggio di Americani e Sovietici, non potevano certo sperare di continuare a mantenere il loro predominio nel terzo mondo.

Secondo: le vecchie potenze europee non hanno saputo valutare correttamente fino a che punto la conservazione delle rispettive zone di influenza non corrispondesse più alla visione geopolitica degli USA. Di fronte al blocco Sovietico, Washington vuole costituire un potente blocco pro-americano, garantito attraverso sistemi di alleanze fra stati sovrani. Secondo gli USA queste alleanze sono rese fragili dal residuo di tutela e di influenza politica ancora esercitato dai loro alleati francesi ed inglesi. Il 1954 è l’anno in cui gli Americani abbandonano i Francesi in Indocina e dove si costituisce allo stesso tempo il Patto di Manila (SEATO, settembre 1954). Nel Medio Oriente, durante il corso del 1955, i Britannici, con il benestare USA, hanno riavvicinato l’Irak alla Turchia e quindi aggiunto l’Iran ed il Pakistan nel Patto di Bagdad. Ma Washington teme, dopo il rifiuto del Cairo ad associarsi al patto di Bagdad, che le iniziative individuali delle potenze europee possano spingere l’Egitto nelle braccia dell’URSS. In effetti, né la politica inglese nei confronti dell’Egitto, né la politica francese in Algeria si trovano in armonia con la visione americana, che è quella di impedire all’URSS di presentarsi come campione dell’anti-imperialismo.

Terzo errore, certamente non il minore, la sottovalutazione della nuova politica condotta da Israele. Indubbiamente Israele è una giovane potenza regionale che può comprendere e sostenere agevolmente questa vecchia potenza coloniale (in Algeria) che è la Francia. Nel 1956, non potendo ancora contare effettivamente sugli Stati Uniti per garantirsi militarmente ed ancor meno sulla Gran Bretagna (che, per rimanere vicina agli Arabi, assume talvolta atteggiamenti anche ostili), Israele si appoggia decisamente sulla Francia.

Ma Parigi non ha capito che Israele ha bisogno di coinvolgere tutto il Medio Oriente nella Guerra Fredda, proprio per evitare di fare concessione ai Palestinesi. Già da prima del 1956 gli Americani esercitano sempre maggiori pressioni sugli Ebrei per arrivare ad una composizione del conflitto israelo-palestinese, causa prima dell’opposizione isarelo-araba.

In tale quadro Washington, che punta al controllo sul petrolio, vuole sostituirsi a Londra nell’influenza sul mondo arabo. Per fare questo l’America, sebbene sostenga da vicino il Sionismo, tenta comunque si strappare a quest’ultimo delle concessioni significative. Nel 1953, Eisenhower arriverà fino a sospendere segretamente gli aiuti economici a Tel Aviv, per obbligare Israele a rinunciare al progetto di deviazione delle acque del Giordano. Tale sospensione diventerà ufficiale dopo un sanguinoso raid condotto da Ariel Sharon, Comandante dell’Unità Speciale 101, sul villaggio arabo di Kyrba. Due anni più tardi, quando Israele reclamerà dagli USA una garanzia formale di sicurezza, John Foster Dulles, risponderà con la proposta di una garanzia condizionata: “Noi vi garantiremo se voi regolerete il problemi delle frontiere e dei rifugiati con la Palestina”.

Da quel momento ad Israele non rimane che una soluzione. Per poter diventare l’alleato strategico incondizionato degli Americani, il Medio Oriente deve entrare nella Guerra Fredda. Questo implica da un lato che il nazionalismo arabo tenda a sovietizzarsi e dall’altro che la Gran Bretagna e la Francia vengano rimpiazzate nella regione dagli USA.

Il Mossad è il primo servizio segreto a fornire alla CIA il rapporto segreto di Kruscev al 20° Congresso del PCUS (febbraio 1956). Entrando nell’operazione di Suez a fianco delle potenze europee, gli Israeliani sanno in effetti che dovranno ritirarsi. Ma sanno altresì che potranno ottenere delle contropartite: lo statuto di alleato incondizionato degli USA, l’autorizzazione occulta a sviare dell’uranio arricchito, prodotto nella fabbrica Apollo in Pennsylvania, per il loro programma nucleare sviluppato con l’aiuto della Francia (2) e ancora il diritto di passaggio delle navi di Israele nel golfo d’Aqaba, attraverso gli Stretti di Tiran (nel 1957).

Un anno dopo Suez il rivolgimento politico nella regione è già un fatto compiuto. La dottrina ufficiale degli USA considera ormai Israele come con un alleato “diga” contro il nazionalismo arabo e l’influenza sovietica nella regione. Nel luglio 1958 Ben Gurion suggerisce agli Americani di aiutarli a sviluppare una alleanza periferica che raggruppi Israele, Turchia, Iran ed Etiopia e nel corso dello stesso anno i servizi segreti dei tre primi paesi formalizzano le loro relazioni. In tal modo alla logica inglese del Patto di Bagdad si sostituisce, da un lato, sotto l’egida di Israele, un potente asse “anti-arabo” e dall’altro la Dottrina Eisenhower del gennaio 1957, che determina l’entrata del medio Oriente nella Guerra Fredda (in tale quadro gli USA accorderanno una assistenza economica e militare a qualsiasi paese o gruppo di paesi della regione, eventualmente desiderosi di beneficiarne, con il vincolo sottinteso che l’assistenza potrà comportare la presenza di forze armate americane).

Il 1956, oltre alla crisi di Suez, è anche l’anno in cui gli Europei perdono la loro indipendenza energetica. I Sovietici, con il sostegno ai non allineati e l’offensiva sul terzo mondo, si ripromettevano di sbarrare agli Occidentali la rotta del petrolio. Contribuendo anche loro a far entrare il Medio Oriente nella Guerra Fredda, essi arriveranno solo parzialmente a conseguire il loro obiettivo.

Mentre nel corso del 1957 il consumo europeo di petrolio supera per la prima volta quello del carbone e che l’80% del petrolio viene importato dal Medio Oriente, gli Europei non dispongono più, dopo il fallimento di Suez, una capacità autonoma di accesso alle risorse petrolifere.

Prendendo atto della bipolarizzazione nucleare del mondo (che accresce la dipendenza politica delle potenze che non dispongono dell’arma atomica) e della perdita dell’indipendenza energetica derivante dal petrolio, la Francia si ingaggerà risolutamente dopo il 1956 sulla via dell’energia nucleare (sia sul piano civile che su quello militare). Anche l’Inghilterra seguirà la stessa politica per quanto attiene al nucleare, cercando però, a differenza della Francia, di costruire un’alleanza molto stretta in tutti i settori con il gigante americano. E’ dunque a quest’epoca che nei grandi paesi comincia a farsi strada la convinzione che di fronte alla bipolarizzazione ed alla mondializzazione, non ci potrà essere una vera indipendenza nazionale al di fuori della via nucleare. L’anno 1957, con il lancio del primo missile intercontinentale sovietico e la messa in orbita dello Sputnik, non farà che consolidarsi lo scossone del 1956.

Ormai il mondo sembra destinato a dover essere diviso fra Americani e Sovietici. Il 20° secolo è ormai verso la fine e gli Europei sono ora in condizione misurare l’ampiezza della catastrofe che si è verificata. I loro nazionalismi esacerbati e distruttori hanno finito per cancellare il potere che esercitavano da tanti secoli, comandando il destino di altre civiltà. Gli errori ideologici della fine del 18° e del 19° secolo hanno fornito i loro frutti avvelenati.

Ma c’è ancora un’altra lezione da trarre dagli eventi del 1956, ma questa volta per i Sovietici. Il 1956 non è solamente la vittoria della mondializzazione sovietica ed americana sugli imperialismi francesi e britannici, ma è anche l’anno in cui, senza saperlo, la mondializzazione sovietica ha inconsciamente programmato la propria fine. In effetti, nel 20° Congresso del PCUS del febbraio 1956, Kruscev, in occasione di uno dei famosi discorsi segreti, denuncia i crimini dello stalinismo.

L’atto, senza dubbio necessario sul piano interno, apre nondimeno la via alla divisione del mondo comunista ed all’indietreggiamento progressivo della leadership del PCUS, a vantaggio di ogni tipo di “via nazionale”, dall’Ungheria alla Cina, passando per la Jugoslavia, all’Albania alla Romania. Ma ancor più il contraccolpo ideologico farà emergere le proprie conseguenze geopolitiche molto più tardi, con l’esplosione “nazionalista” del blocco sovietico nel 1989.

Il 1956 chiude per il vecchio mondo la porta delle zone di influenza e la apre al mondo bipolare, mentre una finestra comincia già ad aprirsi sulla lotta odierna fra la mondializzazione liberale e la volontà dei popoli di mantenere la propria identità.

 

 

 

NOTE

 

(1) Viaggio nel maggio 1956 al Cremlino di Guy Mollet e del suo ministro degli esteri, Christian Pineau.

(2) Cockburn Andrew e Leslie, “Dangerous Liaison. The inside story of US Israeli covert relationship” New York, Harper Collins, 1991 (pagine 68-87).

 


 

 

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