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Inghilterra e Scozia

Un «matrimonio» di convenienza

Il 1° maggio 1707 la firma dell’Atto di Unione


15/05/2008 - Massimo Iacopi


(Perugia)   Inghilterra e Scozia. Un «matrimonio» di convenienza. I due Regni firmano l’Atto di Unione che il 1° maggio 1707 entra in vigore non senza problemi. Mentre una voleva evitare difficili problemi di successione alla morte di Giacomo VII, l’altra aveva bisogno di sistemare i suoi debiti.

L’isola chiamata di Romani “Magna Britannia”, per distinguerla dalla “piccola” Britannia (Bretagna) in Francia, non presenta nessuna caratteristica di una nazione forte ed unita come l’hanno tanto desiderata i suoi dirigenti futuri. La Scozia, il Galles e l’Inghilterra, hanno insistito per diversi secoli nelle lotte per conservare la loro indipendenza, nonostante le invasioni e le alleanze che si sono succedute e concatenate nel tempo.

Nondimeno il Galles sono caduti sotto la dominazione inglese durante il regno di Enrico 8° d’Inghilterra (1509-47), che lo annette al suo dominio per proteggersi da una eventuale invasione cattolica dal continente, una volta interrotte tutte le sue relazioni con Roma.

Lo stesso progetto era stato predisposto per conquistare la Scozia, ma il piano fallisce per mancanza di fondi. Bisognerà aspettare il 1603 prima che possa essere seriamente riconsiderato un progetto di unione e di unità fra l’Inghilterra e la Scozia. Fino a quel momento ogni opportunità di unione fra i due paesi era principalmente scaturito più da invasioni che da negoziati, ma il 17° secolo introduce un cambiamento nelle loro relazioni.

Tutto ha inizio quando Elisabetta 1^, la “Regine Vergine”, muore nel 1603 senza lasciare eredi diretti. Prima di spirare la sovrana nomina come successore il suo nipote protestante Giacomo 6° di Scozia. Facendo questa scelta, Elisabetta pensa di contribuire alla continuità della chiesa protestante per la quale tanto si è battuta. Il Re Giacomo 6° sogna questa unione fin dalla sua più giovane età. Sua madre Maria Stuarda (Stuart) al momento della sua nascita, in uno slancio patriottico, aveva predetto che il figlio sarebbe stato colui che avrebbe unito l’Inghilterra e la Scozia.

Sebbene Elisabetta non gli abbia mai promesso ufficialmente il trono, Giacomo non ha mai smesso di credere a questo destino ed a cominciato a pianificare, da giovane, una unione fra i due regni. In tal modo quando egli riceve la lieta novella della sua accessione al trono d’Inghilterra, (diventando così Giacomo 1°) egli non è in alcun modo sorpreso e mette immediatamente in pratica il suo progetto. Egli si dichiara “Re della Gran Bretagna” nei due parlamenti (inglese e scozzese) ed esprime il suo augurio di creare di creare una nazione forte ed unita, sia istituzionalmente, sia socialmente, che potrebbe dominare l’insieme dell’Europa.

Sfortunatamente per lui, se gli Scozzesi sono orgogliosi di dare un re all’Inghilterra con la speranza di esser riconosciuti sulla scena politica europea, gli Inglesi sono da parte loro molto più scettici. Essi non vedono di buon grado la possibilità di unirsi con un popolo considerato barbaro e soprattutto di essere considerati come loro uguali.

In tal modo il parlamento inglese non solo rifiuta a Giacomo 1° il titolo di Re di Gran Bretagna ma fa anche in modo di bloccare ogni possibilità di evoluzione da una unione di corone ad una possibile unione di parlamenti. In definitiva l’Inghilterra e la Scozia, sebbene unite per la corona e la persona del re, rimangono due paesi nettamente distinti.

Negli ani che seguono il parlamento inglese deve comunque accettare che i sudditi dei due regni, abbiano la doppia nazionalità. In effetti, a seguito dell’affare “Colville”, durante il quale un giovane avvocato scozzese rivendica la nazionalità inglese per poter esercitare in Inghilterra, tutti i nati dopo il 1603 hanno diritto alla doppia nazionalità e saranno conosciuti come Post nati. Giacomo 1° non riuscirà ad avere di più dai suoi parlamenti. Tutto questo non gli ha comunque impedito di utilizzare il titolo di “Re di Gran Bretagna” e di far partecipare i suoi sudditi scozzesi ai grandi progetti inglesi.

E’ in tale prospettiva che nel 1609 egli propone di implicare pariteticamente i sudditi delle due nazioni nella creazione di una colonia protestante nel nord dell’Irlanda. “L’Unione di Giacomi”, che darà il suo nome alla bandiera britannica l’Union Jack, non vedrà mai la luce sotto il suo regno.

Le due nazioni sono nonostante tutto legate dalle politiche reali che spesso si confondono nelle loro grandi linee. Durante il 17° secolo esse si cementano in principi e progetti comuni. Negli anni 1640, in occasione della guerra civile in Inghilterra, il parlamento di Westminster fa appello agli Scozzesi per un aiuto militare contro Re Carlo 1° (figlio di Giacomo 1°). Questi ultimi rispondono favorevolmente alla richiesta in cambio della promessa dei parlamentari di intraprendere una riforma della chiesa d’Inghilterra, per rinforzare il protestantesimo nell’isola.

In effetti, molto più dell’unione delle due corone, è la religione che unisce i due paesi durante questo secolo. Essi hanno entrambi uno scopo comune: salvaguardare il protestantesimo dai pericoli che lo minacciano, sia per la presenza di cattolici o “critopapisti” sul loro territorio, sia per la situazione europea a partire dal 1618 con la guerra dei trent’anni, fra Cattolici e Protestanti. Dopo l’esecuzione di Carlo 1° nel 1649, Olivier Cromwell cerca a sua volta, negli anni 1650, di integrare la Scozia all’Inghilterra nell’ambito del Commonwealth, ma la Scozia all’epoca non viene considerata a statuto di uguaglianza con l’Inghilterra. Si tratta in questo caso più di invasione e di una integrazione forzata che gli Scozzesi non riconoscono, tanto più che essi hanno giurato fedeltà al Re Carlo 2°, al momento in esilio.

La restaurazione del 1660 ristabilisce l’unione delle corone, ma nessun progetto e nessuna volontà di un avvicinamento sarà presa in considerazione nei quaranta anni che seguono. Nulla lascia presagire, a quel tempo, che i due regni si uniranno istituzionalmente nel 18° secolo.

Il 1° magio 1707 quando nasce il primo parlamento britannico, numerosi sono quelli che non si rassegnano alla nuova situazione, specialmente in Scozia. L’Unione, che prima di tutto economica ed istituzionale, sciogli i rispettivi parlamenti a favore di un parlamento comune. Tuttavia ciascuno conserva la propria sovranità, le proprie istituzioni giudiziarie, il proprio sistema educativo e la propria chiesa. Questa pur relativa indipendenza è considerata dagli Scozzesi come un modo per distinguersi dagli Inglesi. La Chiesa nello specifico è, ai loro occhi, un fattore primario di differenziazione. Essi fanno un punto d’onore a che la loro kirk, fondata ufficialmente nel 1690, rimanga presbiteriana, contrariamente alla chiesa anglicana ed episcopale in vigore in Inghilterra. Indipendenza che viene chiaramente precisata nell’introduzione dell’Atto d’Unione: Questa chiesa distinta permette alla Scozia di conservare una certa autonomia nonostante tutto.

Il parlamento scozzese, che aveva la propria sede ad Edimburgo e che era composto da una sola camera, non esiste più ed i suoi rappresentanti in numero di 45 deputati e 16 pari, devono recarsi ormai a Londra (Westminster), dove ritrovano davanti ai 516 deputati e 90 pari inglesi. In tutte le due camere del parlamento comune, quella dei “Lord” e quella dei “Comuni”, la maggioranza inglese è schiacciante, anche se giustificata da una popolazione inglese 5 volte superiore a quella dei loro vicini. Gli affari scozzesi vengono affidati ad un Segretario di Stato nell’ambito del Gabinetto di Governo britannico, il cui primo fra di loro è il Duca di Queensberry.

Tutto questo non fa altro che confermare i timori degli oppositori dell’Unione, che rappresentano in effetti la stragrande maggioranza degli Scozzesi. In realtà la maggior parte degli affari nazionali sono sottratti e deviati da Westminster per essere trattati nell’assemblea generale della Kirk. In più la Scozia non cessa di rivoltarsi contro quella che considera una dominazione inglese e la Kirk sarà sempre alla testa di questi movimenti. Questo sentimento traspare dai numerosi pamphlets e canti, il più conosciuto dei quali era la ballata giacobina, ripresa alla fine del 18° secolo dal poeta Robert Burns, che denunciano l’Unione come un semplice accordo commerciale per mezzo del quale gli Scozzesi sono stati “comperati e venduti in cambio dell’oro inglese”. In effetti il solo vero vantaggio scozzese nell’Unione è stato l’annullamento del suo debito ed un accesso limitato al commercio delle colonie dell’Inghilterra, fatto che permette un minimo di entrate.

Va in effetti ricordato che la situazione economica della Scozia, prima della firma del Patto d’Unione, era come minimo catastrofica. Non solamente dei raccolti insufficienti, alla fine degli anni 1690, avevano portato il paese alla fame, ma i pochi nobili e borghesi che disponevano ancora di un poco di risorse si sono considerevolmente indebitati, a seguito di investimenti rischiosi nella colonia del Darien, (costruzione di un porto) sull’istmo di Panama.

Tuttavia gli Inglesi vedono nell’Unione un loro tornaconto. Non è senza ragione che essi avanzano agli Scozzesi una offerta insperata, tanto più che la stessa appare congrua e particolarmente sorprendente da parte loro. Il loro parlamento é, come noto, un ardente difensore del Protestantesimo e, fra il 1689 ed il 1701, era riuscito a stabilire costituzionalmente la garanzia di una monarchia protestante alla direzione del paese. Se essi sono ormai certi di avere un sovrano protestante, questo, per contro, non rappresenta una certezza ed un obbligo per la Scozia e tale eventualità inquieta sensibilmente i parlamentari inglesi. In effetti, anche se la Scozia condivide la corona con l’Inghilterra, nulla da un punto di vista legale le impedisce di scegliersi un re diverso da quello della sua vicina.

Dalla destituzione, nel 1688, di Giacomo 7° di Scozia (2° d’Inghilterra), che si è convertito al Cattolicesimo, i suoi fautori, i giacobiti, sono tuttora presenti ed attivi in Scozia ed alla sua morte i suoi eredi sono stati riconosciuti come successori legittimi al trono di Scozia. E’ proprio questo punto molto delicato che tiene in apprensione il parlamento inglese ed il problema diventa maniera tanto più evidente nel 1700, dopo la morte dell’ultimo erede degli Stuart protestanti, il Duca di Gloucester, il figlio della principessa Anna Stuart, cognata del Re Guglielmo 3° d’Orange, a quell’epoca regnante. La morte del Duca pone dei seri problemi di successione. La situazione sembra di facile soluzione per l’Inghilterra che, alla morte di Guglielmo nel 1702, offre il trono ad Anna Stuart, inglese e protestante. La Scozia, però, non sembra procedere nella stessa direzione e conta anzi di ristabilire sul trono gli Staurt cattolici esiliati. A tal fine il parlamento scozzese fa votare una “legge di sicurezza” nel 1704, per mezzo della quale esso afferma il suo diritto alla scelta del successore. Da quel momento gli Inglesi non vedono altra soluzione che quella di garantire un accordo costituzionale ai loro vicini, al fine di continuare ad assicurare una successione comune.

L’unione di parlamenti cambia in effetti la situazione politica ed economica della Scozia. Il nuovo statuto è però molto difficile da digerire. La maggior parte degli Scozzesi, che sono convinti di passare sotto il dominio inglese, preferirebbero un sistema di tipo federale, piuttosto che una unione. Mentre i parlamentari scozzesi tentano di frenare la ratifica del trattato, nell’inverno del 1706, si scatenano, delle sommosse contro l’Unione a Glasgow ed a Edimburgo, le due principali città della Scozia. Il paese è in ebollizione: i parlamentari favorevoli all’Unione vengono aggrediti per le strade dalla folla; la Kirk, la forza di oppositrice più fervente ed impegnata, fa firmare delle petizioni in tutte le parrocchie del paese.

Nonostante l’opposizione generalizzata, il parlamento scozzese firma il trattato d’unione nel gennaio 1707 ma per arrivare a questa conclusione si è dovuto penare non poco e procedere a forza di sotterfugi. I voti favorevoli al trattato vengono resi sicuri attraverso l’elargizione di aiuti finanziari provenienti direttamente dall’Inghilterra. Durante i mesi che precedono lo scrutinio, David Boyle, Conte di Glasgow, viene incaricato di consegnare segretamente del denaro ad un certo numerosi di membri influenti del parlamento scozzese.

I Giacobiti, da parte loro, diventano il simbolo dell’opposizione. Sommosse e diverse azioni vengono condotte in loro nome fino al 1746 nel tentativo di recuperare l’indipendenza. Ma in tale data Carlo, l’ultimo degli Stuart, il “Bonnie Prince Charlie” viene sconfitto dagli Inglesi a Culloden ed a seguito di questa sconfitta, la Scozia si vede interdetta a manifestare pubblicamente la sua identità nazionale e perde inoltre anche il suo Segretario di Stato nel Governo britannico.

Il 19° secolo presenterà ancora degli scossoni da parte di movimenti indipendentisti, ma bisognerà attendere il 1998 affinché la popolazione scozzese benefici di un inizio di autonomia con il processo di decentralizzazione, messo in moto da Tony Blair. In effetti a seguito del referendum del 1997, lo Scotland Act stabilisce la restaurazione del Parlamento Scozzese e con esso l’introduzione di uno statuto di autonomia legislativa nei settori della sanità, dell’educazione e di alcune questioni sociali.


 

 

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