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EUROPA E TURCHIA La compatibilità dei due sistemi alla luce della Costituzione Europea 15/06/2008 - Gen. D. Massimo Iacopi (Assisi) Premessa Scopo di questo lavoro è quello di esaminare il quadro di situazione e di compatibilità fra i due sistemi Europa Occidentale e Mondo Mussulmano per inferire alcune considerazioni in merito, per una loro possibile integrazione politica e sociale reciproca (vedasi il caso della Turchia) alla luce della nuova Costituzione Europea. Durante la Riunione di Laeken del dicembre 2001, indetta a seguito della fumata nera di Nizza, viene deciso di riproporre, a 25 membri, una soluzione del problema delle istituzioni attraverso una Convenzione, la cui Presidenza viene affidata al francese Valéry Giscard d'Estaing. La Convenzione, riunendo i rappresentanti dei governi, della Commissione, del Parlamento Europeo e dei Parlamenti nazionali (compresi anche quelli dei futuri aderenti e degli altri candidati, Turchia inclusa), ha lavorato fra il marzo ed il giugno 2003 all’elaborazione di un progetto di Costituzione che è stato appunto recentemente presentato (e da più parti criticato e già persino rigettato da due Nazioni) per la ratifica delle Nazioni dell’Unione. Se è vero come è vero che la Costituzione non è altro che concretizzazione giuridica di un progetto politico o geopolitico di una società, essa rappresenta la carta d’identità di una Nazione o di una aggregazione di nazioni, espressione pertanto dei suoi principi, dei suoi valori, dei suoi ideali e dei suoi obiettivi politico sociali interni ed esterni. La Carta Costituzionale Europea recentemente varata è purtroppo molto lontana da questi obiettivi e costituisce l’espressione palese di un faticoso compromesso e di una evidente dicotomia fra ideali e realtà e fra le aspirazioni delle elites culturali e quelle delle realtà politico sociali dei paesi membri. In tale contesto va pertanto preliminarmente sottolineato che il testo della Costituzione Europea, pur riaffermando i principi di base del convivere delle società occidentali, ormai comunemente accettati (libertà individuale, democrazia, progresso sociale, ecc.), ha evitato di fornire, nel suo dispositivo, una vera propria definizione dell’identità storico culturale della nuova Europa. (Chi e che cosa siamo. Che cosa vogliamo realizzare come europei. Che ruolo l’Unione europea vuole rivestire nel mondo). Ciò premesso si può aprioristicamente affermare che, in linea di principio, la Turchia, ove rispettasse i principi di base del dettato costituzionale europeo (anche la sua ratifica appare ormai oggi compromessa), potrebbe essere ammessa a far parte del contesto europeo. Ma tutto questo, anche se possibile da un punto di vista del diritto, non può far dimenticare che l’Impero Ottomano ed il popolo turco hanno rappresentato fino agli inizi del secolo 20°, il simbolo di una identità e di una cultura antagonica alla nostra, insomma un esempio di un diverso modo di vivere e di interpretare i valori della vita. Il fatto che la Turchia, erede di quell’Impero e continuatrice morale di quelle tradizioni storico – culturali che, giustamente, non ha mai rinnegato, sia oggi una nazione assimilabile ad uno stato laico moderno, che abbia rapporti di eccellente buon vicinato con l’Europa e che è stata ed è un nostro fedele alleato nella NATO, non cancella né modifica il fatto che la stessa continui ad essere un paese a stragrande maggioranza mussulmana, portatore nell’Europa di una diversa cultura ed identità, talvolta in antitesi ed in contrasto con il nostro modo di vita e la nostra cultura. Da ultimo da un punto di vista strettamente geografico La Turchia (non l’Anatolia greca e bizantina), sebbene in una importantissima posizione di cerniera politica fra due continenti ed elemento politicamente essenziale nel suo ruolo di amica ed alleata privilegiata dell’Europa e dell’Occidente, non può annullare l’evidente constatazione che, nono solo geograficamente ma anche culturalmente, non fa (e non ha mai fatto parte) dell’Europa, una parte della quale ha solo dominato per circa quattro secoli. Introduzione Nonostante Samuel Huntington, in Foreign Affairs del 1993, abbia definito “Clash of Civilisations” il fenomeno in atto e le prospettive del mondo moderno occidentale di fronte al sud del mondo ed in particolare al mondo mussulmano, tale “Scontro di Civiltà” non appare una definizione originale nella storia del globo e tanto meno nel campo della secolare rivalità fra il Mondo Cristiano e quello Mussulmano. Non è una novità che Maometto abbia dato mandato, ai suoi adepti, già prima della sua morte, di imporre a tutto il mondo la religione del vero Dio, anche con la violenza, attraverso uno dei due aspetti (quello dell’obbligo collettivo alla guerra santa) della Jihad coranica, così come il Mondo Cristiano, davanti all’espansionismo dell’Islam, abbia reagito in varie epoche del passato, con pari veemenza al predetto fenomeno in maniera violenta ed ideologica come ad esempio con le Crociate, la Riconquista, la Lega Santa di Papa San Pio 5°, ecc.. In tale contesto i Turchi, popolo guerriero pagano proveniente dalle steppe dell’Asia Centrale, insediatosi a partire dal 1200 nei territori dell’attuale Anatolia, hanno assunto, dopo la loro conversione all’Islam e con la dinastia degli Ottomani (da Othman o Osman 1°, da cui Osmanli, discendenti da Er-Thogrul della tribù Oghuz dei Kayi), un ruolo progressivamente crescente sulla scena orientale fino a diventare nel corso del 1500 il popolo guida e custode delle tradizioni del mondo mussulmano. Nel corso del 14° secolo gli ottomani con una accorta politica di alleanze con Bisanzio e Bagdad riescono a ritagliarsi un principato indipendente in Anatolia e nel coro dello stesso secolo, dopo la fuga dei Califfi abbasidi da Bagdad per l’Egitto, sotto la spinta della pressione mongola, raggiungono la piena indipendenza, diventando soggetti di una autonoma e determinata volontà politica che individua il suo futuro nell’espansione ad ovest verso il Balcani e l’Europa e la contemporanea eliminazione di Bisanzio. Nel corso del 15° secolo, con l’eliminazione del reliquato bizantino di Costantinopoli ed il trasporto della loro capitale ad Istambul, avviene il definitivo consolidamento dello stato Ottomano, i cui Sultani cominciano a considerare l’ipotesi di assumere la leadership del mondo mussulmano e la possibilità di creare, sotto la loro guida, un impero universale dei credenti. Questa ipotesi si concretizza appunto nel 1517, quando Selim 1° il Terribile, conquistati i Luoghi Santi dell’Arabia ed eliminati i Califfi abbassidi del Cairo, assume per sé ed i suoi successori il titolo di Sultano della Sublime Porta di Felicità e Khalifa Rasul Allah (Luogotenente Inviato di Allah), ovvero Califfo dei Credenti. In definitiva quello che fino ad allora era stato per i Turchi essenzialmente un puro e semplice fisiologico desiderio di espansione e di dominio, nel corso del 1500, con l’acquisizione del Califfato, si trasforma in una vera e propria missione a carattere sacrale, cioè quella di “sottomettere” tutto il mondo alla volontà dell’unico vero Dio, Allah. Cos’é il Califfato e quali sono le dottrine dell’Islam moderno A questo punto vale la pena di fare una breve digressione per introdurre l’istituzione del Califfato e per tratteggiare le principali dottrine (e divisioni) dell’Islam moderno. Alla morte di Maometto, l’8 giugno del 632 a Medina, diversi pretendenti alla successione del Profeta, sia di Medina che della Mecca, si fanno avanti. In mancanza di chiare disposizioni testamentarie a riguardo, l’eredità di Maometto viene a cambiare il punto di riferimento e si porta da Medina a La Mecca, dove il partito vincente designa il vecchio Abu Bakr come Kahlifa Rasul Allah e successore. Chiaramente una soluzione di compromesso e di transizione, dietro alla quale un capo militare geniale, ma anche di difficile carattere, Umar ibn al Khattab o più semplicemente Omar, si prepara ad assumere due anni dopo il potere supremo con il titolo di Khalifa Amir al Munimin (Comandante dei Credenti). Ma le lotte intestine sono appena all’inizio, anche se una cosa è ormai accettata da tutti: il califfo dovrà comunque e necessariamente essere tratto dalla tribù dei Kuraish, quella del Profeta. Dopo l’iniziale prevalenza del Clan dei congiunti di Maometto fino al Califfo Alì, nel 660 ha il sopravvento il Clan della Mecca dei discendenti di Abu Sufyan (cugino del 3° Califfo Othman) che, con Muawjia, dà origine al Califfato degli Omeyyadi a Damasco ed alla prima grande scissione del mondo islamico fra Sunniti e Sciiti (da Siia= partire), rappresentati dai partigiani del 4° Califfo Alì e dei suoi due figli Hassan ed Hussein. Il Califfato degli Omeyyadi era arabo (14 Califfi fino al 750, oltre a 57 in Spagna, Califfato di Cordova e Granada, dal 755 fino al 1492). Nel 750 subentra agli Omeyyadi il Califfato arabo e persiano degli Abbassidi di Bagdad (da Al Abbas, zio di Maometto) con 37 Califfi fino al 1258 quando, scacciato dai Mongoli si rifugia in Egitto, all’ombra dei Mamelucchi. In sostanza nel 1517 il Sultano Selim 1°, attribuendosi il titolo di Califfo, dà inizio al Califfato Ottomano, a dominazione turca (29 Califfi dal 1517 al 1924, anno della sua abolizione da parte dei Mustafà Kemal), rompendo la secolare regola, sostanzialmente rispettata, che la condizione base per essere eletto al Califfato, era quella di appartenere o discendere dalla Tribù araba dei Kuraysh,. I Sunniti, quelli che seguono la Sunna, la tradizione primitiva ed ammettono la successione classica (Abu Bakr, Omar, Othman, Alì) del califfato, attribuito ad un discendente della tribù dei Kuraysh, sono largamente maggioritari nel mondo mussulmano, rappresentando circa l’85 % del totale. Essi derivano pertanto dai partigiani di Muawjia, capostipite degli Omeyyadi, nella successione al califfato, non ammettono oggi, dopo l’abolizione del Califfato ottomano nel 1924, una istanza centrale religiosa e quindi una gerarchia religiosa strutturata. La pratica religiosa dei Sunniti non é peraltro uniforme e ha subito notevoli diversificazioni a seconda della scuola giuridica e dell’etnia prevalente. Nella pratica oggi coesistono quattro scuole giuridiche principali: lo Shafeismo, l’Anbalismo, il Malekismo e l’Anafismo. Schematizzando per una migliore comprensione, potremo dire che il Shafeismo (da Mohamed ibn Idris Shafei o Shafii, morto nell’826) è la scuola mussulmana prevalente nell’Oceano Indiano e nell’Asia, il Malekismo (da Malik ibn Anas, morto nel 795) è quella prevalente nell’Africa del Nord e Nigeria, l’Anbalismo (da Ahmed ibn Hanbal, morto nell’855) è la dottrina prevalente nella penisola Arabica (della quale il Wahabismo (1) ne é l’espressione Saudita). Quest’ultima scuola è attualmente l’espressione più tradizionalista, fondamentalista e rigorosa dell’Islam sunnita, mentre il Malekismo ne rappresenta una versione tradizionalista meno estremista mentre l’Anafismo (da Abu Hanifa, morto nel 767) era la scuola prevalente sotto gli Abbassidi e dell’Impero Ottomano, Siria, Libano ed Irak. L’Anafismo fra le quattro scuole coraniche è risultata sempre la corrente più “aperta”. Le differenze fra le varie scuole si basano essenzialmente sul valore che ciascuna di esse accorda ai tre supporti fondamentali dell’Islam, il Corano (Quran, la Rivelazione di Dio a Maometto), la Sunna (la “via”: la pratica e la tradizione religiosa) e gli Hadith (i detti del Profeta ed i commentari del Corano). Apogeo e crisi dell’Impero Ottomano In effetti già dal 16° secolo é già in atto un vero e proprio “Scontro di Civiltà” fra Occidente ed il Mondo mussulmano. Ma quello che, a prima vista, sembra l’effetto di un disegno unitario, appare piuttosto la risultante di logiche distinte delle singole potenze islamiche e civiltà che esse rappresentano, della loro azione specifica e della loro strumentalizzazione reciproca. La realtà è decisamente molto più complessa. Nel campo mussulmano esistono nello stesso periodo, l’Impero Ottomano, l’Impero Sefevidi di Persia e l’Impero Moghul in India, oltre ad una miriade di sultanati e regni indipendenti minori, sempre in lotta fra di loro. Lo scontro fra i due sistemi era in effetti inevitabile, sul fronte Militare e su quello Commerciale. L’Occidente, da un punto di vista militare, è costretto ad una lunga azione di contenimento (Balcani) e di arresto (Battaglia di Lepanto), contando su Ordini Militari Transnazionali (Rodi, Templari, Teutonici, ecc) e su una alleanza multinazionale (Lega Santa) continuamente aggiornata ma, sotto l’aspetto commerciale, riesce però a portare un colpo mortale al modo mussulmano come vedremo più avanti. Nel momento dell’inizio del Califfato Ottomano, la Dinastia dei Sefevidi, in Persia, impone come religione nazionale lo Sciismo, per distinguersi dai turchi egemoni, ma nel suo complesso, nonostante le divisioni, il mondo mussulmano si trova sostanzialmente all’apice della sua potenza (ottomani) e del suo splendore (Sefevidi). Tuttavia incredibilmente proprio a partire da quel momento si producono all’interno del mondo ottomano una serie di eventi che saranno alla base della sua futura decadenza. L’acquisizione del Califfato, in effetti, se da un lato fornisce un formidabile strumento ideologico alla politica di espansione ed un’aura di gloria e di missione al Sultano ottomano, dall’altro tale carica rende lo stesso personaggio anche il Depositario ed il Custode della Tradizione coranica. Questo secondo aspetto avrà, in nome del mantenimento della pura tradizione delle origini, una esiziale incidenza nel successivo rallentamento del progresso e nel processo di mummificazione della società ottomana, refrattaria a qualsiasi progresso scientifico che non interessi direttamente l’Esercito ed a qualsiasi istanza di modernizzazione sociale. In definitiva la doppia carica esercitata dal Sultano ha impedito col tempo il mantenimento di una vera ed efficace politica di pragmatismo sociale in seno al governo dell’Impero. Il secondo evento di portata epocale, a partire della seconda metà del 1400, è rappresentato dall’apertura da parte dei Portoghesi della Via delle Indie attraverso il Capo di Buona Speranza. Questa nuova e fondamentale rotta commerciale fra l’est ed il mondo occidentale ha l’effetto di dare un brutale scossone negativo alla privilegiata posizione di rendita del commercio del mondo mussulmano. Quasi il 60% del volume complessivo del commercio orientale verso l’Occidente viene deviato dal normale percorso a favore dei regni cristianissimi della penisola iberica. Il risultato immediato è una grave diminuzione delle risorse complessive dei turco arabi, un progressivo indebolimento del commercio tradizionale di terra ed un lento ed inarrestabile impoverimento dell’area. Questa azione avrà un impatto maggiore e più durevole, realizzando una rivoluzione economica e strategica mondiale, che coniugata con i progressi tecnologici occidentali finisce per dare una netta superiorità all’Occidente. Senza le nuove rotte marittime e la scoperta dell’America la mondializzazione forse sarebbe stata Islamica !!!! Ci si potrebbe domandare a questo punto se tali considerazioni non siano in contraddizione con gli eventi storici del 1500 e con l’atteggiamento fortemente aggressivo ed espansivo tenuto dall’Impero Ottomano in Europa dalla meta del 1500 alla metà del 1600. In realtà la l’incoerenza è solamente apparente ed è facilmente spiegabile con una similitudine fisico matematica. In effetti in quel periodo l’Impero ottomano poteva ancora beneficiare di un elevato “momento d’inerzia”, conseguente alla raggiunta massima potenza e tale fenomeno ha fatto sentire i suoi benefici effetti per circa un altro secolo. Basti pensare che, nonostante la sconfitta di Lepanto del 1571 (dove perde 220 galee), la Turchia riesce ugualmente a mettere in campo l’anno dopo nell’Egeo, ben 210 galee, anche se chiaramente di qualità operative complessive, decisamente inferiori. Un terzo aspetto connesso con il crollo dell’Impero Ottomano, decisamente più tardo, è da attribuire alle rilevanti effetti provocati dall’affermazione del concetto del Principio delle Nazionalità (riunione di membri di una stessa nazione in una sola entità politica), che prende i suoi passi proprio nel periodo successivo al Congresso di Vienna del 1815. Nell’Impero Ottomano la dottrina ideologica prevalente alla fine del 1700 era quella dell’Ottomanismo, cioè lo spirito di sopranazionalità e di lealtà all’Impero, dei soggetti della Sublime Porta, a prescindere dalle lingue (16) e dalle religioni (14) ), anche se evidentemente la religione mussulmana rappresentava la stragrande maggioranza e ne era il collante di base. Agli inizi del 1800 il sentimento arabo è dunque essenzialmente genealogico, anche se sovente si accompagna ad un sentimento di superiorità, legato all’uso della lingua della Rivelazione, certamente, a loro dire, quella di Dio. Di questa mentalità, in un certo senso, ne aveva fatto le spese lo stesso Napoleone, quando nelle Campagne d’Egitto del 1798 – 1801 aveva opportunisticamente creduto utile ricorrere al “patriottismo ed alla libertà del popolo arabo” contro l’oppressione ottomana, con risultati decisamente deludenti e modesti, fra l’indifferenza e l’incomprensione delle masse egiziane. L’identità araba, all’epoca, non era certamente il riferimento più importante per la popolazione: di fatto la gente si sentiva in prima istanza un soggetto dell’Impero Ottomano, quindi, membro di una comunità religiosa (mussulmana, cristiana, ebrea, ecc) e, successivamente, appartenente ad un determinato luogo o ad una determinata professione. L’appartenenza etnica a quel tempo costituiva, in genere, esclusivamente un riferimento secondario nello spazio ottomano, anche se alcune etnie lontano dal centro dell’Impero, vedi Maghreb, pur accettando il predominio ottomano, vivevano di fatto in modo autonomo. Nel corso del 1800 il sultano illuminato Abdul Hamid cerca invano di dare un benefico scossone all’impero dell’epoca dei Tanzimat, cercando di riscoprire e riutilizzare la forza dell’Islam, ma nel 1908 la rivoluzione dei Giovani Turchi, introducendo nell’Impero una vita politica moderna (elezioni, partiti politici, ecc.), apre la strada all’ideologia nazionalista turcofona ed al laicismo che, negando di fatto l’Ottomanismo, propugna il riscatto ed il predominio della componente turca nello stato. Ormai l’ecumenismo ottomano entra irrimediabilmente in crisi ed il movimento riformatore dei Giovani Turchi, caratterizzato da una spiccata matrice nazionalista turcofona, nell’intento di ridare slancio al sistema, contribuisce in realtà alla sua definitiva disgregazione La necessaria riforma dell’Impero Ottomano in senso nazionalista e centralista, nonché l’autoritarismo crescente del regime stambuliota determinano una reazione centrifuga e la crescita di un movimento autonomista arabo, che si richiama ad una vera decentralizzazione dell’Impero. Allo stesso tempo i differenti poteri beduini autonomi della penisola araba cominciano la loro lotta di emancipazione dal potere ottomano, decretandone indirettamente la fine. Le (in)compatibilità dei sistemi Per evidenziare questi aspetti occorre sottolineare le differenze politiche, religiose e culturali dei due mondi per poterne inferire possibili deduzioni. I due sistemi si presentano sostanzialmente ben caratterizzati: quello europeo, ricco sviluppato, moderno e socialmente progredito, ma con una identità culturale e morale affievolita e soprattutto con aspetti pericolosi di eccessiva “tolleranza” nel contesto del rispetto cristiano delle diversità, che non sono il risultato di una situazione di forza e di una convinzione identitaria ma piuttosto di uno stato di confusione, di oscuri sensi di colpa e di debolezza psicologica e ridotta saldezza morale. Dall’altra il mondo mussulmano, fortemente identitario dal punto di vista religioso, ancora in via di sviluppo, potenzialmente ricco, socialmente coeso ma fortemente diviso, arretrato ed ancorato al passato. La religione mussulmana non è, come viene in genere ed erroneamente riferito, così tollerante nei confronti delle altre religioni (2) ed è ben lontana dal concetto dell’accoglienza cristiana, che anzi gli stessi mussulmani - che sono sorretti da un sentimento di superiorità nei confronti degli altri popoli (3) - scambiano per la debolezza di “un corpo corrotto e corruttore”. Non deve a tal fine essere scambiata per tolleranza (forse lo era nel 7° secolo quando il nemico veniva di norma eliminato fisicamente o reso schiavo) quella che è prescritta dal Corano nei confronti degli adepti delle religioni del Libro. Il corano infatti conferisce ai Cristiani ed ai Giudei lo statuto di Dhimmis o Zimmi, ovvero una condizione di cittadini “tollerati” di seconda categoria, con una tassa speciale la Dhjizia, con praticamente nessun diritto politico e con notevoli limitazioni nel campo del culto. (4) Ma l’incompatibilità più gravi con il mondo occidentale moderno vanno individuate nel ruolo della donna, nell’idea di laicità della società e dello stato e nell’idea di democrazia. In contrapposizione alla visione del mondo occidentale che tende a minimizzare le differenza fra l’uomo e la donna, per la tradizione islamica il guerriero e l’asceta sono due tipi fondamentali dell’archetipo maschile, mentre il ruolo di amante e di madre lo sono per l’archetipo femminile. In entrambi c’è comunque per l’Islam “dell’eroismo”, uno attivo ed uno passivo, uno nell’affermazione assoluta e l’altro nella assoluta dedizione. Questa è una delle tante ragioni del contendere con l’Occidente ma, molto più sottilmente, la paura dell’Islam del mondo occidentale viene piuttosto dall’idea di laicità della società moderna e dalla sua idea di democrazia. Un sistema, tipo quello preconizzato dall’Islam tradizionalista e da buona parte del clero, vede la laicità occidentale come una perdita di potere ed un grande pericolo per la sua esistenza e questo è dunque il motivo per il quale combatte senza tregua, oltre l’Occidente, anche i regimi arabi cosiddetti “laici” (vedasi a suo tempo quello dello Shah in Persia) e quindi anche la Turchia. Inoltre questo fenomeno della modernizzazione, mette le loro realtà religiose in seria difficoltà. In particolar modo, quando quelle realtà sono confrontate con i concetti di libertà razionale e di critica. Due concetti che contrastano fortemente con il messaggio del Corano che, ai loro occhi, rappresenta la verità assoluta ed indiscutibile, quindi intoccabile ed inamovibile. Per l’Islam tradizionale e l’islamismo: L’Umma (la comunità stato dei credenti), il Califfato, l’obbligo della Jihad, la stretta sottomissione dei Dhimmis costituiscono elementi inseparabili dalla identità mussulmana. In questo senso, possiamo senz'altro definire l'Islam come una Religione - Stato o come un regime assolutamente teocratico. Come una religione, cioè, che rifiuta a priori ogni tipo di separazione tra lo spirituale ed il temporale, tra la Religione e lo Stato, in quanto tale separazione rappresenterebbe la morte, sia per l'uno che per l'altro. Da questo, deriva il fatto che l'Islam tradizionale si oppone decisamente a qualsiasi tentativo di globalizzazione non musulmana del mondo, nonché alla democrazia e ad ogni organizzazione laica dello Stato. Per la semplice ragione che, un tale cedimento, priverebbe lo stato confessionale mussulmano, ma soprattutto il clero, del suo diritto di legislazione, in nome e per conto dell'Eterno. Non va peraltro dimenticato che, per certi aspetti, la democratizzazione e la modernità rappresentano comunque una forte sfida dell’Occidente al mondo musulmano, perché questo progetto ha per conseguenza un globale indebolimento dell’Islam. Diceva infatti il filosofo francese Renan che “L’Islam non può che esistere come religione ufficiale, quando verrà ridotto allo stato di religione libera ed individuale, non potrà che perire …”. Attaccando la dimensione unitaria dell’islam in tutti i suoi pilastri: scuole, tribunali, moschee si arriva alla sua distruzione. Ma tutto questo comporta necessariamente un prezzo perché, con ogni evidenza, esso provoca inevitabilmente una reazione (asimmetrica) che, accrescendo il sentimento di odio fra le masse mussulmane verso l’Occidente, fornisce indirettamente ampio spazio ed alimenta il fenomeno del terrorismo. Secondo Stalin, infatti, l’unico modo per abbattere la teocrazia islamica e l’Islam era quello di togliergli il potere (vedi in Asia Centrale e Caucaso), attaccandolo, come poi fece secondo i dettami del Renan, nei suoi punti di forza della sua dimensione unitaria: scuole, tribunali, moschee, proprio perché l’Islam religioso, senza potere politico e giuridico, non ha futuro. D’altronde Khomeyni, a chi lo sollecitava per una svolta costituzionale del suo potere, soleva rispondere che più del 60% del Corano riguardava precetti etici e sociali e che gli aspetti puramente devozionali erano largamente minoritari all’interno del testo sacro e che, pertanto, un buon mussulmano non aveva bisogno di altro riferimento! Quindi la lotta dei tradizionalisti e dei fondamentalisti è rivolta al ritorno dell’Islam alla tradizione dell’origini, senza inquinamenti di sorta di tipo filosofico o occidentale. In tale contesto, la Jihad (5), predicata dal Corano fornisce ampio spazio ai credenti, ai combattenti della fede (Mujhaiddin) ed in particolare agli Shahid (martiri della fede), per combattere, sia gli errori interni (occidentalizzazione di molti nazioni arabe rette da governi empi, deviazionismi religiosi per i Sunniti come l’eresia degli Sciiti), sia il modernismo corrotto degli occidentali (gli stati nazione; l’uguaglianza dei cittadini; la pace come principio delle relazioni internazionali, ecc.), sia le intrusioni non islamiche in Dar El Islam (nella casa dell’Islam) del sionismo e delle occupazioni straniere (6) A titolo di puro inciso per il mussulmano la pace ci sarà solo quando tutto il mondo sarà conquistato e comunque “sottomesso” al volere di Allah. Ma la pratica del terrorismo, ormai fortemente diffusa nel mondo mussulmano, mette in evidenza ulteriori differenze culturali di base e di mentalità esistenti fra i due mondi. La logica sacrificale, che trova fondamento e giustificazione morale nella tradizione islamica; la logica asimmetrica, che prevale nella condizione mentale dei tradizionalisti e dei fondamentalisti islamici e la logica comunitaria, tipica del mondo orientale. La tradizione islamica, infatti, annette una grande rilevanza al Fedayn (colui che è devoto e disponibile) e, soprattutto, allo Shahid, ovvero al testimonio della fede o al martire (7), come è attestato dai commenti al Corano (Hadits). Nello Sciismo, inoltre, la morte volontaria e violenta di un kamikaze rappresenta un atto di purificazione che assicura un ingresso immediato al Paradiso di Allah. Da quel momento lo Shahid è liberato da ogni peccato, attraverso il suo rito sacrificale (logica sacrificale) e per questo non ha bisogno neanche dell’intercessione di Maometto. La logica asimmetrica, ormai perfettamente interiorizzata nella tradizione islamica fondamentalista, è un aspetto tipico ed la conseguenza del frutto di lunghi secoli di lotte asimmetriche, condotte dai tradizionalisti contro i poteri temporali mussulmani (ed i primi combattenti in questa ottica si possono ritenere i Fedayn della Setta degli Assassini). E’ proprio in questo tipo di logica asimmetrica che l’Islam sa chiaramente che, contro i potenti poteri temporali, gli basta poter disporre sempre di un pugno di fedayn capaci di offrire in ogni momento la loro vita in sacrificio (logica sacrificale). Infine nel “modus operandi” del terrorismo, occorre infine mettere in conto, oltre alle due predette logiche (di asimmetria e sacrificale), anche la logica comunitaria, decisamente diversa da quella occidentale. Di fatto anche se il sacrificio della vita non è un atto tipicamente specifico dell’Islam (vedasi: martiri della fede cristiana a Roma, in Spagna ed altrove, kamikaze del Sol Levante, Bonzi buddisti, ecc.), esso diviene specifico dell’Oriente quando nel sacrificio dell’attentatore c’è insita l’idea che il versamento di sangue provocato nel clan avverso giustifica e ripaga il sangue versato dai propri consanguinei. Infatti nelle società semite, arabe o ebree, il debito di sangue non è personale ma è un fatto collettivo. In tale contesto la nozione di “vittima innocente” è una nozione o categoria di pensiero tipicamente occidentale, che non ha alcun riscontro nel mondo orientale. In Oriente, in Asia, la razza, il sangue, il clan rendono i suoi appartenenti tutti corresponsabili. Ecco dunque che uccidere uno qualsiasi del clan avverso è un modo di ripagare l’offesa ricevuta ed in tale ottica i kamikaze che uccidono dei giovani ebrei lo fanno per colpire il sionismo ed il governo d’Israele. E Israele, guarda caso, risponde radendo al suolo le case degli attentatori !!! Una logica ben diversa dall’eliminazione individuale mirata dei servizi occidentali. !! In definitiva logica asimmetrica, logica sacrificale e logica comunitaria sono le tre caratteristiche del mondo islamico e tipiche dell’estremismo che si oppone e che resiste all’occidentalizzazione del mondo mussulmano. Crisi dell’Occidente e dell’Europa in particolare Ma il vero problema della crisi attuale morale del mondo occidentale è però tutto all’interno della stessa. In effetti la realtà la storia del mondo ci insegna che i pericoli più esiziali per una potenza vengono spesso dall’interno. L’Occidente romano non ha mai avuto ragione delle vecchie religioni orientali ebree e persiane, che avevano ferocemente resistito all’ellenismo. Roma ha creduto di conquistare l’Oriente ma è stato l’Oriente semita che ha rimpiazzato le vecchie religioni europee con il Cristianesimo, trasformandone la propria identità. Più tardi la vernice ellenica, placcata sulla parte orientale dell’Impero romano, non è stata in grado di resistere all’irrompere dell’Islam. La potenza di una nazione è l’espressione della capacità di violenza che può scatenare, ma anche e soprattutto risultato della determinazione della sua azione che, a sua volta, è conseguenza del vigore della propria identità. Una identità forte, priva di una forza efficace, potrebbe rivelarsi nel tempo molto più potente rispetto ad una identità affievolita, che pure disponga di mezzi militari considerevoli. Solo un Cristianesimo splendente, impregnato dello spirito combattivo europeo o comunque una fede nei suoi valori morali, ha permesso lungo i secoli di resistere e respingere la forza dell’islam dell’impero ottomano. Oggi questo Cristianesimo appare appannato, così come affievolito appare negli Europei il senso di appartenenza e la coscienza di far parte di una grande civilizzazione indo europea. Conseguenza di un materialismo dilagante e del fatto che l’ideale dell’Europa unita non è ancora sentito come dovrebbe, che la costruzione europea, specie politica, è ancora lontana e che la sua costituzione nulla ha fatto per riaffermare le radici di tali valori fondanti di una società. L’espansione costante dell’Islam nel continente euroasiatico rappresenta in prospettiva una minaccia reale per l’identità dei popoli europei. La conseguenza di questa nuova islamizzazione della società è il fatto che i conservatori o i fondamentalisti, attraverso questo mezzo arrivano a contestare una prerogativa essenziale dello stesso stato, quella di essere detentore e di stabilire il diritto, prerogativa che, di fatto, sta sfuggendo dalle loro mani (Egitto, Pakistan, Arabia Saudita), essendo lo stesso stato responsabile di tale situazione, per aver favorito questa logica. Nel frattempo l’Occidente è oggetto di una immigrazione di massa e, malgrado ogni evidenza, è in corso una vero e proprio tentativo di islamizzazione indiretta dell’Europa occidentale. Allora il problema non sarà più dell’Occidente davanti all’Islam, ma dell’Islam dentro l’Occidente. Quale sarà il destino di una Francia o di una Germania, le più colpite da questo fenomeno, se verranno a perdere le loro specificità nazionali ? (una nuova notte di S. Bartolomeo ?) Non c’è dubbio che una Europa unita e con una forte identità culturale e sociale appare la sola via di uscita per il futuro. In definitiva e per rafforzare tale concetto si può affermare che le tecnologie, anche se ci vuole del tempo, si possono acquisire. La sovranità ed il potere decaduti o perduti si possono recuperare. Ma l’identità, invece, una volta perduta non si recupera più !!! Ed era forse proprio in questa ottica che conveniva riflettere di più sulla opportunità di inserire nella costituzione europea di un chiaro riferimento alla matrice culturale cristiano giudaica e romana. In effetti L’Italia, come la Francia la Spagna il Portogallo, la Germania, la Romania, ecc. all’inizio del 3° millennio portano ancora, l’impronta di Roma; i nostri contemporanei non se ne rendono sempre conto. E tuttavia, buona parte dell’Europa parla una lingua latina o con influenze latine. I principi del nostro diritto vengono dal diritto romano. La nostra urbanizzazione e i nostri paesaggi rurali hanno venti secoli di storia. La nostra vita quotidiana (festività, nomi propri..) reca l’impronta del cristianesimo. La nostra arte, la nostra letteratura e la nostra filosofia, derivano dalla Grecia e da Roma e, dopo il Rinascimento, che fu la rinascita di Roma, si ispirano molto spesso ad opere della Repubblica e dell’Impero. I nostri valori infine (Libertà, Giustizia, Diritto, Onore, Coraggio) hanno venti secoli. E la Turchia in questo contesto ? Non v’è dubbio che lo stato turco riorganizzato dopo la 1^ Guerra Mondiale da Kemal Mustafà Ataturk (Padre dei Turchi) dopo una scientifica pulizia etnica al suo interno (vedasi la sorte dei greci e degli armeni d’Anatolia), non è certamente oggi uno stato confessionale ed è sicuramente il più laico degli stati del variegato mondo mussulmano moderno. Peraltro la sua democrazia è decisamente imperfetta secondo il metro di valutazione occidentale ed il rispetto delle libertà individuali e dei diritti dell’uomo non raggiungono neanche da lontano gli standard europei (ma chi ha detto che la nostra democrazia è la migliore ?). Per la sua specificità strutturale, la sua democrazia ed il suo stato laicale sono garantiti in maniera originale dalle forze armate, che, “super partes”, al di sopra del sistema, vegliano sul rispetto delle regole della stessa repubblica fondata da Kemal. La Turchia è stata fino ad oggi una fortezza militare pro USA (che sosteneva di fatto Israele) ed in tale contesto svolge un fondamentale ruolo pro occidente nell’area panturanica dell’Asia centrale, ma non bisogna nascondere che emergono tuttavia segnali inquietanti per il futuro. Il mondo islamico turco oggi condiziona pesantemente l’azione del governo di Ankara. Nella repubblica turca, dopo il 1983, l’insegnamento religioso è divenuto nuovamente obbligatorio (mentre l’Occidente l’ha reso facoltativo) ed i diplomi dei licei religiosi si sono visti aprire le porte dell’università, mentre si è assistito alla costituzione a livello nazionale di una direzione degli affari religiosi (ci si domanda anche se la costituzione di un Consiglio Francese del Culto Mussulmano non risponda machiavellicamente alla logica di controllare il clero mussulmano attraverso le nomine statali). Recentemente si è inoltre verificata la presa di potere da parte del Partito islamico ad Ankara ed a tal proposito bisogna ricordare il fatto che il partito al potere oggi in Turchia non è altro che l’ultima delle trasformazioni del Refah turco (Partito della Prosperità), divenuto poi Fazilet (Partito della virtù e quindi Partito della Giustizia e dello Sviluppo). In Turchia il trionfo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo alle elezioni legislative dell’ottobre 2002 ha forse definitivamente marcato la trasformazione di un partito che rappresenta oggi, pur con molti opportuni distinguo, l’equivalente mussulmano della democrazia cristiana italiana. L’atteggiamento ambiguo tenuto dal governo turco in occasione del recente conflitto in Irak ed alcune dichiarazioni del premier Erdogan quali: “I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti e le moschee le nostre caserme”, non colorano certo di rosa il futuro dei rapporti con l’Occidente. Il capo del governo, il vecchio sindaco di Istambul, Recep Tayyip Erdogan, al di là di roboanti dichiarazioni propagandistiche, da non sottovalutare, non ha un passato di islamista militante. Ma egli cerca comunque, con la sua azione e con l’appoggio degli europei, nel conclamato obiettivo del conseguimento di una maggiore democrazia, di diminuire il peso dell’esercito nella società turca, che però fino ad oggi è stato l’elemento equilibratore della nazione e la garanzia ed il vero ostacolo all’estensione del fondamentalismo islamico. Tra l’altro il nodo dell’entrata della Turchia in Europa frena e per certi aspetti condiziona l’azione del governo turco nel campo islamico (nel senso che non contribuisce a svelare le vere intenzioni), ma l’Europa dovrebbe comunque valutare attentamente per il futuro l’ammissione di Ankara nella Unione, perché una Turchia islamica nel seno dell’Europa potrebbe divenire per la storia dell’Europa un nuovo “Cavallo di Troia”. (A meno che non ci si salvaguardi all’interno, in caso di pericolo grave alle istituzioni, con una improponibile e rinnovata logica della “Santa Allenza” o dell’Intervento Preventivo a livello unione). A quel punto per il peso politico che la Turchia verrà ad acquisire (un peso nel Parlamento analogo a quello dei Tedeschi), ogni decisione sarà inevitabilmente condizionata dal volere dei Turchi ! Cosa ne sarà dell’identità europea quando con l’entrata del Turchi approssimativamente un quarto della popolazione dell’Unione sarà appartenente ad una cultura diversa ed antagonista della nostra ? ed in nome degli stessi principi costituzionali potremo continuare a negare, per motivi di equilibri politici interni alla Unione, l’accesso alla Russia che, sicuramente ed al di là di ogni altra considerazione, condivide con noi almeno gli stessi principi morali ed etici ? Conclusione In sostanza il ricorrente tema dello “scontro fra le civilizzazioni” serve oggi, sia agli USA, che agli islamisti. Tutti giocano alla logica del blocco contro la logica dell’equilibrio fra gli stati. Gli USA alla logica del blocco contro Islam e Cina, l’Islam alla logica della eliminazione delle frontiere interne per costruire un blocco per una nuova espansione mondiale ed in questo gioco l’Europa è quella che rischia di più, perché corre il pericolo, non avendo ancora trovato una sua vera e forte identità multinazionale, di entrare in subalternità in uno o nell’altro blocco. Il terrorismo islamico planetario può essere certamente doloroso a breve termine, ma rappresenta una minaccia nota e quindi combattuta e non ha alcuna possibilità di farci scomparire dalla storia. Per contro i poteri politici europei non hanno ancora identificato la minaccia alla propria identità che è rappresentata dall’immigrazione mussulmana e dalla entrata della Turchia, vale a dire da un cambiamento radicale del suo substrato etnico e religioso, che potrebbe portare alla fine della storia degli indoeuropei e del cristianesimo europeo. Domandarsi in effetti se è possibile trovare un “modus vivendi” con l’islamismo è già di per sé stesso contraddittorio nei termini. Il conflitto e lo scontro di civiltà sono al centro dei progetti di questo movimento. L’Islamismo non può essere compreso se non si tiene conto della negazione dell’Occidente moderno che lo anima. A tal proposito, sembra opportuno ricordare le affermazioni di due autorevoli esponenti islamici: Fazlollah Nuri, mullah tradizionalista dell’Iran diceva spesso che “chi scimmiotta l’Europa, adottandone le leggi straniere, dimentica che i mussulmani non hanno bisogno di copiare gli Europei, dal momento che hanno già una legge religiosa la Sharia, della quale la Costituzione della repubblica islamica non è altro che un palliativo”. In particolare il filosofo iraniano Ahmad Fardid, criticando le tradizioni filosofiche ereditate dall’Occidente dopo i Greci, accusa l’Occidente di “aver perduto la nozione del Dio trascendente e di aver divinizzato le passioni”. Egli aggiunge che “la perversione della modernità occidentale conduce all’antropocentrismo, all’adorazione di sé stessi e ad una filosofia dell’autogiustificazione. l’Occidentalità o il male dell’Occidente consiste nell’applicare per dei fini religiosi questi schemi di pensiero idolatri mutuati dalla filosofia greca. Alla stregua di quegli stessi che, oggi, vorrebbero fondare l’Islam su una metafisica soggettiva e razionale …… Quando si arriva a razionalizzare la religione può significare che non ci si crede più !!” Dalla parole del filosofo Fardid si evince chiaramente la vera e profonda differenza che effettivamente ci separa dal mondo islamico. La negazione islamista dell’Occidente trova il suo appoggio, come un lottatore di Sumo, nella prevedibile ed inevitabile resistenza del nemico che intende attaccare. L’Islamismo in realtà risulta più forte e radicato proprio nei luoghi di “frontiera” o dove è minoritario, nei luoghi in cui è più facile essere stimolati a distinguersi dal suo nemico “pagano ed infedele”. Questo è il caso delle periferie ghetto di Parigi e di Londra, serbatoio di guerriglieri e di terroristi, piuttosto che a Teheran o a Kabul. Ma questo non vuol certo dire che l’Occidente non deve resistere o che deve rinunciare ai suoi valori tradizionali ! Non sembra che l’Occidente - constatato che non è possibile negoziare nulla con chi vuole la sua distruzione - possa “sic et simpliciter” decidere (applicando la fraintesa regola dell’accoglienza cristiana) di porgere anche l’altra guancia al nemico dichiarato e di arrendersi davanti a questo fenomeno in nome della “tolleranza religiosa”, a meno che non decida di adottare per il suo futuro la sperimentata, esiziale e nobile pratica dell’Harakiri. Va peraltro rilevato che il progetto di Costituzione ha mancato nel compito definire un aspetto rilevante, quale quello dell’identità della nuova Europa, insufficientemente tratteggiata ed individuata, per scarsa lungimiranza e soprattutto per questioni di basso spessore politico (vedi la possibilità di lasciare aperta la porta all’entrata della Turchia). Ma l’aspetto dell’identità culturale religiosa morale e delle radici storico culturali dei popoli della nuova Europa sembra ormai un problema di discussione emergente nell’opinione pubblica, la cui corretta soluzione sarà una questione ineludibile del prossimo futuro. Appare comunque evidente ai più che è solo su un chiaro riferimento ad un minimo comune denominatore di identità culturale e non certo sul mercato economico unificato (un semplice mercato economico e finanziario può sempre implodere a seguito di una grave crisi), che si potrà effettivamente costruire una struttura politica veramente, duratura e condivisa da tutti, fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza futura dell’Unione. In definitiva la Turchia, sebbene in una importantissima posizione di cerniera politica fra due continenti ed elemento politicamente essenziale nel suo ruolo di amica ed alleata privilegiata dell’Europa e dell’Occidente, non è assolutamente necessario, per le ragioni suddette, che entri a far parte dell’Unione Europea, l’esame per il suo ingresso deve essere condotto senza alcuna fretta per essere sicuri di non ammettere un futuro pericolo all’interno dell’Europa Occidentale ed in ogni caso la Turchia, con tutto il nostro rispetto, può benissimo continuare a vivere, nella posizione attuale, continuando a mantenere ed accrescere vantaggiosamente con l’Unione Europea dei rapporti speciali e privilegiati, nel campo culturale ed economico, nella salvaguardia della rispettiva identità, per il mutuo progresso economico e sociale e per la reciproca sicurezza interna ed esterna. (Pubblicato in “Quaderni di Scienze Politiche” n. 1/2005 Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) NOTE (1) Deriva da Mohammed ibn Abd el Wahab nato nella penisola arabica verso il 1700 e morto nel 1792. Rappresenta. oltre che il ritorno alle sorgenti della religione mussulmana a fronte della corruzione degli Ulema e della vita dissoluta dei Sultani ottomani, una prima forma di reazione “nazionale” araba contro la dominazione turca. Nel 1749 si verifica nei fatti l’alleanza fra il riformatore e lo Sceicco (Capo tribù) Mohammed ibn Saud, capo della attuale dinastia saudita e questi, conquistata nel 1754 la città di Riyad, la capitale del Negid o Nagd, vi instaura uno stato teocratico centralizzato. Successivamente, con Saud il Grande, la dinastia riuscirà a conquistare tutta la penisola arabica. Ma solo con il sultano Abd el Aziz 3° ibn Saud all’inizio del 20° secolo, dopo la reazione ottomana di Mehemet Alì, del 1818, i Sauditi riusciranno a consolidarsi nel 1925 con la conquista del Luoghi Santi dell’Islam ed a crearsi un regno indipendente nel 1932. (2) Il Corano sottolinea chiaramente che La religione secondo Dio è l'Islam (Sura III: 19) e Chiunque desideri una religione diversa dall'islam Dio non l'accetterà (Sura III: 85). Maometto, dopo Medina, avendo potuto successivamente allargare la sfera del suo potere, ha dichiarato la guerra a tutti gli avversari dell'Islam (Sura VIII:30 e 61, II:217) sino a fare di tutti un solo popolo e una religione unica Combattete loro nella Via di Dio, sino a che l'Islam sarà la sola Religione (Sura 8:39). Per il mussulmano la pace ci sarà quando tutto il mondo sarà conquistato e comunque “sottomesso” al volere di Allah. Agli occhi dei musulmani, infatti, la diffusione e la generalizzazione dell'Islam nel mondo, contribuirà a ricostituire l'unità originaria dell'umanità, quale Dio stesso l'aveva immaginata e voluta: Un tempo gli uomini formavano una sola comunità Sura II:213). Secondo i Musulmani, le attuali divisioni esistenti nel mondo possono essere superate, se gli uomini accettano di organizzare la loro vita in conformità con le esigenze della volontà divina e con le prescrizioni della legge islamica la Sharia. (3) Vediamo il fondamento di questo sentimento di superiorità dei mussulmani. Il Corano infatti recita: Voi siete il migliore popolo dato al mondo (Cor. Sura III:110) L'Islam domina e non può essere dominato (Sahilt Al Sukhari) Non è lecito ai Credenti avere a protettori dei miscredenti (Cor. Sura III:28 ) Omar ibn Al Khattab riferiva da Maometto sul letto di morte che: `Due religioni non possono convivere insieme nella penisola Araba. (4) Quelli che non sono mussulmani sono degli Infedeli con la speciale eccezione dei seguaci delle religione del libri a cui il Corano conferisce lo statuto di DHIMMI, che invece di essere convertiti con la forza o eliminati fisicamente, possono continuare a vivere in una condizione di cittadini di 2^ categoria. I Dhimmi non hanno il diritto di servire nei ranghi dell'esercito islamico, in quanto non hanno il diritto di difendere una terra che non appartiene ai non-musulmani. I Dhimmi non hanno il diritto di esercitare una qualunque funzione pubblica all'interno dello stato musulmano, in quanto non hanno il diritto di comandare nessun musulmano (vedi sopra Corano: Sura III, 28)). Le leggi stabilite dall'Islam per regolamentare i comportamenti dei Cristiani e degli Ebrei che vivevano all'interno delle terre musulmane, possono essere riassunte, come segue: 1- Un Cristiano può vivere sulle terre dell'Islam solo a condizione di pagare le tasse che sono previste dal suo statuto di Dhimmi; 2- Un Cristiano può praticare la sua religione solo dentro le sue Chiese; 3- I Cristiani non possono suonare le campane, esibire le loro bandiere, le loro croci e le loro immagini sacre; 4- Non è loro consentito organizzare processioni fuori delle loro Chiese; 5- E’ vietato loro di alzare la voce nel corso delle loro preghiere; 6- I Cristiani hanno la possibilità di rinnovare gli edifici delle loro Chiese e dei loro Monasteri, ma non possono costruirne ex-novo; 7- Ai Cristiani non è permesso né di vestirsi come i musulmani, né di montare a cavallo; 8- Non è permesso loro di portare un'arma né di costruire una casa più alta di quelle dei musulmani. Inutile, dunque, meravigliarsi se poi molti Cristiani, specie commercianti, abbiano accettato di convertirsi all'Islam o abbiano deciso semplicemente di emigrare !!!!. (5) Questa guerra santa (Jihad) avrà fine solo quando tutti gli infedeli entreranno nell'Islam (Corano, Sura II:191-193) e l'Islam avrà vinto tutte le altre religioni (Sura IX: 33). Solo così i musulmani possono completare il loro dovere di difendere i diritti di Dio e di assicurare il dominio della religione islamica sulle tutte le religioni e le popolazioni della terra (Sura IX:33 , LX:9 , XLVIII28), perché Chiunque desideri una religione diversa dall'Islam Dio non l'accetterà (Sura III: 85). (6) I Cristiani non hanno il diritto di difendere una terra che non appartiene ai non-musulmani anche perché Non è lecito ai Credenti avere a protettori dei miscredenti (Cor. Sura III:28 ) (7) A quelli che muoiono nel combattimento per fedeltà alla loro religione e per obbedienza dì Dio ed al suo Profeta sarà data una grande ricompensa (Sura IV:74. IX:72,89).
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