GRAFFITI-ON-LINE.COM

 

2002-2024 Graffiti-on-line.com

Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati.


Flussi e riflussi tra Europa e Asia

Geopolitica della Turchia

La lezione dei tempi lunghi chiarisce la geopolitica d’oggi


15/06/2008 - Massimo Iacopi


(Perugia)   Durante tutto il primo millennio della nostra era, la spinta costante verso l’ovest, dalla Manciuria settentrionale al Lago Balkhash, delle popolazioni proto - turche e proto - mongole contribuisce allo scivolamento delle popolazioni indoeuropee verso l’Europa centrale ed occidentale. Da questo primo atavico scontro turco - europeo, ben prima di assumere una connotazione religiosa, ne consegue, per molti secoli, la definizione della carta dei popoli d’Europa. Questo fino al momento in cui dei nuovi proto turchi, gli Unni, installati nella regione del basso Volga, iniziano la loro marcia verso l’ovest. Superati il Don ed il Dniepr, essi attaccano i Germani e provocano il riflusso di quest’ultimi in direzione dei territori dell’impero romano dell’ovest. Nell’inverno del 451, Attila penetra nei territori dell’impero romano all’altezza di Magonza. Dappertutto in Gallia sorgono dei santi cristiani sotto gli zoccoli dei cavalieri unni. La politica di distruzioni massicce condotta da queste orde venute dalle steppe rimarrà impressa nella memoria del cristianesimo dei Franchi. Poi quando sorgerà l’Islam nel 7° secolo, l’imperialismo territoriale dei turchi nomadi si ammanterà di un imperialismo di tipo religioso. Assorbendo quella che era stata fino a quel momento la religione nazionale degli arabi, i Turchi entrano nella civiltà urbana ed offrono all’Islam la potenza e la violenza delle armate nomadi contro la Cristianità e contro la Cina. La coalizione turco araba dell’8° secolo fa indietreggiare dopo la battaglia di Talas, i Cinesi nell’Asia centrale, mente la crescita in potenza dei mongoli porta, nell’11° secolo, la tribù turca dei Selgiuchidi ad installarsi sull’altopiano anatolico, alle porte di Bisanzio. L'Europa, difesa dall’Impero bizantino (struttura mezza europea e mezza orientale), va incontro ad una cocente sconfitta nel 1071 a Mantzikert (Manziscerta), I Bizantini vengono espulsi dalla quasi totalità dell’Asia Minore ed i Turchi conquistano Gerusalemme per l’Islam. Ma l’Occidente a questo punto ha una reazione. Le crociate, condotte per la gran parte dalla feudalità (cavalleria) franco - germanica, offrono un momento di respiro ed una proroga di 350 anni alla vita del bastione bizantino. Senza di esse i Turchi avrebbero certamente eliminato l’Impero Romano d’Oriente a partire dalla fine dell’11° secolo, ben prima di penetrare profondamente all’interno delle terre europee. Ma il periodo delle Crociate non fu altro che una tregua, in quanto i Turchi, nell’impossibilità di estendersi ad est, nel 13° secolo, per effetto della potenza mongola e successivamente quasi eliminati dall’Anatolia ad opera di Tamerlano, i Turchi raddoppieranno gli sforzi per forzare la porta europea del Balcani. Stavolta a fare le funzioni d’ariete sarà lo stato ottomano (dai discendenti d’Othman di Erthogrul). Nel 14° secolo, una dietro l’altra cadono la parte sud della Serbia (che metterà cinque lunghi secoli a ritrovare la sua indipendenza), la Macedonia e la Bulgaria. Poi, nel 15° secolo, saranno le idee greche, romane e cristiane ad essere scacciate simultaneamente dalla porta dell’Europa con la caduta di Costantinopoli (1453) e d’Atene tre anni dopo.

Una volta, l'Impero bizantino controllava il mare Egeo ed il passaggio dei Dardanelli. Ormai non ci sono più ostacoli sulla strada dei Turchi per il Mediterraneo occidentale ed il Danubio. Fra la caduta di Bisanzio e la fine del 15° secolo, saranno pertanto la Bosnia, l'Albania, l'Erzegovina, la Bessarabia, la Moldavia, la Valacchia ad essere strappate alla civiltà europea.

Nel 16° secolo, sotto il regno di Solimano il Magnifico, l’Impero turco moltiplica i suoi attacchi: non meno di dieci offensive terrestri verso l’Europa e tre in direzione dell’Asia. Nel Mediterraneo, lo sforzo multinazionale dell’Europa conosce una grave disfatta con la caduta della fortezza di Rodi nel 1522. I Cavalieri Gerosolimitani sono costretti a ripiegare verso ovest a Malta, punto chiave del controllo del traffico navale fra i due bacini del mediterraneo. Supportati dalla loro potenza navale i Turchi possono comunque conquistare il litorale dell’Africa del Nord (Tripoli, Tunisi ed Algeri).

La progressione imperiale islamo - turca nel Mediterraneo si accompagna ad una progressione verso l’interno dell’Europa. La sconfitta di Mohacs del 1526 e la conquista di Budapest nel 1541, sanciscono la scomparsa dello stato ungherese, che provoca la caduta della Croazia e del nord della Serbia.

Fra il 1520 ed il 1566, l'Impero ottomano raggiunge la sua massima estensione in Europa: la Grecia e l’insieme delle regioni balcaniche e danubiane formano quello che al suo interno viene chiamato paesi dei Rum, ovvero la Rumelia.

Tuttavia, dopo il 15° secolo, l’apertura della rotta oceanica del Capo di Buona Speranza verso l’India da parte delle nazioni iberiche (1), viene a costituire una delle cause principali del declino ottomano (perdita del 60% delle rendite del traffico commerciale est - ovest). Ormai l'Islam, di cui gli Ottomani sono il principale motore di potenza, non è più un intermediario inaggirabile del commercio fra l'Europa e le Indie. Senza dubbio gli Europei del 16° secolo e della prima parte del 17° secolo non si rendono conto dell’importanza storica di questa rivoluzione geopolitica, che farà sentire i suoi effetti in tempi lunghi (circa due secoli). Nel momento in cui le condizioni di base del sostegno della potenza turca sono minate dall’iniziative europee, l'Impero Ottomano, sotto spinta dello slancio iniziale, continua ad accrescersi ulteriormente, nonostante la strepitosa e decisiva vittoria europea di Lepanto del 1571. All’inizio del 17° secolo, l'ampiezza dell’Im¬pero ottomano è veramente smisurata. Comprende i territori della Turchia moderna, del Caucaso, della Crimea, dell’Ucraina meridionale e nei Balcani quello che corrisponde oggi alla ex Jugoslavia, la Romania, la Bulgaria, la Grecia e l’Ungheria; nel Medio Oriente sul litorale mediterraneo gli ottomani si estendono sul Libano, la Siria, la Palestina, una parte dell’Irak e la penisola arabica fino allo Yemen; nell’Africa l’Impero abbraccia l’Egitto, la Libia, la Tunisia e l’Algeria. E’ senza dubbio la prima potenza mondiale. Ma tuttavia la marcia verso il declino è già iniziata. La crescita in potenza delle nazioni dell’ovest, che trova la sua base nella rivoluzione tecnica della fine del medioevo, sostiene la crescita demografica europea. Gli Ottomani fino a quel momento avevano dalla loro parte il numero e la potenza di fuoco, ma questi fattori fondamentali gli sono ormai contestati dai paesi dell’Occidente e per di più la resistenza dei popoli europei nell’Europa centrale ed all’interno dei Balcani non accenna a diminuire.

Indubbiamente, anche se si registrano numerose conversioni all’Islam, i popoli di ceppo indoeuropeo e ugrofinnico, nel loro insieme, resistono all’islamizzazione. Nel 18° secolo la potenza turco ottomana entra in un ciclo di dissoluzione. La logica alla base è la seguente: una parte dei territori dell’Impero ottomano entrano a far parte degli imperi europei (in Africa del Nord e nel Medio Oriente); l’altra parte, in Europa Centrale e orientale, inizia la sua marcia sulla strada dell’autodeterminazione nazionale. Lo scontro Europa - Turchia, dalla duplice valenza razziale e religiosa, mette in evidenza l’irriducibilità delle due logiche geopolitiche europea e turca. Ben prima dell’arrivo dell’Islam, l’identità europea si era forgiata nella resistenza alle spinte dell’Asia Turca. Nell’Islam, i Turchi sono stati uno dei più potenti motori anti europei, superiore alla spinta degli Arabi, che si sono venuti a trovare rapidamente sotto il giogo dei Turchi. Simmetricamente l’essenza della struttura dei popoli delle steppe e poi dell’Impero ottomano è da sempre consistita nella sete di conquista delle risorse europee (oro, donne e pascoli fertili).

La geopolitica dello stato turco moderno (risultato della decomposizione dello stato imperiale ottomano) deve essere preliminarmente valutata in relazione a tre principali forze che interagiscono al suo interno, scontrandosi e influenzandosi reciprocamente:

1) Il Panturchismo o Panturanesimo, (l’idea di riunire tutti i turcofoni), laico e modernizzatore, popolare, storicamente antieuropeo ma anche antiarabo, che guarda ai fratelli di razza turca dell'Asia centrale (geneticamente anche più puri di quelli d’Istambul).

2) Il Panislamismo, (idea religiosa di incarnare il califfato islamico unito), forte soprattutto a livello popolare, tradizionalmente antieuropeo e che sfocia nella volontà di conquistare l'Europa per vendicarsi di Lepanto e Vienna.

3) L'Occidentalismo elitario erede di sette esoterico - razionaliste come i dunmeh. Fortemente laico, filoamericano e filosionista, presente quasi solo a livelli di vertice e che può guidare il paese solo gestendo le spinte provenienti dalle correnti popolari. In genere s’innesta sulla corrente panturca.

 Sotto l’aspetto della realtà della popolazione turcofona. Il mondo turco pesa in realtà molto di più dello stato turco.

Demograficamente, se si sommano i turcofoni delle giovani repubbliche indipendenti dell’Asia centrale a quelli del Caucaso (Azerbaigian) e della Federazione della Russia, si ottiene più del doppio della Turchia contemporanea. Sotto l’Impero ottomano, il Panturchismo ed il Panislamismo hanno marciato sostanzialmente di pari passo nel quadro dell’Ottomanismo. Dopo la rivoluzione dei Giovani Turchi nel 1908, l’idea religiosa è passata in secondo piano rispetto al panturchismo.

Una delle linee contemporanee di politica estera della Turchia è pertanto la sua proiezione verso l’Asia Centrale turcofona e l’allacciamento di legami con i suoi fratelli “colonizzati” dai Russi. Ma in questo sforzo politico la sua azione si scontra contro un asse coalizzato Mosca - Erevan - Teheran, quindi non solo tradizionalmente con la Russia ma anche con la geopolitica armena (l’alleanza armeno russa trova la sua ragione storica nel genocidio turco degli Armeni) ed iraniana (il mondo persiano ha introdotto nell’area gli elementi della civiltà urbana ai cavalieri nomadi turchi).

Al di la dell’Asia centrale, più ad est, la Turchia non ha dimenticato la sua presenza storica dei Turchi sulle piane fertili dell’Impero degli Han. In tal modo il Turkestan cinese e lo Xinkiang sono diventati l’oggetto di attenzioni particolari da parte di Ankara: il separatismo armato dei turcofoni Uigurs, beneficia di facilitazioni addestrative in territorio turco. Ed è proprio in questo contesto geopolitico che la Turchia, appoggiandosi sulle rivendicazioni delle popolazioni d’etnia turca che si spingono fino all’interno della Russia e della Cina, può aspirare ad un futuro possibile ruolo di potenza regionale eurasiatica. In tale prospettiva l’integrazione della Turchia nell’Unione europea, rappresenta certamente un mezzo destinato a favorire la politica del panturchismo. La solidarietà turca, oggi frenata dalla rigida struttura dello stato nazione d’ispirazione giacobina, ereditata dal kemalismo, potrebbe ritrovare nel contesto del diritto europeo lo stimolo per un rinnovato vigore. Il diritto delle minoranze, combinato con quelli dell’individuo (diritti dell’uomo) e opposti all’assolutismo dello stato, potrebbe diventare in quel momento (anche se in stridente contraddizione con i suoi problemi interni, rappresentati dal popolo curdo) un possente mezzo al servizio della solidarietà fra i turchi della Turchia da una parte ed i Turchi dell’Unione (immigrati in Francia e Germania), dell’Asia centrale e della Federazione russa dall’altra, con il risultato inevitabile ed esiziale di accrescere, contro gli stessi interessi dell’Europa, le tensioni fra Bruxelles e Mosca.

Se la solidarietà turcofona rappresenta lo strumento della sua politica eurasiatica, il vero obiettivo della politica mediterranea turca sembra effettivamente essere l’estensione della sovranità e del popolamento. Un primo obiettivo dei Turchi è quello di conseguire un riflusso della sovranità greca nell’Egeo, che si fonda sul possesso della quasi totalità delle isole o isolette delle Cicladi e delle Sporadi. I Turchi v’individuano un ostacolo alla loro circolazione fra il Mar Nero ed il Mediterraneo.

In effetti Ankara vuole assumere il ruolo d’attore inaggirabile del petrolio fra il Mar Caspio, il Mar Nero ed il Mediterraneo. Un secondo obiettivo è la colonizzazione strisciante, nella speranza prima o poi di assorbirla, dell’Isola di Cipro, un punto strategico del Mediterraneo orientale e trampolino verso il mondo arabo. La Turchia cerca dunque a ricostituire, alla sua periferia, lo spazio di una grande Turchia attraverso la Russia, attraverso l’immigrazione e l’estensione della sovranità verso l’Europa (minoranze dell’Europa orientale, conquista demografica di Cipro, mar Egeo).

All’interno, lo strumento d’unificazione identitario è stata la politica di turchizzazione delle minoranze etniche. L’identità curda, che rappresenta un quarto della popolazione della Turchia contemporanea, è stato l’oggetto di questa politica di turchizzazione. Questa politica s’inserisce d’altronde nella stessa direzione delle politiche d’assimilazione etnica della grandi confederazioni tribali turco mongole dei secoli passati, che assorbivano numerosi elementi etnici esogeni (indoeuropei, cinesi, arabi o persiani). Nonostante gli sforzi repressivi di Ankara, la turchizzazione dei Curdi rimane decisamente un fallimento.

Senza dubbio l’identità curda ha potuto sopravvivere grazie alle divergenze e le dispute fra gli stati turco, arabi (Siria, Irak) e persiano (Iran), dei quali essa si avvale per sopravvivere. Ma se il partito islamista al potere in Turchia oggi non teme che una Turchia membro dell’Unione europea possa essere indebolita dalla questione curda, è perché Ankara, oltre alla carta etnica, dispone di una seconda carta di politica estera, la carta religiosa.

Purtroppo è innegabilmente un doppio errore la convinzione oggi prevalente in Occidente che l’idea della turcofonia sia orientata primariamente verso la Cina e che la Turchia kemalista, proprio perché laica, abbia ripudiato il panislamismo in politica estera.

Il primo riguarda il fatto che la Turchia moderna non è mai stata un paese laico nel senso occidentale. Il suo regime è un nazionalismo giacobino (assolutismo dello stato) e mussulmano (Islam, religione sottomessa allo stato, ma tuttavia religione di stato).

Mentre lo stato repubblicano, specie in Francia, si è costruito nel contrasto con il cattolicesimo dominante, appoggiandosi alle minoranze religiose (all’epoca ebree e protestanti, oggi islamiche), lo stato kemalista, a sua volta, si è costituito sul principio dell’uniformità etnica (turca) e religiosa (islam) e contro l’idea di comunità religiosa o etnica (proprio contro le basi dello stato ottomano. La conseguenza evidente è stata che il numero dei cristiani non ha smesso di decrescere in Turchia a partire dagli anni 1920 e che il loro sradicamento per l’ampiezza del fenomeno, non alcuna analogia con la lenta erosione osservata nelle comunità cristiane nei paesi arabi della mezzaluna fertile.

Il secondo errore si connette con il fatto che anche se uno stato risulta formalmente laico, non è detto che la sua politica estera debba essere necessariamente laica. “L’anticlericalismo non è un articolo da esportazione” soleva ripetere sovente un politico di sinistra della fine dell’800.

Nella pratica la Turchia post - ottomana non ha mai smesso di sostenere il panislamismo. Proprio in Turchia è stata creato quel club mussulmano che è l’OCI (Organizzazione della Comunità Islamica), come la stessa Turchia ha sostenuto con denari ed armi, il risorgere dell’identità mussulmana in ex Jugoslavia, nella Bosnia e nel Kossovo.

La Turchia contende all’Arabia Saudita la sua influenza sui movimenti sunniti attivi dei territori della federazione russa, nel Caucaso o in Asia centrale (Ubzekistan ad esempio). In concorrenza con Ryad e alla stessa maniera di Teheran per gli sciiti, la Turchia moderna si è sempre presentata come polo di riferimento dell’islam, inserendosi nella continuità dell’idea califfale ottomana.

In effetti gli islamismi turchi hanno perfettamente capito a differenza del kemalisti tradizionali, che la Turchia ha tutto da guadagnare dallo scrollarsi di dosso l’armatura rigida del giacobinismo statalista per assumere, nell’Europa, l’abito più leggero di un panislamismo, foderato di panturanesimo.

In realtà l’entrata nell’Unione non è per i Turchi un punto d’arrivo, ma solo un mezzo che potrebbe offrire vantaggi materiali ed un prestigio di cui nessun altro polo mussulmano potrebbe godere. Da una tale situazione la sua attrattiva e la sua autorevolezza ne risulterebbe considerevolmente aumentata, sia davanti alle comunità mussulmane d’Europa, sia a fronte di quelle turche ed africane, come pure davanti alle popolazioni sannite (turcofone ed iranofone) del Caucaso e dell’Asia centrale ed a quelle dei mussulmani della Russia, la cui sorte sta a cuore a larga parte dell’opinione pubblica anatolica.

Si vede bene in questo caso come l’idea religiosa (l’Islam) si può affiancare all’idea del turanesimo (turchismo) per un matrimonio d’interessi nella prospettiva turca fra ottomanismo ed europeismo, unione appoggiata su una demografia forte (una popolazione superiore a quella tedesca a breve termine) e molto giovane, esattamente all’opposto della situazione europea.

Da ultimo nel contesto della geopolitica turca va tenuto conto che l’elites dominanti, influenzate da condizionamenti d’ambienti segreti esoterici d’origine dunmeh, filo occidentali, laiche, filo americane e filo sioniste, presenti a livello di vertice, gestiscono la Turchia, tenendo conto delle spinte popolari e giocando soprattutto la carta del panturchismo per essere in sintonia con la base

In tutta questa situazione nulla sembrerebbe spiegare o giustificare l’attuale inclinazione dell’Europa verso la Turchia (non certo la storia conflittuale dei due mondi) se non esistesse una potente forza esterna che lavora a depistare il progetto europeo verso un progetto eurasiatico.

Per gli USA la costruzione europea deve inscriversi, sin dall’inizio, in un progetto transatlantico, a sua volta motore di una mondializzazione economica ed ideologica americana.

L’alleanza con la Turchia è stata impostata all’epoca in cui la Russia sovietica minacciava di unificare sotto il suo potere comunista tutta l’Europa. Dopo il 1990 l’idea euroatlantica ha per avversario principale la Cina e non più la Russia, potenza emergente che promette di diventare, verso la meta di questo secolo, un gigante economico e strategico. Per costruire questo blocco transatlantico anticinese, l’America ha bisogno di un’unione eurasiatica. La vera guida degli allargamenti europei sembra essere la NATO: La Turchia è una delle sue fortezze, mentre i paesi del Caucaso e dell’Asia centrale si trovano in una fase preparatoria all’integrazione (Partenariato per la Pace). Per molti secoli l’Asia turca, il mondo russo ed il mondo cinese si sono scontrati. Ormai gli USA vogliono mettere Europei, Turchi e Russi dalla sua parte di fronte alla Cina, giocando il ruolo d’arbitro fra queste tre civiltà, prigioniere in qualche modo dello schema transatlantico. Questo è anche il progetto d’Israele, che per poter sopravvivere e completare la costruzione del suo stato, ha tutto l’interesse di avere, alle spalle degli Arabi, un alleato come la Turchia

In definitiva di fronte alla Cina, di fronte agli Arabi e per garantire Israele e soprattutto contro una possibile intesa Russo europea e per annientare la possibilità di un’Europa potenza indipendente, il mondo turco all’est come all’ovest, sarà domani uno dei perni essenziali della politica americana in Eurasia.

In definitiva lo sguardo su più di tre mila anni di storia dei mondi europeo e turco ha mostrato fino a che punto il mondo turco è stato ed è un avversario della civiltà europea. Nel passato l’espansionismo turco ha messo in pericolo la liberta dei popoli europei, oggi invece il progetto d’integrazione della Turchia nell’Unione europea sembra avere piuttosto l’obiettivo di annientare sul nascere il progetto della nascita di una potenza europea.

 

(1) Il Capo di Buona Speranza viene aggirato nel 1498 e, già a partire dal 1505, le spezie costano cinque volte meno che a Lisbona che a Venezia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La questione armena

 

Gli Armeni, eredi di una ricca e lunga storia, occupano nel 19° secolo la regione, spartita fra gli imperi ottomano, russo e persiano, che va da Dyarbakir ed Erzurum ad Ovest fino a Gandja oltre il lago Sevan ad Est. Frammischiati fra i Kurdi, i Turchi, i Georgiani o gli Azeri, essi sono maggioritari solamente nella regione del lago Van e l’unità del popolo armeno nasce primariamente dalla comunione di lingua e di religione, piuttosto che dall’occupazione di un territorio chiaramente delimitato. La progressione a sud del Caucaso dell’Impero degli Zar porta alla formazione di un’Armenia russa, distinta da quella ottomana. Dopo la guerra russo turca del 1877 - 1878, le autorità ottomane percepiscono come una minaccia la presenza di una minoranza armena nell’est anatolico. Nel periodo 1894 - 1896 numerose rivolte dei partiti rivoluzionari armeni scatenano l’intervento della gendarmeria turca, che massacra 300 mila armeni, mentre altri 100 mila cercano scampo nella Transcaucasia russa. Un violento pogrom anti armeno si scatena contemporaneamente anche ad Istambul. A partire dal 1905 Armeni ed Azeri si oppongono in Azerbaigian in territorio russo, ma la rivoluzione dei Giovani Turchi ed il loro programma riformatore fanno nascere delle speranze nel 1908, subitamente deluse. Una volta iniziata la guerra del 1914, la situazione degli Armeni d’Anatolia orientale diventa drammatica. La rivolta che scoppia Van nell’aprile 1915 e le vittorie riportate dai Russi nella regione, inducono il governo ottomano ad applicare una repressione massiccia. Le elites locali vengono eliminate e la massa della popolazione diventa oggetto di una deportazione generale verso la Siria che provoca almeno 800 mila vittime, conseguenza dei massacri perpetrati dai Kurdi e delle spaventose condizioni in cui avviene la deportazione della popolazione. Le vittorie russe del 1916 - 1917 riportano nelle regioni di Erzurum, di Trebisonda e di Erzincan una parte degli Armeni che erano fuggiti, ma il ritorno degli Ottomani costringe gli Armeni ad un nuovo esodo verso la Transcaucasia. Il Movimento kemalista, impegnato nella riconquista di tutta l’Asia Minore, non tiene in alcun conto delle promesse contenute nel Trattato di Sevres (agosto 1920), che prevedeva la costituzione di una Grande Armenia fra la Cilicia e l’est anatolico. L’Armenia dovrà attendere la fine dell’URSS per ritrovare la liberta e la piena sovranità nazionale che, di fronte alla Turchia e ad un Azerbaigian ostile, appare alquanto precaria, costringendola di fatto a rivolgersi verso il suo protettore naturale russo.


 

 

2002-2024 Graffiti-on-line.com - Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati.