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Relazioni commerciali fra Estremo Oriente e Occidente. Rotte Oggetti Tecniche 15/07/2008 - Massimo Iacopi (Perugia) Per molto tempo l’alto medioevo occidentale è stato presentato come un periodo di barbarie e di tenebre. Ma oggi ormai è universalmente dimostrato che è necessario ed opportuno effettuare diversi distinguo, apportare delle sfumature e persino contestare questa visione unilaterale delle cose. Certamente da un punto di vista economico l’Europa di allora non può paragonarsi alla potenza del mondo orientale poiché è proprio laggiù fra la Cina e Bisanzio che si attivano i più moderni attori del commercio mondiale di allora. Se l’economia di scambio esiste ancora nell’Asia centrale, nel resto dell’impero Abbasside gli scambi si basano essenzialmente sulle monete d’oro e d’argento, anche se a livello locale è il Dirham d’argento il più utilizzato. Per contro per le transazioni a grande distanza viene comunemente impiegato il Dinar d’oro, in competizione con il Solidus d’oro bizantino. L’impiego di queste monete d’oro è il segno più rilevante di una prosperità economica, della quale beneficia una grande parte della popolazione. Di fatto i capitali necessari alle imprese commerciali vengono forniti non solamente dai negozianti ma anche dai funzionari, dai proprietari fondiari e dai capi militari. In effetti se il commercio è una attività rischiosa i suoi profitti possono essere immensi: un profitto del 500% non aveva a quei tempi nulla di eccezionale. Questi profitti sono basati su tre elementi fondamentali: il controllo di un immensa rete commerciale, degli uomini e delle tecniche dinamiche ed una attenzione costante degli stati ai problemi degli scambi commerciali.
Le rotte commerciali
Bagdad, dalla sua fondazione nel 762, è il centro ed incrocio di tutte le rotte commerciali dell’oriente: Sede della corte abbasside, questa città crocevia degli scambi, attira verso di sé le spezie, i profumi dell’India e le sete della Cina.
Le relazioni marittime con l’Estremo Oriente
La maggior parte del commercio con l’Estremo oriente avviene per via marittima, su delle navi di ridotto tonnellaggio. Il monsone condiziona le date di partenza e di arrivo dei convogli. Devono imperativamente partire per la Cina e l’India nel mese di gennaio. La partenza, in genere, avviene dai porti del Golfo Persico : Bassora (legata dal Tigri a Bagdad), Fars, Siraf (Persia), Sohars (negli Emirati) e Mascate nell’Oman. Da questi porti due vie portano in India, con la prima i marinai seguono le coste della Persia poi quelle dell’India, caricando e scaricando le mercanzie negli scali commerciali disseminati lungo il litorale, fra questi di grande importanza quello di Daybul in Pachistan, posto alla foce dell’Indo, che drena tutti i prodotti del Sind e del bacino dell’Indo. I viaggio delle navi che seguono questa rotta si arresta in India, da dove riportano zaffiri, diamanti, e soprattutto spezie (cannella, pepe, zenzero, chiodi di garofano, noce moscata). La seconda rotta punta direttamente dall’Oman, attraverso il Mare dei Lars, a Koulan nel Deccan, nel sud dell’India. Questa navigazione lontano dalle coste è consentita attraverso l’osservazione delle stelle e soprattutto delle cosidette “nuvole di Magellano” (riferimenti forniti dai viaggi di Magellano). Da Koulan le navi passano lo stretto di Palk davanti a Ceylon, quindi il Golfo del Bengala ed attraverso lo stretto di Malacca arrivano fino in Cina. All’inizio del 9° secolo la città di Khanfou, nei pressi di Shangai, è lo scalo più importante della Cina. I mercanti arabi vi sono bene accolti e vi ritrovano i connazionali e dei correligionari ivi istallati per commerciare. Ma alla fine di questo secolo delle sommosse obbligano i mercanti a lasciare la Cina per fondare la loro principale base logistica a Kalah nella penisola di Malacca. Da quel luogo esportano verso il Golfo Persico la seta della Cina, i prodotti dell’Indocina, la canfora, chiodi di garofano, legno d’aloe, legno del Brasile (per il colore), legno di sandalo, noce di cocco ecc. Esisteva per questo percorso una rotta concorrente, quella del Mar Rosso con diversi punti di partenza che confluiscono tutti ad Aden. Ad Aden le mercanzie dell’Oriente giungono direttamente o via il porto di Siraf in Persia. In cambio Aden esporta verso l’est gli smeraldi dell’alto Egitto e l’avorio dell’Abissinia. Da Aden la barche da carico risalgono il Mar Rosso fino a Gedda o El Diar, che sono rispettivamente i porti della Mecca e di Medina e quindi ad Aydhab in Egitto. In questo porto le mercanzie vengono sbarcate per essere trasportate con carovane fino ad Assuan e da questa località attraverso il Nilo ad Al Fustat (Il Cairo) ed Alessandria, mentre da El Diar e Gedda altre carovaniere provvedono al trasporto delle mercanzie a Bassora, Bagdad e Damasco, sulle rotte dei pellegrini. La via dell’Egitto conobbe un grande successo nel 10° secolo a causa delle rivolte del basso Irak (regione di Bassora), ma il suo sviluppo è in realtà anche l’effetto della politica dei governanti dell’Egitto: gli sciiti Fatimidi. Alla fine del 10° secolo essi creano appunto il porto di Aydhab sul Mar Rosso e degli scali di appoggio nell’Oceano Indiano, per deviare una parte del commercio dal Golfo Persico. Il loro scopo era quello di danneggiare l’economia del loro nemico, il Califfato mussulmano sunnita degli Abbassidi di Bagdad.
La via della seta
Anche se in minore misura rispetto alla via marittima, il traffico terrestre permette comunque di importare prodotti dalla Cina e dall’India. A questo proposito bisogna evidenziare l’onnipresenza del deserto e delle steppe sul suo percorso. Il commercio viene effettuato esclusivamente sulla gobba dei cammelli o dei dromedari, attraverso delle piste carovaniere. Questi percorsi presentano, scaglionati in distanza, dei Caravanserragli (foresterie fortificate, depositi e punti d’acqua per le carovane). Di fatto la presenza dell’acqua è un elemento strategico in questi paesi del deserto e d’altronde Bukara e Samarcanda, le due grandi città e principali mercati della Transossiana, sono delle oasi. Una delle rotte terrestri parte infatti da Bukara, attraversa il Syr Daria, affluente del Lago Aral ed, aggirando il Tibet al limite della foresta siberiana, raggiunge la Cina del Nord. L’altra via verso la Cina parte dall’area di Kandahar e dal Seistan ed aggirando i contrafforti meridionali dell’Himalaia raggiunge l’India, la Birmania e quindi la Cina centrale e meridionale. Questo doppio itinerario è quello che viene chiamato nel complesso la Via della Seta.
Le comunicazione interne al mondo mussulmano
I prodotti provenienti dalla Cina e le ricchezze del nord della Persia (in particolare la seta di Nishapur) e dell’area di Merv o Mary nel Turkmenistan, arrivano a Bagdad, seguendo le piste carovaniere che attraversano l’Iran e passando per Ravy e Kermanshah. Verso il sud la capitale degli Abbassidi è collegata alle città sante dell’Arabia, attraverso le rotte dei pellegrinaggi. In effetti Medina e La Mecca sono da secoli degli importanti empori commerciali oltre che santuari religiosi dell’Islam. Il Tigri e l’Eufrate, arterie principali del commercio dell’Impero, permettono di raggiungere la Siria ed il Mediterraneo. Sul Tigri la rottura e la suddivisione dei carichi avviene a Bagdad, le mercanzie in arrivo da Bassora vengono trasferite sull’Eufrate attraverso un canale che collega i due fiumi. I battelli da Bagdad risalgono quindi l’Eufrate fino a Balis in Siria, dove scaricano o caricano i prodotto diretti o provenienti da Aleppo. A partire dal quest’ultima città le mercanzie vengono istradate verso Antiochia ed il Mediterraneo, oppure verso l’Egitto e la Palestina, attraverso il grande mercato di Damasco.
Le vie commerciali del Nord
Dei legami commerciali vengono anche instaurati verso nord in direzione delle piane della Russia. Partendo da Bukara, attraverso il Kharezm e costeggiando per via terrestre la costa ovest del Caspio, i commercianti arabi raggiungevano Itil, alla foce del Volga. Itil era la capitale dei Kazari, turchi sedentarizzati, il cui reame si estendeva sino al Mar Nero. A partite dall’8° secolo questa piazza è un grande mercato internazionale frequentato dai Mussulmani, dai Bizantini, dai Bulgari del Volga e dei Vareghi o Rus (russi di stirpe vichinga). Da Itil, infatti, i mercanti arabi risalgono il corso del Volga fino a Bulgar, capitale dei Bulgari, nei pressi dell’attuale Kazan, nel cui mercato trovano numerosi prodotti del nord fra i quali la cera e soprattutto le pellicce. Dal canto loro i Vareghi discendono il Volga fino al Caspio e le sue rive sud, dove commerciano pellicce e soprattutto schiavi. Testimonianza dell’estensione di questi scambi sono dei ritrovamenti, persino in Svezia, di monete arabe. I Russi utilizzano ugualmente la via del Nipro o Dniepr, attraverso il quale i Greci arrivano fino a Kiev, fino a Costantinopoli per scambiarvi pellicce, miele e schiavi contro stoffe di seta e pepe. Nell’11° secolo, con la distruzione del Regno dei Kazari, queste vie commerciali risulteranno impraticabili.
Verso Costantinopoli e l’Occidente
Dopo aver attraversato l’Oriente mussulmano, le mercanzie del Levante e le produzioni dei paesi dell’Islam raggiungono un enorme mercato, quello di Costantinopoli. La produzione bizantina di seta risulta insufficiente a soddisfare le necessità della corte e dell’economia di Costantinopoli e per questo motivo i Greci sono obbligati ad importare dall’Estremo Oriente, passando necessariamente attraverso le intermediazioni arabe. Lo stesso discorso vale per le spezie orientali, molto apprezzate alla corte del Basileus. I Bizantini importano pertanto la seta cinese, i broccati, le pietre preziose d’Arabia e le spezie, in cambio esportano verso il mondo mussulmano dei prodotti di tintoria, il mastice, il vetro colorato per mosaico, il corallo rosso (destinato al commercio con l’Estremo Oriente) e le stoffe preziose. Le grandi piazze di scambio con Costantinopoli sono Antiochia, Alessandria e soprattutto Trebisonda, in territorio bizantino, sulla costa turca del Mar Nero. A partire da quest’ultima piazza commerciale i prodotti sono trasportati con navi bizantine fino a Costantinopoli. I Mussulmani non sembrano giocare un ruolo molto importante nell’esportazione dei prodotti orientali verso l’Occidente. Sono in effetti i Greci che trasportano le mercanzie per mare o attraversando l’Asia Minore. Tuttavia i Bizantini non sembrano essere veramente molto preoccupati di monopolizzare il commercio mondiale ma piuttosto hanno l’interesse di controllare e garantire in proprio il rifornimento del loro impero e della loro capitale. Il traffico verso l’Occidente è un affare significativo dei mercanti italiani d’Amalfi e di Venezia. Roma, la città dei Papi, consuma, tra l’altro, una enorme quantità di prodotti orientali a fini di culto. Per alimentare questo immenso mercato ed il resto dell’Occidente, Venezia ed Amalfi non esitano un istante a commerciare direttamente, a partire dal 9° secolo, con gli Arabi. Le due città, che possiedono empori e magazzini in Siria ed in Egitto, vi esportano schiavi, armi e ferro ed anche legno da costruzione. Quest’ultimo prodotto è molto richiesto fra i Mussulmani, che sono costretti ad importarlo da diverse regioni fra cui l’Armenia e l’Occidente. Tale commercio scatenerà l’ira dell’Imperatore Giovanni Tzimices, in quanto il legno esportato viene prevalentemente utilizzato per la costruzione di navi da guerra; in poche parole gli Italiani, vendendo questo tipo di prodotto, contribuiscono a danneggiare la politica di riconquista operata dal Basileus. Ma in realtà gli Italiani non sono ancora gli uomini chiave del commercio orientale, perché in effetti i principali attori di questa grande corrente di scambi si trovano maggioritariamente in Dar al Islam (Terra dei Mussulmani).
Uomini e tecniche del commercio
Giudei, Cristiani e Mussulmani, tutte le comunità dell’impero abbasside, partecipano attivamente al commercio. Non esiste un monopolio di una comunità sul commercio di un prodotto in particolare, anche se è dato notare una certa prevalenza dell’una o dell’altra in certi prodotti. In Egitto, i Giudei sono maggioritari nel lavoro dell’oro e dell’argento, la fabbricazione e la tintura delle stoffe, la soffiatura del vetro e la farmacopea, ma in realtà non si tratta di un vero e proprio monopolio. Essi hanno una attività limitata al mondo mussulmano e sono perfettamente integrati in tali circuiti: ci sono infatti delle associazioni commerciali fra Giudei e Mussulmani. La differenza si nota piuttosto fra il piccolo ed il grande commerciante. Il grande mercante (tajir) é il centro della società urbana mussulmana. Presta allo stato, riceve le somme dovute attraverso la riscossione delle imposte e partecipa alla manutenzione degli edifici pubblici. I Tajirs sono in grado di commerciare un enorme diversità di prodotti. Goiten, nel suo lavoro, cita il caso di un mercante che, nel giro di qualche anno, si era occupato del commercio di 120 articoli, spazianti dalle piante per colore, ai libri, alle pietre. Tuttavia il mercante, tipo Tajir, è un personaggio abbastanza raro e nella realtà pochi mercanti mostrano una così accentuata diversificazione di prodotti. Il caso più frequente è quello della specializzazione in un sol tipo di mercanzia. Indipendentemente però da una classificazione basata sul livello di ricchezza, si può comunque stabilire una classificazione fra i mercanti in funzione del loro modo di operare: sedentari o itineranti. Inoltre fra gli itineranti pare opportuno distinguere quelli che fanno andata e ritorno fra due paesi (ad esempio Egitto e Siria) da quelli che emigrano per commerciare poi con la propria famiglia ed i loro amici rimasti nel paese d’origine. I mercanti sedentari utilizzano largamente i servizi di intermediazione per distribuire i loro prodotti. Così troviamo anche delle donne che vanno a vendere le mercanzie negli harem. Per il commercio verso l’estero il legame di fiducia e di amicizia è un fattore primordiale. Si tratta di una cooperazione ufficiale fra mercanti di paesi diversi. Quando un negoziante vuol vendere dei prodotti su un mercato straniero, egli li invia ad un mercante amico, stabilitosi da tempo in tale mercato. Questo si occupa di tutto: vende al prezzo più vantaggioso possibile, regola le diverse transazioni ed acquista dei prodotti locali che rispedisce al primo commerciante. Questo sistema si basa su un mutuo servizio: infatti allorché l’amico avrà bisogno di vendere sul mercato del suo amico, questi provvederà, a sua volta, a fare lo stesso servizio. Dei contratti ufficiali, rinnovabili di anno in anno, regolano tali tipi di attività e possono essere di due tipi. Nel primo ogni parte mette determinati servizi, che possono essere paritari o meno, e ciascuno partecipa ai profitti o alle perdite secondo quanto investito. Nell’altro tipo di contratto, il più frequente, si crea una società in accomandita. In tal caso un partner o un gruppo di membri investe il capitale o le mercanzie e l’altra parte in società si incarica di vendere o di acquistare. La parte che opera sul campo riceve, in questo caso, il “terzo” dei profitti e non partecipa naturalmente alle perdite. Da ultimo nel mondo mussulmano sono molto numerose le compagnie familiari. La loro organizzazione deriva in parte dal concetto di responsabilità mutua imposto a delle persone con legami di parentela. Se un mercante fallisce, i suoi parenti si rendono garanti delle sue perdite. Tuttavia queste compagnie sono organizzate in maniera relativamente meno rigorosa e normalmente non impegnano mai la totalità del capitale del contrattante. A Fustat (Il Cairo), come altrove, il commercio nell’11° secolo è dominato dalle grandi famiglie dei mercanti, attraverso delle associazioni o puramente attraverso alleanze matrimoniali, tanto che si può parlare di una vera e propria comunità mercantile. Per quanto attiene al mercante sedentario, questi, non avendo né parenti, né amici a cui affidare le vendite dei suoi prodotti, fa ricorso ai servigi del Wakil el Tujar (il “rappresentante dei mercanti”). Questi è un negoziante stabilito in un paese straniero che funziona da agente d’affari e di intermediazione per i suoi connazionali ed per tutti quelli che gli attribuiscono fiducia. Associati o indipendenti, i mercanti mussulmani utilizzano differenti procedure commerciali: lettere di cambio, pagamento differito e spesso la speculazione ed il prestito ad interessi. L’usura è un problema morale primario per i mercanti mussulmani perché è vietata dal Corano. Tuttavia il divieto viene aggirato e l’usura viene comunque praticata, dissimulata sotto forme diverse. Da un punto di vista professionale essere bene informati è un fattore primordiale per il buon andamento del mercato : i mercanti devono essere a conoscenza dello stato delle piste e dei mercati per poter arrivare il più presto possibile su una piazza, proprio nel momento in cui il prezzo del prodotto ha raggiunto il massimo del suo valore. Il servizio postale gioca, in questo caso, un ruolo fondamentale: esso è efficiente ed i negozianti lo utilizzano per raccoglierne tutte le informazioni di cui hanno bisogno. Con questo servizio essenziale si introduce un ulteriore elemento fondamentale del commercio orientale: il ruolo dello stato.
Il ruolo dello stato
Per favorire l’apertura di empori commerciali in terra straniera, lo stato può intervenire in diverse maniere. Con la forza: attaccando Costantinopoli nel 944 i Russi ottengono la firma di un trattato di commercio che permette ai loro mercanti di installarsi nella capitale bizantina. In maniera più subdola e sottile, Venezia, attraverso i suoi ambasciatori, arriva ad avere accesso ai mercati di Siria ed Egitto, dopo ripetute visite ai sovrani mussulmani. A volte, al contrario, l’azione dello stato si rivela negativa per il commercio. Infatti è lo stato bizantino che è responsabile della chiusura delle rotte commerciali del nord. In effetti, nel 1016, il Basileus Basilio 2°, con l’invio di una flotta in aiuto ai Vareghi, determina la fine del Reame di Kazari. Al posto dei turchi civilizzati e favorevoli al commercio, le piane russe vengono occupate delle tribù nomadi, quelle dei Peceneghi, che per la loro cultura costituiscono un grave ostacolo al commercio terrestre e fluviale della regione. Lo stato però interviene anche più direttamente nella vita quotidiana dei mercanti. Oltre ad un efficiente servizio postale, esso fornisce la sicurezza delle vie commerciali di terra da banditi e da ladroni ed in mare garantisce protezione contro i pirati ed i saccheggiatori di imbarcazioni. Così nel territorio abbasside i mercanti possono sfruttare le piste e gli ostelli organizzati in favore dei pellegrini e manutenzionati a spese dello stato. Per il commercio, in particolare, il potere califfale crea o protegge una serie di caravanserragli, anche se la maggior parte di questi posti tappa fortificati sono nati più per iniziativa privata. Nel mondo bizantino, invece, i villaggi dipendono per il loro rifornimento dalle città di mercato ed esse stesse sono strettamente legate a Costantinopoli. Comunque sia nei due mondi lo stato è anche il più grosso cliente del commercio. Normalmente per le derrate alimentari i governi costituiscono delle riserve destinate ad essere rivendute a basso prezzo in caso di carestia (come ad esempio il caso del governo Fatimide d’Egitto). Oltre a questa politica frumentaria, gli eserciti e le corti sono dei grandi consumatori, specialmente di prodotti lussuosi e costosi dell’Estremo Oriente. A Bisanzio il Governo giunge persino a sorvegliare il rifornimento della capitale per mezzo delle corporazioni. Queste, facilmente controllabili e ben regolamentate, risultano presenti in differenti settori del commercio ed in tutte le città dell’impero. Ad esse viene dato carico del rifornimento di Costantinopoli e sono particolarmente controllate dai servizi dell’Eparca (Prefetto incaricato dell’amministrazione della capitale bizantina), che determina le quantità di prodotti da acquistare e fissa il prezzo di acquisto e di vendita. L’insieme dell’economia bizantina è anche marcata dal sigillo dell’amministrazione, ad esempio la marina mercantile é regolata da un codice (Nomos Rodios) dove tutto è previsto, dalla suddivisione del nolo fino alla gerarchia dei salari ed il regime delle avarie. Inoltre l’impero gestisce le esportazioni. In questo modo Bisanzio vive al 90% in autarchia, non ha bisogno dei prodotti dell’Occidente e cerca di approfittare al massimo dei frutti del suo commercio con l’Oriente. Su questo punto purtroppo l’azione dello stato bizantino appare inconsistente in quanto fortemente condizionata da frodi e da corruzioni. Lo stato interviene anche con l’applicazione di tasse diverse, quali i diritti di dogana. Nei paesi islamici i mercanti pagano dei dazi alle frontiere ma anche all’entrata di ogni città. Va però sottolineato che i mercanti mussulmani sono tenuti al pagamento di un pedaggio del 50% meno elevato degli altri. Ogni città mussulmana ha il suo deposito (Funduq) di stato, attraverso i quali transitano obbligatoriamente e con il pagamento di una tassa, tutte le mercanzie destinate al Suk locale. Nel mondo bizantino esiste inoltre un diritto di riscossione del 10% sul valore delle mercanzie che entrano o escono dall’impero. I posti di dogana si trovano a Hieron (per le navi che vengono dal mar Nero), ad Abydos (per quelle che vengono dal Mediterraneo) ed a Trebisonda (per i prodotti che vengono dall’Asia). All’interno dei due mondi il commercio può essere soggetto ad ulteriori tasse, per esempio ad El Fustat ogni magazzino paga una tassa mensile per la licenza di commercio. A dispetto di tutti questi punti in comune, esiste una netta differenza commerciale ad esempio fra l’impero greco e lo Stato Fatimide d’Egitto. In quest’ultimo tutta l’amministrazione è basata sull’affitto delle tasse. Il governo effettivamente non ha i funzionari necessari per imporre uno stretto controllo sull’economia e d’altronde neanche lo desidera, poiché nei paesi mussulmani la tendenza in questo campo è piuttosto quella di “lasciar fare”. Al contrario lo stato bizantino interviene direttamente nel commercio per riservarsi determinati prodotti e soprattutto per prelevare delle imposte. A Bisanzio in particolare l’11° secolo rappresenterà l’apogeo del controllo statale sull’economia. Ma partire da questo secolo i dati relativi al commercio mondiale cominciano a cambiare notevolmente ed entrano in gioco nuovi e determinanti fattori. Le mutazioni della fine dell’11° secolo.
Oltre alla sparizione o all’apertura di nuove vie di commercio, il fattore più significativo nella situazione sopra delineata è rappresentato dal progressivo declino economico dello stato bizantino. L’indebolimento politico dell’impero ne é la causa principale. Per lottare contro i Normanni d’Italia, gli imperatori sono costretti a ricorrere all’aiuto della flotta veneziana. Nel 1082, dopo la loro vittoria sui Normanni, i Veneziani ottengono una serie di privilegi commerciali, la cui ampiezza non cesserà di accrescersi nel tempo. Oltre a Venezia, altre città italiane approfitteranno presto dell’apertura del mercato greco, Genova in particolare. L’economia dirigista sparisce e lascia lo spazio ad una economia libera ed aperta, che va prevalentemente a beneficio degli stranieri. L’economia, l’industria ed il commercio bizantino si trovano così gradualmente in rovina a causa dei privilegi commerciali accordati alle repubbliche marinare italiane. Per quanto riguarda l’Islam, invece, il declino economico non interverrà che quattro secoli più tardi quando gli assi di scambio commerciali, per effetto della scoperta delle nuove rotte marittime, si troveranno spostati a sud ed al di fuori del mondo mussulmano, a vantaggio delle nuove potenze marinare, quali la Spagna ed il Portogallo.
Elisseeff N. : L’Oriente mussulmano nel Medio Evo A. Colin, 1977
Miquel A. : L’Islam e la sua Civiltà, A. Colin, 1978
Goiten S. D. A Mediterranean Society Berkeley e Los Angeles, 1967 Il commercio mediterraneo prima delle Crociate
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