GRAFFITI-ON-LINE.COM
2002-2024 Graffiti-on-line.com Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati.
Chi ha paura delle riforme? Considerazioni e Proposte 01/10/2009 - Marco Arcangeli (Rieti) L’interrogativo, che trae spunto dal titolo del prossimo congresso straordinario dell’Unione delle Camere Penali del 2, 3 e 4 Ottobre in Torino, è del tutto volto a significare che dopo decenni di dibattiti, aspettative, presunte soluzioni più o meno miracolose (evidentemente tali solo per chi le proponeva) rimane purtroppo solo la polemica. Perché nessun operatore della giustizia avente un minimo di onestà intellettuale può disconoscere quanto all’urgente bisogno di riforme si contrapponga una contraria volontà politico-giudiziaria. Ed allora, con coerenza di causa, occorre riformulare più correttamente la questione in senso affermativo: chi ha paura delle riforme. Chi, invero, nonostante pubblici proclami, preferisce che la Giustizia continui ad essere come oggi si mostra: una vergogna continua in uno Stato che, con la consueta ipocrisia, si professa civile. Un primo punto: coloro che malgrado le apparenze “remano contro” appartengono a varie categorie umane e professionali, esterne ed interne al mondo giudiziario. In un concetto ben si può sostenere che le responsabilità appartengono a tutti. Certo, in buona fede si può essere visceralmente contro i cambiamenti per uno stato mentale, o più propriamente per un approccio culturale. E’ il caso di coloro che non riescono a sopportare, magari solo per stagionate comodità pratiche, nessuna novità nel proprio modo di essere e di agire da professionisti del diritto (si pensi all’avversione per la posta elettronica certificata o, più semplicisticamente, per l’iscrizione a ruolo con codice a barre). Si pensi, ad esempio, agli operatori anziani, che tranne rare eccezioni rifiutano le novità che ogni istante la vita moderna ci spara addosso, finendo, come nella vita, per aggrapparsi al passato, farcito di nostalgici ricordi. Se la problematica circa l’urgente necessità di rivisitazione o meglio ricostituzione del sistema giustizia potesse essere ricondotta in questi termini, non ci sarebbe di che preoccuparsi, dovendo solamente, con le opportune cautele, mettere in atto una strategia di informazione della novità. Purtroppo è evidente come la questione non sia così risolvibile. Ed allora, riflettere su chi ha paura delle riforme è prioritario persino rispetto alle cause che determinano resistenza al necessario ed ormai improcrastinabile cambiamento culturale nella politica giudiziaria. Innanzitutto, in via generale contro il cambiamento dell’esistente si appalesa l’apparato politico in senso lato, sia esso di qualsivoglia schieramento, che da decenni annuncia al popolo elettore la propria ricetta risolutiva, promettendo in modo scellerato la soluzione ad ogni malanno. Basti pensare alle recenti normative, il plurale è d’obbligo, in materia di sicurezza pubblica. Salvo poi limitarsi ad introdurre “riformucole” del tutto parziali e prive di sistematicità, sparse qua e là nelle varie branche del diritto, purtroppo nessuna esclusa, che non producono altro che un aggravio di febbre al moribondo malato. Fenomeno tanto più insopportabile quanto più si riflette sulla smisurata truppa di giuristi (o pseudo tali), magistrati, avvocati, professori universitari, che pullula in ogni dove del mondo politico-decisionale. Senza voler altresì considerare che, quand’anche per pura causalità, si riesca ad innestare nel sistema qualche buona soluzione in grado di alleviare in modo percettibile lo stato di degrado onnipresente, pur con i ricordati limiti connotati all’assenza di organicità, vi è sempre qualcun altro che per disprezzo nei confronti del predecessore, volutamente incurante dell’interesse pubblico, trova il modo, naturalmente aggravando i conti dello Stato, di azzerare la questione per ricominciare dall’inizio. Gli esempi sono purtroppo numerosi, basti in tal senso accennare ai vari progetti di riscrittura dei codici penale e di procedura penale affrontati a più riprese dalle numerosissime commissioni nominate dal ministro di turno ma mai giunti ad approvazione parlamentare. Ogni individuo, naturalmente, vive e ragiona per quello che è o che vuol apparire nella società. Non ci si può certo stupire se il parlamentare, avvocato o magistrato che sia, nel districarsi nella propria attività politica, guardi con occhio benevolo ad una qualsivoglia iniziativa che sia in qualche modo favorevole alla propria categoria professionale. Ma il problema non si esaurisce così ragionando. Perché altrimenti, almeno ad una prima lettura non si comprende come, nonostante l’assoluta maggioranza di parlamentari iscritti all’albo degli avvocati, spesso si finisce per osservare progetti di legge, approvati o no, in spregio agli interessi dell’avvocatura ma anche, aspetto assai più grave, peggiorativi del sistema giustizia in sé. A tal riguardo, invero, non può passare inosservato il fatto che la stragrande maggioranza degli avvocati-parlamentari (o per alcuni meglio sarebbe dire parlamentari-avvocati) ragiona in termini evidentemente differenti da quelli dei colleghi che indossando la toga ogni giorno affrontano i malanni della giustizia, non fosse altro per il fatto che ormai molti di loro non ricordano più neanche in quale armadio hanno riposto il proprio abito professionale. Ad ogni modo va sfatato una volta per tutte, poiché non corrispondente al vero, che la stragrande maggioranza dell’avvocatura tragga interesse professionale dal malfunzionamento del processo, essendo dimostrato come la fluidità nello svolgimento della professione sia causa di efficienza e produttività e, di conseguenza, di redditività. Ulteriore capitolo va dedicato alla magistratura. Non vi è chi, bandendo l’ipocrisia, possa affermare con un minimo di avvedutezza che il sistema di reclutamento, formazione, funzioni, autogoverno ed associazionismo della magistratura sia oggi in grado di funzionare nell’interesse dalla popolazione. Così ragionando non si finisce per far torto al principio costituzionale dell’autonomia ed indipendenza, tanto caro ad alcuni da richiamarlo, spesso a sproposito, a tutela dei propri privilegi. A ben osservare, al contrario, è detto fondamento di autonomia ed indipendenza che risulta gravemente leso dal medesimo sistema che dovrebbe tutelarlo. Valga in proposito una prima considerazione su tutte: ma è davvero scandalosa e lesiva dell’onestà intellettuale di un giudice l’idea di ritenere illecita l’appartenenza ad una privata associazione, quale una delle correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati? Ed ancora prima: un magistrato può essere considerato a tutti gli effetti come un qualsivoglia privato cittadino nell’esercitare e manifestare pubblicamente le proprie opinioni politiche sino a giungere alla partecipazione attiva a comizi e manifestazioni apertamente schierate contro altri soggetti politici? Non si diceva da parte di qualche saggio che il magistrato deve apparire prima ancora che essere indipendente e imparziale? Può ancora accettarsi l’idea che pubblico ministero e giudice possano appartenere alla stessa “categoria” professionale tanto da poter con una certa facilità ritrovarsi in poco tempo nelle stesse funzioni o addirittura a funzioni inverse, seppur con le scarne cautele previste dal vigente ordinamento a garanzia dell’imparzialità? Perché ancora qualcuno ritiene intoccabile l’argomento circa l’evidente necessaria separazione quantomeno delle funzioni inquirenti e giudicanti su cui da tanti anni i penalisti conducono una sacrosanta battaglia di civilità? Chi può ancora accettare, spesso volgendo gli occhi altrove, che giudice e pubblico ministero continuino ad occuparsi del processo in corso nel chiuso delle loro stanze, senza la benché minima presenza del difensore? Ed ancora: quante volte leggiamo di sentenze che appaiono del tutto prive di autonomia logico-giuridica, finendo per ricalcare in toto la tesi accusatoria, spesso finanche nella sin troppo coincidente quantificazione della pena? Vista la carenza endemica di magistrati, concausa dell’eccessiva durata dei procedimenti, non sarebbe doveroso, oltre che opportuno, far rientrare in ruolo centinaia di magistrati che attualmente occupano a vari (ma alti) livelli ruoli ministeriali, finendo così per interagire in modo sin troppo ravvicinato con l’apparato politico ? A meno che non si condivida la tesi, per la verità propugnata in modo sbalorditivo poiché priva di apparenti intenti provocatori, proposta da un illustre professore di filosofia del diritto secondo cui già oggi si potrebbe fare a meno della magistratura, almeno quella giudicante, con l’introduzione del giudice-elaboratore elettronico che sputa sentenze in continuazione sulla base però dei dati che si immettono nel cervellone elettronico. Tesi sconsiderata solo a pensare a quanti si arrogherebbero l’autorità di inserire i necessari input ai fini della decisione. In ogni caso, prima ancora di discutere su quali interventi risolutivi introdurre nel pianeta giustizia, occorrerebbe adottare una precisa assunzione di responsabilità: riordinare nel profondo lo status di magistratura ed avvocatura con la consapevolezza che ogni riforma comporta inevitabili ed a volte gravosi cambiamenti. Vi è urgente bisogno di rivedere la professionalità dei protagonisti del processo, avvocati e magistrati, tanto da giungere, ad esempio, ad una vera specializzazione di ruoli a vantaggio della qualità del lavoro svolto rispettivamente nell’interesse del proprio assistito o in nome del popolo italiano. In questo senso positivo è da considerarsi la discussione già affrontata in seno alle componenti dell’avvocatura associata ed oggi avviata presso le competenti sedi parlamentari circa il progetto di riforma della professione forense, con l’introduzione, tra l’altro, del concetto di specializzazione ormai non più procrastinabile su cui, con il solito affrettato proclama, la maggioranza parlamentare ha assicurato una corsia preferenziale. Purtroppo non altrettanto può dirsi per la magistratura che, tranne sporadici casi sparsi qua e là per lo Stivale, e che proprio poiché isolati finiscono per colpire la curiosità di qualcuno, appare ancor oggi arroccata su posizioni per lo più di privilegio della categoria. Se non vi sarà una forte presa di coscienza in seno alla magistratura in merito alla necessità di introdurre criteri di valutazione della professionalità e dell’efficienza, è evidente come qualsiasi ipotesi di riforma naufragherà senza scampo. E non si dica che già oggi nella valutazione di merito della vita professionale del magistrato si tiene sempre conto di tali parametri perché detta affermazione può apparire veritiera all’ascoltatore profano, non a quello professionale che ben conosce le “strategie” correntizie in tema di nomine direttive e trasferimenti in seno al CSM. Ed infine il personale dell’amministrazione della giustizia. Che una volta per tutte si ragioni in termini di interesse pubblico e non solo sindacale, nella consapevolezza che ogni cambiamento radicale, per dimostrarsi incisivo ed efficiente nel tempo, ha bisogno della partecipazione di tutti gli addetti ai lavori, in primis proprio di coloro i quali fanno quotidianamente girare la macchina amministrativa. Conferma ne è negli sporadici esempi di concrete soluzioni a problematiche di carattere locale nate spesso dall’inventiva e dalla professionalità dei singoli addetti al servizio. Non vi può essere dubbio che anche in tale ambito occorrerebbe gratificare maggiormente, non solo da un punto di vista economico, chi si dedica con passione ed abnegazione al proprio lavoro, senza considerare, come purtroppo è consuetudine, tutti gli operatori allo stesso livello. In conclusione: non vi è nessuno che non manifesti la necessità ed urgenza di una concreta riforma del sistema giudiziario. Purtroppo alcuni lo affermano ben sapendo di mentire ed agiscono in senso contrario nel proprio ambito, in modo più o meno occulto. Un dato è però certo: l’esperienza insegna che non si riforma alcunché senza l’apporto di tutte le forze intellettuali, morali e materiali protagoniste del mondo giudiziario.
2002-2024 Graffiti-on-line.com - Tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. |