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L’integrazione culturale. Che fare?... 11/12/2009 - Raffaella Ginanneschi (Rieti) Il recente parere del Popolo svizzero, refrattario all’elevazione di nuovi Minareti, rievoca la obiettiva difficoltà del mondo occidentale a perfezionare una realtà sociale interattiva e culturalmente multivalente. Non si è trattato di un mero quesito architettonico ed ambientale, attesa la particolare funzione cui è deputata la tipica torre musulmana, “attaccata” non per questioni estetiche ma per i discussi richiami che vi promanano. Invero, la volontà popolare ha espresso un giudizio che non colpisce la libera espressione religiosa, ma incide su una particolare pratica, riconosciuta eccessivamente invasiva della sfera privata propria di tutti coloro che si trovano in prossimità dei luoghi sacri di raccoglimento islamico, rigorosamente maschile. All’uopo si segnala il consueto quanto ossessivo risveglio degli abitanti del quartiere Le Petit-Saconnex di Ginevra, consultabile via internet. E così, nonostante la tradizionale alienazione elvetica dallo scenario europeo, similari propositi referendari si sono ingenerati in altre coscienze nazionali quiescenti. Infatti, d’un tratto appare riaffiorato quell’impulso europeo di affermazione identitaria cristiana, rimasto inispiegabilmente latente a seguito della ipocrita svista al momento fondativo della Costituzione. Ma il vivere democratico e civile si manifesta attraverso la strenua difesa, libera e maggioritaria, degli aspetti culturali di cui è intriso profondamente uno Stato “laicòs”, per l’appunto, di quel popolo scevro di potestà sacre e profane. Pertanto, una estrema tolleranza, ovvero, l’arrendevolezza ad anomale sopportazioni, costituirebbe il riconoscimento di speciali facoltà in favore di una minoranza etnica a discapito di altri gruppi, titolari di altrettante pretese. Tuttavia, una società pluralista, ma non rappresentativa del multiculturalismo, è diretta ad operare una integrazione intesa come giusto contemperamento della volontarietà di tutti i comportamenti, individuali e collettivi, improntati al rispetto dei diritti e dei doveri sanciti dalla legge statale e dall’autoctono comune sentire. D’altra parte, le libertà del culto musulmano si possono esprimere anche senza le cinque chiamate del muezzin, le quali, oltreché apparire inconciliabili con l’eventuale e contestuale suono di campane, scandiscono una tempistica che sottende una dogmatica estranea al nostro modus vivendi, il quale esprime una complessa somma evolutiva, derivante anche dalle apicalità proprie dell’Umanesimo, del Rinascimento e dell’Illuminismo. Perciò, nel nostro Paese, all’innalzamento delle Moschee di Roma e di Segrate, rispettoso della estensione delle Basiliche cattoliche, seguirà la realizzazione di un’altra struttura islamica a Genova (vanto della Giunta odierna), adeguata necessariamente alla dimensione sociale e territoriale nella quale si inserisce. Quindi, nessun minareto funzionante, parola del Sindaco Marta Vincenzi, più schietta di quei colleghi riformatori catalani che hanno subordinato la creazione di nuovi centri religiosi all’osservanza di severe norme predisposte per scongiurare l’inquinamento acustico…
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