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Ancora sull’integrazione culturale E’ possibile una soluzione? 21/05/2010 - Raffaella Ginanneschi (Rieti) Le ricerche e i dibattiti, sempre più frenetici sulle dimensioni etiche del problema dell’immigrazione profilano l’approssimarsi di un altro ciclo “stagionale”, con inevitabili incognite su tristi dinamiche più o meno sommerse. Peraltro, le contorte disquisizioni in tema di differenziali demografici non conducono alla individuazione di un indicatore certo e idoneo a lumeggiare la concreta questione dell’integrazione; infatti, l’apertura socio-economica del Paese ospitante è proporzionata anche alle condizioni e alle opportunità in cui esso versa. E’ necessario, quindi, decantare una prospettiva pluralistica, tenendo conto che le esigenze di inserimento sono contraddistinte da variegate aspettative, non rappresentative solo di curiosità folkloristiche, come ad esempio le patetiche scuole di danza del ventre, elevate a significativi momenti etnici di formazione e di confronto. Conseguentemente, non tutti i nazionali sono disposti ad assimilare atipicità, tanto più in un Paese (e non solo nel nostro) in cui frequentemente la nostra attività forense è fondata anche su ineluttabili controversie tra consanguinei, condomini o vicini di casa; né tutti i migranti intendono l’integrazione come assimilazione culturale e abbandono di valori originari qualora stridenti con le prescrizioni normative autoctone. Pertanto, si dovrebbe auspicare con maggior decisione un riscontro bipartisan sulla proposta di legge delega al Governo n. 2138 per l’istituzione dell’albo dei Mediatori Culturali a livello nazionale, idoneo a contribuire concretamente a ridurre ovunque atteggiamenti di ostilità e derive di intolleranza, consentendo all’extracomunitario l’acquisizione di una consapevolezza omnicomprensiva. Infatti, la inoperatività di competenti operatori provinciali importa sovente l’impedimento, per colui che entra in Italia per lavoro stagionale il secondo anno consecutivo, di fruire della possibilità di un lavoro subordinato alternativo, con la conversione del permesso di soggiorno stagionale in un permesso per motivi di lavoro subordinato non stagionale o per studio e formazione professionale ai fini di un lavoro autonomo, nel rispetto di tutti i termini di legge e nell'ambito delle quote previste nel decreto di programmazione transitoria dei flussi (Circ. Ministero Lavoro n. 14 del 14/40/2010; D.P.C.M. 1° aprile 2010; art. 24, co.4, T.U. Immigrazione Turco-Napolitano, D.Lgs. n. 286/1998). Ciò nonostante, appare arduo scongiurare la deprecata elusione della legge connessa allo sfruttamento della forza-lavoro da parte della criminalità organizzata, incoraggiata anche dalla consueta omertà delle comunità e delle Istituzioni locali. Talvolta si crea una esigenza integrativa dello stesso lavoratore stagionale paradossalmente distorta e strumentale alla realizzazione di obiettivi materiali specifici, avulsi da intenti di coesione sociale e collimanti, tra l’altro, con gli interessi di caporalato. Una miglior valorizzazione dell’attività professionale di mediazione consentirebbe anche una più proficua interrelazione sociale tra persone e realtà diverse, in un’ottica di decentramento e di coinvolgimento delle Regioni, Enti locali, Associazionismo e Società civile del territorio, nei limiti definiti anche di recente dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 134/2010). Peraltro può rientrare nelle stesse competenze regionali la regolamentazione degli ambiti attinenti al diritto allo studio o all’assistenza sociale, alla predisposizione di compiti di osservazione e monitoraggio del funzionamento dei centri di identificazione e di espulsione, senza peraltro contrastare la disciplina statale e secondo modalità tali da impedire indebite intrusioni, previo accordi con le prefetture (cfr. Corte Cost., n. 300/2005). Tuttavia, è difficile ancora riscontrare quella gradata e razionale integrazione che dovrebbe già perseguire l’Autorità Amministrativa avvalendosi della valutazione discrezionale delle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale. Infatti, l’inserimento sociale è ritenuto legittimo allorquando l’Amministrazione ritenga positivamente ogni requisito, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti (cfr. TAR del Lazio, Sez. II quater, Sent. n. 11771/2009). Appare quindi apprezzabile l’impegno di quei datori di lavoro decisi per la regolarizzazione delle posizioni lavorative, sebbene la efficace gestione delle relative procedure amministrative comporti la proroga dello stato di emergenza al 31 dicembre 2010 prevista dal D.P.C.M. 19/11/2009 per fronteggiare l’afflusso di extracomunitari nel territorio nazionale. E ciò a prescindere dalla influenza, in alcuni dei migranti coinvolti, dei cosiddetti push-factors, cioè dei fattori espulsivi contingenti nel proprio Paese d’origine, e dei copiosi dinieghi pronunciati sulle richieste di rifugio politico in Europa nel 2009, secondo quanto dichiarato da Eurostat. Ciò nonostante la imminente predisposizione di provvedimenti governativi atti a rendere operativo il Piano Nazionale per l’integrazione nella sicurezza e denominato “Identità e Incontro”, dovrebbe rappresentare la linea guida per la creazione di un equilibrio complessivo, smentendo lo slogan sindacalista che decreta una Italia ferma senza immigrazione, ed attuando, invece, quel “lento e paziente” percorso di reciprocità tra persone e culture invocato recentemente dal ghanese Card. Turkson. E’ proposta, così, la versione rivisitata dell’accordo già previsto dall’art. 4bis del T.U. Immigrazione che, unitamente a un sistema di crediti, impegnerà lo straniero, all’atto della richiesta del permesso di soggiorno, a conseguire innanzitutto (entro due anni) la conoscenza elementare della lingua italiana, requisito già previsto per i richiedenti il soggiorno CE di lungo periodo (art.1, co. 22, lett. i), L. n. 94/2009 cit.). La frequenza di un corso di educazione civica, inoltre, sarà ritenuta necessaria per l’apprendimento non solo dei principi della legislazione italiana, ma anche degli usi, dei costumi della nostra vita civile e del rispetto del diritto-dovere dell’educazione ai figli nella scuola dell’obbligo. Insomma, l’Italia si sta adeguando al modus operandi proprio degli altri Paesi membri, sebbene l’ascendenza dei punti di riferimento mitteleuropei comporti inevitabilmente resistenze locali, non agevolmente superabili dal proselitismo multiculturale non sempre diretto a favorire spontanee reciprocità.
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