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OLIO D’OLIVA L’ORO DEL MEDITERRANEO Fernand Braudel ha scritto: ”La dove finisce l’olivo finisce anche il Mediterraneo” 30/09/2013 - Massimo Iacopi (Roma) Al rientro dalle vacanze, ricomincia l’ora delle buone decisioni … dietetiche. Ma anche l’occasione per ritornare sui benefici del frutto emblematico di una civiltà. Proprio come sarebbe stato nell’isola di Creta, circa 3500 anni prima della nostra era che è stato scoperto l’uso dell’olivo per uso domestico. Ne sono prova la scoperta di numerose anfore dell’epoca destinate alla conservazione dell’olio. Ma un gran numero di lampade in alabastro, in marmo, oppure in materiale meno nobile come l’argilla, così come delle presse, dei silos di stoccaggio forniscono ampia testimonianza di una vera e propria civiltà dell’olivo. Le olive venivano allora raccolte a mano, i frutti frantumati nel mortaio e la pasta così ottenuta era posto in dei sacchi e spremuta. Questa tecnica per ricavare l’olio verrà mantenuta in tutta l’area del mediterraneo fino agli albori della civiltà industriale, ma essa risulta ancora praticata nei piccoli mulini individuali e comunali, sia nel Maghreb che nell’interno dell’Anatolia. I Fenici adottano l’uso dell’albero dell’olivo più o meno nello stesso periodo di Creta ed è senza dubbio a loro che se ne deve l’introduzione in Egitto. In questo paese l’olivicoltura è attestata intorno al -1500 e l’olio viene utilizzato nelle offerte agli Dei ed ai Faraoni e come solvente per numerosi ingredienti per la composizione di balsami e di unguenti. La sua introduzione nella farmacopea egiziana ne costituisce per diversi secoli, un prodotto terapeutico di primo piano. Verso il -1600 -1500, l’olivicoltura si sviluppa in Grecia, senza che l’olio si sia troppo diffuso se non sotto forma di offerte o come componente di unguenti. Il prodotto evocato da Omero è probabilmente un prodotto di importazione. Secondo le leggende del tempo sarebbe stato il mitico Re Cecropo d’Atene che avrebbe portato la prima pianta d’olivo dall’Egitto, piantandola sull’Acropoli. Ma la tradizione greca riporta anche un’altra leggenda narrata da Pausania nella sua Periegesis. Due degli Dei dell’Olimpo si disputavano l’egemonia sull’Attica e su Atene, a quel tempo denominata Cecropia. Uno era Poseidone, padrone delle terre e delle acque, l’altra era Atena, figlia di Zeus e Dea della Ragione. Le due divinità decisero che quello dei due che avesse fatto la più eccezionale prodezza sarebbe stato il vincitore. Il Dio del Mare colpisce quindi l’Acropoli con il suo tridente, facendone sgorgare un bacino di acqua salata. Atena da parte sua colpisce invece una roccia, facendone nascere il primo olivo, tutto coperto di frutti, ottenendo in tal modo la vittoria finale. Ed è proprio in omaggio a questa prodezza che Eretteo, il Re di Attica, successore di Cecropo, chiamerà la sua capitale Atene ed erigerà un tempio sull’Acropoli, l’Erecteion, distrutto poi dai Persiani, nel quale veniva conservato il famoso olivo, la statua d’Atena, il bacino di acqua salata e la roccia colpita dal tridente di Poseidone. Nella Genesi, mentre la terra era ricoperta dalle acque del Diluvio, Noé invia una colomba per conoscere la stato della situazione circa l’abbassamento del livello delle acque. E dopo un certo periodo di tempo l’uccello ritorna con un ramoscello d’olivo nel becco, diventato poi segno universale del legame fra Dio e gli Uomini. Un simbolo di pace che è stato ripreso per emblema dalle Nazioni Unite. Per contro, a parte le leggende, sembrerebbe che l’olivo si sia definitivamente fissato nella penisola greca al tempo di Solone (-640 -558), che è stato il personaggio che ha promulgato le leggi destinate a regolarne la coltura. Poco tempo dopo Eschilo qualifica la località di Samo, nei suoi scritti, come “l’isola degli olivi”, fatto che dimostra altresì che anche tutte le altre isole dell’Egeo si dedicavano già a questa coltura. L’olivo arriva in seguito, in un periodo decisamente più recente anche nella penisola italiana, grazie alla fondazione di colonie greche e fenicie ed in effetti Plinio il Vecchio afferma che l’olivo era sconosciuto nel mondo romano al tempo dei Tarquini (fine del -7° secolo inizi del -8° secolo). In questo caso sono le virtù terapeutiche dell’olio che costituiscono la carta vincente. Viene utilizzato nelle palestre per massaggiare gli atleti prima degli esercizi, al fine di evitare stiramenti muscolari, i crampi ed i raffreddamenti repentini. L’olio d’oliva è talmente rinomato che, una volta raschiato sul corpo dell’atleta con l’aiuto di uno striglio, veniva rivenduto a prezzo d’oro per le sue virtù curative, proprio perché “rinforzato” dal sudore degli atleti più virili, come ne parlano diffusamente Dioscoride e Plinio. L’olio è ugualmente utilizzato come base dei profumi. L’olio profumato, destinato agli uomini ed alle donne, entra in tutti gli interni, sia banchetti come nelle Terme e diventa un offerta obbligata agli Dei. I Focesi dello Ionio avrebbero introdotto a loro volta l’olivo in Francia, fondando Massilia (Marsiglia) nel -600 e da questa città la coltura dell’olivo si espande ai territori circostanti in particolare in Linguadoca (la provincia romana Narbonense). L’olio presente nei templi, nei bagni pubblici e gli interni delle case, diviene anche la principale sorgente di illuminazione, fatto che consente di lavorare o di banchettare anche dopo il cadere della notte. Ma è a partire dal 16° secolo che l’olivicoltura assume tutta la sua dimensione, proprio nei momenti in cui il prodotto passa dalla coltura autarchica della consumazione familiare e locale a quella degli scambi commerciali di maggiore respiro. Questi diventano ancora più importanti perché l’olio risulta un componente indispensabile alla fabbricazione del sapone. Questo materiale esisteva già nel -9° secolo (miscuglio di olio e di ceneri lavate), ma prende progressivamente il suo sviluppo fino a diventare una fiorente produzione, nel caso del sapone di Marsiglia, nel 18° secolo. Ma l’olio è altresì un prodotto prezioso per l’attività tessile. I tessuti di lino e di lana, ruvidi, rigidi o irsuti, vengono lisciati ed ammorbiditi grazie all’olio. Tutti i grandi paesi produttori di panni - l’Inghilterra ed i Paesi Bassi in particolare - importano l’olio per la loro industria tessile. I residui della pressatura dell’olio risultano necessari ai trasporti, perché servono da ingrassaggio degli assi e delle ruote. Essi vengono anche utilizzati per l’ingrasso del bestiame, specialmente dei suini. Per quanto concerne il nocciolo questo viene impiegato come combustibile per il riscaldamento o, una volta stritolato, commercializzato nell’industria chimica e metallurgica. E’ solo dopo le scoperte del nuovo mondo che i Portoghesi e gli Spagnoli portano l’albero in America centrale e meridionale, nel Messico, nel Cile, in Argentina, nel Perù e nelle Antille. In tale quadro i missionari francescani lo introducono in California nella metà del 18° secolo e, successivamente, i coloni lo portano seco in Africa del Sud, in Australia, nella Nuova Zelanda e nelle isole dell’Oceano Indiano. Vediamo ora l’aspetto sacrale dell’olio. Esso entra nella composizione del Sacro Crisma, che serve per le unzioni rituali. L’Antico Testamento nel Libro dell’Esodo ne fornisce la ricetta: “Procurati 500 sicli di mirra vergine, la metà di questo peso di cinnamomo odorante, ovvero 250 sicli e 250 sicli di giunco odorifero; quindi ….. ed un quartuccio (setiere) di olio d’oliva. Con questo tu preparerai il Santo Crisma”. Questo balsamo sacro serve ad ungere l’Arca dell’Alleanza, gli altari, la tavola ed i suoi strumenti, il gran Sacerdote ed i suoi assistenti. Gli antichi Ebrei attendono il Messia, che in ebreo significa “l’unto del Signore” (Kristos in greco). Il Cristo si raccoglie prima della Passione in un giardino ai piedi del Monte degli Olivi e sarà arrestato in questo luogo che Marco e Matteo chiamano Geth Semani, nome aramaico che significa “pressa per l’olio”. L’unzione con l’olio d’oliva consacrato ricorre in numerose cerimonie della Chiesa Cristiana, sia essa cattolica o ortodossa: Battesimo, Cresima, ordinazione dei preti o estrema unzione. Nel Medioevo serviva anche per la consacrazione dei re o degli Imperatori. Anche per i Mussulmani l’olivo ha un carattere sacro. Nel Corano sta scritto: “Dio è la luce del cielo e della terra. Egli illumina come una lampada accesa nel vetro ed il sfavillio assomiglia a quello di una stella. La sua luce viene dall’albero benedetto, da questo olivo che non è né dell’Oriente, né dell’Occidente, del quale l’olio si infiamma al minimo avvicinarsi del fuoco e produce dei raggi sempre rinnovati. Attraverso di essa Egli conduce chi a lui piace”. Secondo stime attuali sembra che nel mondo si coltivino circa 750 milioni di olivi. Tuttavia, nonostante questa disseminazione a livello mondiale, il 95% della superficie coltivata ad olivo si trova nell’area del Bacino del Mediterraneo e la Spagna ne è il suo più importante esportatore con circa un quarto del commercio mondiale, seguita dalla Turchia con il 2% del mercato. I più grandi produttori di olio nel mondo risultano gli Spagnoli e gli Italiani, mentre i Greci sono i più forti consumatori con 20 litri per abitante/anno seguiti dagli Spagnoli e dagli Italiani con una decina di litri a testa. La Francia, che pure è un paese mediterraneo risulta un basso consumatore di olio per abitante con appena un litro d’olio a testa, ma questo dato è conseguente al fatto che nel nord della Francia non arriva la coltura dell’olio ed in queste regioni l’abitudine della gente é orientata decisamente verso il burro e gli oli di semi. Nella maggior parte dei paesi mediterranei l’olivicoltura resta il campo dei piccoli produttori. Gli oliveti si estendono dal livello del mare sino ai 600 metri di altezza, limiti al di là del quale l’albero non cresce. Questa coltura estesa particolarmente sui pendii o organizzata su terrazze sovrapposte, sostenute da muretti, consente di poterla praticare anche su pendii scoscesi come in Liguria. Con una dozzina di alberi in produzione, che forniscono ciascuno dai 15 ai 50 chili di frutta, si può agevolmente soddisfare una consumazione di tipo familiare, mentre il resto può essere portato al molino. La raccolta si effettua in inverno, ad eccezione delle varietà precoci, sia per “bacchiatura”, sia a mano. Di norma oggi il recupero dei frutti avviene attraverso delle reti poste sotto agli alberi, al momento della raccolta. Nel 1800 la coltura dell’olivo contribuisce notevolmente allo sviluppo economico della Terra di Bari, nella cui provincia un’interrotta selva di oliveti copriva oltre il 42% del territorio. Nello stesso periodo la produzione di olio conosce sensibili incrementi e miglioramenti grazie all’introduzione ed alla rapida diffusione del torchio meccanico ad opera del provenzale Pietro Ravanas. L’innovazione del torchio meccanico porta rapidamente al raffinamento degli oli, ormai quasi tutti da tavola, al miglioramento delle loro qualità organolettiche. Anticamente si faceva seccare il prodotto per farne evaporare l’acqua. Oggi vengono invece passate nella centrifuga subito dopo la pressatura ed inoltre la pressatura, per aver un olio di qualità, deve essere effettuata nella 24-48 ore dopo la raccolta, per evitare dei processi chimici che si producono sotto la scorza del frutto a seguito della raccolta. Dopo aver eliminato il frutto dalle sue impurità esterne per mezzo di una lavatura a freddo, le olive vengono poi scaricate in un molino per la loro frantumazione. Questa pasta mista di polpa e noccioli che ne deriva viene quindi impastata e successivamente ripartita su dei panieri in fibra intrecciata (canapa, cocco o nylon) di forma rotonda (friscoli) e sottoposta a pressione. Il liquido che ne deriva viene sottoposto all’azione della centrifuga che consente di eliminare l’acqua e si ottiene infine un bel liquido verde dorato, spesso ed odoroso, il puro succo d’oliva. Da gustare, naturalmente, ma con …. moderazione.
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