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UN FATALE CONCATENAMENTO DI EVENTI Così ha avuto inizio la 1^ Guerra Mondiale 28/11/2014 - Massimo Iacopi (Guidonia) Dopo i fiumi di sangue della Guerra, ben più consistenti fiumi di inchiostro sono stati sparsi per chiarire le origini del conflitto. Tuttavia il mistero della sua origine non appare completamente svelato. Più le ricerche avanzano, meno le cause del conflitto sembrano chiare. All’inizio dell’estate del 1914, l’Europa si trova al massimo della sua potenza politica, materiale culturale. Nel corso dei quindici anni precedenti, le grandi potenze hanno saputo preservare la pace nonostante diverse crisi importanti. Nello stesso periodo sono stati persino ottenute delle limitazioni degli armamenti in occasioni di conferenze internazionali. Ben prima dell’anno 2000, è già in marcia una globalizzazione che sembra garantire una pace duratura. Nella “Grande Illusione”, un’opera del 1913, dal titolo involontariamente premonitore e venduta in più di 1 milione di esemplari, l’economista Norman Angell riassume le opinioni dei grandi decisori dell’epoca: “Le finanze internazionali sono oggi interdipendenti a tal punto e legate al commercio e l’industria che la potenza militare e politica non può in realtà fare nulla (1)!” Ed é quello che si sarebbe prodotto a partire dal fatidico 28 giugno 1914. Quel giorno nessuno in Europa pensa alla guerra, meno che meno a Parigi a Longchamp dove si disputa il Grand Prix con un parterre di donne eleganti e con una numerosa presenza di ministri e diplomatici nella tribuna ufficiale. Ma fra la terza e la quarta corsa, un aiutante di campo porge un dispaccio al Presidente della Repubblica Raymond Poincaré. Alla lettura il personaggio impallidisce e successivamente tende il plico al Conte Szecser, ambasciatore dell’Impero Austro ungarico in Francia. Il diplomatico viene colto dal viva emozione, esita un istante, poi lascia la tribuna. La ferale notizia si propaga rapidamente: l’erede degli Asburgo, l’arciduca Francesco Ferdinando e la sua sposa sono stati assassinati a Sarajevo ! Un mese più tardi dal doppio colpo di pistola di Sarajevo, l’Europa precipita nella più terribile delle guerre: 9 milioni di morti, delle sofferenze inaudite e degli sconvolgimenti di una ampiezza impossibile solo ad immaginare. Il conflitto provoca a catena la Rivoluzione russa nel 1917, poi la scomparsa dell’Impero d’Austria – Ungheria, della Germania imperiale, dell’Impero Ottomano e lo smembramento completo dell’Europa centrale. Le conseguenze dirette saranno l’ascesa dell’hitlerismo (Nazismo) nel 1933, la seconda Guerra Mondiale nel 1939 e la fine della civiltà europea oltre. ad uno scossone generale a tutto il mondo. Nessuno di questi eventi era scritto negli astri. C’è voluto un eccezionale concorso di circostanze ed il detonatore di un attentato fortuito, dalle conseguenze smisurate. Nell’estate 1914 l’equilibrio fragile e complicato dell’Europa, gli accordi fra le Cancellerie ed i calcoli degli uomini politici, sono stati superati in pochi istanti da un complotto di un oscuro gruppo di ufficiali e giovani di un oscuro paese balcanico, che nulla sapevano della politica mondiale e che non volevano altro che una sola cosa: soddisfare il loro odio contro l’Impero Austro Ungarico. Essi erano membri della Tsrna Rouka, la «Mano Nera», una organizzazione terrorista che rivendicava nel giro degli ultimi tre anni almeno 120 assassinii. L’anima dei congiurati era il colonnello Constantino Dimitrievich, 37 anni soprannominato Apis. Undici anni prima aveva fatto parte di quelli che avevano preso parte attiva nell’assassinio del re Alessandro 1° Obrénovich e della Regina Draga, favorevoli all’Austria. Come atto di riconoscenza, il nuovo re Pietro 1°, della concorrente dinastia dei Karageorgévich, avversario risoluto degli Asburgo, aveva promosso Apis a Capo dei Servizi Informazioni dello stato maggiore serbo. Dopo il 1912 l’ardore di Apis si era concentrato contro l’Austria, nella provincia della Bosnia Erzegovina, rivendicata dalla Serbia. La sua convinzione di ricorrere allo strumento del terrore era incoraggiata dall’addetto militare russo a Belgrado, il capitano Artamanov, che prodigava sussidi ed assicurazioni: “Non abbiate paura. Se le vostre azioni spingono l’Austria alla guerra contro la Serbia, la Russia non mancherà di intervenire (2)”. Dall’inizio del 1914, il colonnello Dimitrievich pensava ad un grande colpo: assassinare l’erede al trono imperiale austriaco, l’arciduca Francesco Ferdinando. L’Impero Austro Ungarico, dal passato glorioso, era ormai entrato nel suo declino, ben rappresentato dall’immagine del suo imperatore, l’ottantaquattrenne Francesco Giuseppe. Tette le vicissitudini della vita sembravano essersi accanite con questo sovrano, degno, austero, ma dalle vedute antiquate. Sotto il suo regno, cominciato nel sangue nel 1848, l’Austria era stata duramente battuta per ben due volte, nel 1859 dalla Francia con l’appoggio degli Italiani e nel 1966 dalla Prussia a Sadowa. Nella sua famiglia si assiste nel corso degli anni ad una serie di drammi (3). Il rispetto che circondava il vecchio imperatore, un'autorità bonaria ed il peso delle abitudini erano diventati insufficienti a mantenere la coesione del venerabile impero, dove si affrontavano dei popoli ostili ed infiammati dalle passioni nazionali. Il solo uomo forse capace di cambiare il corso delle cose era l’erede al trono, il nipote dell’imperatore. l’arciduca Francesco Ferdinando. Questi, rude, energico, dotato di fiuto politico, a 51 anni era al meglio della sua forma. Grande cacciatore, militare come tutti i membri dell’antica nobiltà, egli prendeva seriamente le sue funzioni di Ispettore Generale dell’Imperiale Regio Esercito ed era molto seguito dal corpo degli ufficiali. L’erede al trono, uomo ponderato, era tutt’altro che un liberale orientato nel verso del vento di moda. Era uno spirito audace, una sorta di rivoluzionario dall’alto alla maniera del Bismarck. Egli era cosciente dei pericoli che correva l’Impero e si sentiva in condizione di apportare le necessarie riforme. L’arciduca non nascondeva le proprie intenzioni nel momento in cui sarebbe salito al trono, specie nell’idea di associare le popolazioni slave dell’Impero alla gestione di una monarchia rinnovata. Il suo obiettivo era quello di riconciliare i nazionalisti ostili in una federazione moderna. In tale contesto l’arciduca, per i fanatici che sognavano la costituzione di un grande stato degli Slavi del Sud, rappresentava un nemico pericoloso. Nel 1914 la Serbia era uno di questi stati balcanici recenti, come la Bulgaria, la Romania, la Grecia, l’Albania o il Montenegro, soggetti per diversi secoli alla dominazione turca. I Serbi si erano liberati nel 1878, ma nel 1912 erano entrati in guerra contro i Bulgari, per la questione macedone. Belgrado, uscita vincitrice da questo scontro, vede crescere delle ambizioni senza limiti nella regione. Incoraggiati dai Russi, i Serbi, alla maniera del Piemonte per l’Italia, pensavano di ricostituire la Grande Serbia del 14° secolo, un territorio quattro volte più grande del regno del 1914. Un’ambizione pericolosa. I territori desiderati, appartenevano quasi tutti ad una grande potenza, appunto l’Impero d’Austria Ungheria. La loro riunione non poteva dunque essere realizzata che a seguito di una conflagrazione generale in tutta la regione. La propaganda serba si esplicava particolarmente in Bosnia Erzegovina, posta sotto l’autorità austriaca dal 1878. Le guerre balcaniche del 1912 e 1913 avevano contribuito a far crescere la tensione, tanto più che la Russia, sonoramente battuta dai Giapponesi sul mare ed in terra nel 1904 - 1905, aveva perduto le proprie possibilità di espansione verso il Pacifico ed era costretta a rivolgersi nuovamente verso i Balcani. In questa politica San Pietroburgo poteva contare con la solidarietà degli Slavi del sud per minare l’Impero ottomano, raggiungere i tanto bramati stretti e quindi il mare libero. In questa politica la Russia incontrava però due rivali importanti: l’impero austriaco da un punto di vista politico e quello Tedesco da un punto di vista economico. Nel 1878 e poi nel 1908 la Russia era stata costretta a riconoscere la sovranità austriaca sugli antichi territori turchi della Bosnia Erzegovina. Ma questo evento non aveva in alcun modo raffreddato gli ardori del clan panslavista della corte di San Pietroburgo, che aveva alla sua guida lo zio dello Zar, il granduca Nicola Nicolaievich, comandante in capo designato dell’esercito russo in caso di guerra. Questi, gigante poco sensibile alle sfumature, specie di satrapo alla moda moscovita, era portato all’incandescenza dalla moglie e dalla cognata, le principesse montenegrine, che avevano fatto di lui il cognato del Re di Serbia. A Sarajevo, capitale della Bosnia, come a Belgrado, si sapeva già da un mese che l’arciduca Francesco Ferdinando doveva assistere, all’inizio dell’estate, alle grandi manovre delle truppe nell’area, proprio nella sua funzione di ispettore imperiale. Ed è proprio per tale occasione che il 28 giugno 1914, per una serie di combinazioni incredibili, la coppia arciducale viene assassinata da Gavrilo Princip, un giovane terrorista della “Mano Nera” di appena 20 anni (4). Veniva pericolosamente a mancare il solo uomo che poteva evitare lo scontro diretto fra Austria e Serbia. Nel corso delle settimane seguenti, i dirigenti austriaci sembrano come paralizzati. In preda alla confusione sono incapaci di esaminare freddamente l’evento e le sue conseguenze, quasi come il resto della cancellerie europee. A bocce ferme, si è voluto trovare nel nazionalismo esacerbato dei popoli europei la causa primaria della guerra. E’ indubbiamente certo che in Germania ed in Francia le passioni nazionaliste raggiunsero nei primi mesi della guerra una intensità quasi patologica, ma non è stato, né nella strada, né con la stampa che si è deciso lo scoppio della guerra. La decisione è stata presa nel silenzio attutito dei palazzi governativi, sotto la pressione degli stati maggiori e dal gioco senza regole della diplomazia. Allorché l’arciduca viene assassinato, l’Austria Ungheria vuole sfruttare l’evento per regolare con le armi i suoi vecchi conti con la Serbia. Di fronte a Vienna troviamo la Russia che, umiliata nell’affare bosniaco nel 1908 e che ha ricostituito le sue forze dopo la disfatta in Manciuria nel 1905, appare decisa questa volta ad andare sino in fondo e fino alla guerra con l’Impero degli Asburgo. E sono proprio questi due stati che vogliono coinvolgere i loro rispettivi alleati, la Germania e la Francia e quindi la Gran Bretagna, in un conflitto di cui nessuno ha saputo immaginare e valutare le conseguenze. A Vienna, morto l’arciduca non resta che il vecchio imperatore che, vecchio, intristito dalle disgrazie, dai lutti e dalle delusioni, non ha più la forza di dirigere gli avvenimenti e si rifugia nel fatalismo. L’Austria compensa il suo immobilismo politico con una retorica guerriera. Da lungo tempo il Capo di SM Conrad von Hotzendorff considerava l’ipotesi di una guerra preventiva contro la Serbia, senza peraltro averne i mezzi adeguati. Durante la crisi sarà uno dei fautori della mano dura su Belgrado, senza preoccuparsi delle conseguenze nel resto dell’Europa. Il primo ministro austriaco, Berchtold, è un vanesio che la sua sufficienza porterà alle peggiori conseguenze. A San Pietroburgo, il ministro degli esteri russo, Sazonoff, panslavista fanatico, è un instabile e cede facilmente all’ebbrezza di una mistica guerriera. Questi, lungi dal controllare i piani bellicosi del proprio stato maggiore, addirittura li incoraggia. In una situazione che reclama temperamenti di eccezione, il destino dei due principali protagonisti è affidato ad un senza cervello e ad un neuropatico, che si lasciano spingere nel baratro della guerra da capi militari avventuristi. La sorte ha voluto in questa estate del 1914 anche la contemporanea mancanza in Europa di uomini di stato di alta levatura. In Francia Caillaux viene messo da parte a causa dell’omicidio di Calmette, perpetrato da sua moglie. In Germania il cancelliere Bethmann-Hollweg, come Gugliemo 2°, dopo aver incoraggiato l’Austria, sarà preso dallo spavento nel vedere arrivare la possibilità di una guerra generale, ma non avrà né l’energia di trattenere l’Austria a tempo, né la forza di opporsi alle pressioni di Moltke e del Grande Stato Maggiore tedesco. In Austria Ungheria il conte Tisza, Primo Ministro dell’Ungheria, spirito ragionevolmente ostile ad una guerra generale, non potrà far prevalere i suoi punti di vista e si inclinerà di fronte alla cecità politica di Francesco Giuseppe, sostenitore del Berchtold. Tuttavia, l’Austria dispone inizialmente di buone possibilità. L’odioso assassinio di Sarajevo ha suscitato l’orrore in tutta l’Europa, ma l’imperial-regio governo perde l’occasione per colpire forte e rapidamente per ottenere dei pegni sulla politica futura della Serbia. In effetti aspetta circa un mese per indirizzare un ultimatum confuso alla Serbia, dando ai suoi avversari il tempo di riprendersi. Dall’altra parte i dirigenti russi, escluso Nicola 2°, sono decisi a servirsi del pretesto serbo per distruggere l’Austria, principale ostacolo alle loro ambizioni nei Balcani. Queste due potenze riusciranno poi a coinvolgere i loro rispettivi alleati, la Germania, la Francia e l’Inghilterra per effetto dell’automatismo delle alleanze. Il ruolo dei dirigenti francesi è altrettanto problematico, Poincaré non vede certo con dispiacere l’ora di una rivincita contro al Germania. Come la maggior parte degli altri dirigenti europei, egli crede ad una guerra breve. In occasione del suo viaggio ufficiale a San Pietroburgo, dal 20 al 23 luglio 1914, egli incoraggia implicitamente l’aggressività del governo russo (5). Quanto all’ambasciatore di Francia, Paleologo, egli interpreterà a modo suo le istruzioni ricevuta da Poincaré il 24 luglio, mentre rientrava in Francia via mare, assicurando Sazonoff che la Francia era pronta a “fare il suo dovere di alleato”, cosa che sarà interpretata come un incoraggiamento alla mobilitazione generale della Russia, il 30 luglio 1914. Questa decisione mette fuoco alle polveri. Nell’ottica dell’epoca, la mobilitazione era un vero e proprio atto di guerra. Gli argomenti tecnici evocati con fervore dal Moltke, in occasione del Consiglio dei Ministri tedesco del 31 luglio, sono in gran parte legittimi, ma non giustificano l’alto ufficiale per i suoi aperti incoraggiamenti al bellicismo dei dirigenti austriaci. Lo stato maggiore tedesco vive nell’ossessione dell’accerchiamento da parte della Francia ad ovest e della Russia ad est. Se i Russi prendono vantaggio nella mobilitazione sui Tedeschi, il suo complesso sistema di radunata strategica rischia di vanificarsi. La Germania, costretta a battersi su due fronti contro due avversari che insieme dispongono di una superiorità schiacciante, può difendersi in un solo modo: attaccando. E lo deve fare con dei mezzi che si articolano sul terreno secondo un meccanismo di precisione, altrimenti tutto potrebbe essere vanificato. A fronte dell’accerchiamento franco-russo, i piani tedeschi si basano sulla distruzione preliminare di uno dei due avversari prima di potersi rivolgersi contro l’altro. Von Moltke il vecchio (1800 - 1891), il vincitore del 1871, prevedeva di attaccare prima la Russia. Schlieffen (1833 - 1913), il suo successore, decide di invertire il piano strategico, in quanto, a suo parere, l’immensa Russia gli appariva impossibile da vincere rapidamente. In tale contesto egli prevede di piegare la Francia nel giro di qualche settimana e successivamente di rivolgere tutte le sue forze contro la Russia, grazie all’attuazione del suo famoso Piano, adottato nel 1906 e che, ancora valido nel 1914, verrà male interpretato ed eseguito dal Von Moltke junior (6). L’ordine di mobilitazione generale della Russia sarà letteralmente strappato a Nicola 2° da Sazonoff e dal capo di stato maggiore Januchkévich il 30 luglio e diviene effettivo dalla mattina seguente. Vedendosi mortalmente minacciata, la Germania mobilita a sua volta il 1° agosto alle 4 del pomeriggio (7). Per applicare il Piano Schlieffen, occorre attaccare rapidamente la Francia, violando la neutralità belga, cosa che provocherà ineluttabilmente l’intervento dell’Inghilterra nel conflitto, conseguenza che i politici tedeschi subiscono senza discutere. Sebbene con minore capillarità dei Tedeschi, le altre potenze sono costrette alla stessa logica del sistema di mobilitazione di immensi eserciti di coscritti, con conseguenti enormi problemi di trasporti, d’incorporazione, di distribuzione di materiali, di istradamento e di schieramento, che impongono un tempo medio dai 15 ai 25 giorni. La decisione di mobilitare presa da una potenza rappresenta pertanto un pericolo mortale per i suoi avversari potenziali. Lo storico Giulio Isaac ha perfettamente riassunto gli interrogativi che si possono formulare a posteriori: “Si sarebbe potuta evitare la guerra se l’ordine di mobilitazione generale (russo) non fosse stato proclamato il 31 luglio 1914 ? Molto probabilmente no ! La mobilitazione generale russa rendeva la guerra inevitabile ? Certamente si !” (8). In tutte le capitali, in tutti i Consigli decisivi, gli uomini politici, in genere mediocri, cedono il passo ai tecnici ed in questo caso ai falchi ed ai militari. Questi non si appoggiano a dei criteri politici, ma si basano su dei criteri esclusivamente tecnici. A questo punto la deflagrazione diventa inevitabile ed in tale contesto si può pertanto concludere che lo scoppio della guerra del 1914 è stata la conseguenza del trionfo delle nuove “tecnostrutture” delle società europee sul pensiero e sui disegni dei politici. Sfortunatamente per l’Europa, i supposto progresso predicato dai fautori delle tecnostrutture potrà purtroppo essere perfettamente valutato solo alla luce dei suoi esiziali risultati finali. NOTE 1. Norman Angell ha ricevuto il premio Nobel per la pace. 2. Il processo di Salonicco, Delpeuch, Paris, 1927. 3. Bogdan H., Storia degli Habsbourg, Perrin, 2002. 4. Venner Dominique, Storia del terrorismo, Pygmalion, 2002. 5. Occorrerebbe esaminare più a fondo il ruolo di Isvolsky, ambasciatore russo a Parigi. Molto vicino a Poincaré, avendo a disposizione rilevanti fondi segreti che gli permettono di comprare compiacenze al più alto livello della stampa, egli alimenta una corrente d’opinione che abitua la Francia all’idea della guerra europea. 6. Conrad Philippe, Le Poids des armes. Guerres et conflits de 1900 à 1945, PUF, 2004. 7. La mobilitazione dell'Austria-Ungheria viene decisa il 31 luglio, alle ore 12.30. 8. Citato da Jacques Droz, Le Cause della Prima Guerra Mondiale, Le Seuil, 1973, p. 39. BIBLIOGRAFIA Bach André, Fusillés pour l'exemple, 1914 - 1915, Tallandier, 2003. Becker Jean-Jacques, Les Français dans la Grande Guerre, Robert Laffont, 1980. Beumelburg Werner, La Guerre de 1914 - 1918 racontée par un Allemand, Bartillat, 1998. Droz Jacques, Les Causes de la Première Guerre Mondiale, Le Seuil, 1973. Duroselle Jean-Baptiste, La Grande Guerre des Français, 1914 - 1918, Perrin, 1994. Junger Ernst, Orages d'acier, traduzione in francese, Christian Bourgois, 1995. Pedroncini Guy, Les Mutineries de 1917, PUF, 1967. Prost Antoine et Winter Jay, Penser la Grande Guerre, Le Seuil, 2004. Renouvin Pierre, La Crise européenne et la Grande Guerre, PUF, 1962. Rocolle Pierre, L'Hécatombe des généraux, Lavauzelle, 1980. Schirmann Léon, Été 1914. Mensonge et désinformation. Comment on a vend une guerre, Italiques, 2003. Soutou Georges-Henri, L'Or et le Sang. Les buts de guerre économiques de la Première Guerre mondiale, Fayard, 1989.
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