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Un’Avanguardia “maledetta”

SE MARINETTI ADERISCE AL FASCISMO IL FUTURISMO VA IN PURGATORIO

Il primo movimento d’avanguardia europeo viene rivalutato negli ultimi venti anni


30/11/2014 - Massimo Iacopi


(Guidonia)

NOTA

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Il Futurismo italiano ha conosciuto per lungo tempo in una specie di purgatorio, perché il suo fondatore, Marinetti, ha aderito al Fascismo! Da una ventina d’anni, però, l’interesse per quello che è stato il primo movimento d’avanguardia europeo, è stato rivalutato. Sabato 20 febbraio 1909, i lettori del giornale parigino Le Figaro scoprono nel sue pagine un nuovo manifesto che non si proclama solamente letterario, quello del Futurismo. Il suo autore, Tommaso Marinetti (1866-1944), il mese precedente aveva cominciato a diffonderlo, da Milano, sotto forma di volantino, in italiano ed in francese ed attraverso la sua rivista, la Poesia. Il Figaro, luogo privilegiato dei dibattiti estetici, non aveva ancora mai pubblicato un “brulotto” di tale violenza. Per questo motivo, la redazione del giornale, in una piccola nota, prende le sue distanze nei confronti delle “idee particolarmente audaci” di Marinetti ed il suo “eccesso spesso ingiusto per le cose eminentemente rispettabili e, fortunatamente, ovunque rispettate”.

Un movimento rivoluzionario

Mai, in effetti, il furore iconoclasta non era stato spinto così avanti. Marinetti, in una specie di prologo eroico, evoca le circostanze che l’hanno condotto alla redazione del manifesto. Dopo una veglia, un gruppo di giovani si lanciano a tutta velocità alla guida di rutilanti automobili alla conquista di una nuova vita: ecco le caratteristiche del nuovo secolo, i suoi nuovi miti. Volendo evitare due ciclisti - simbolo di un modo di vita superato -, Marinetti ed i suoi compagni terminano la loro corsa dentro un fossato di una fabbrica. “A quel punto, con il volto mascherato dal buon fango di fabbrica, pieno di scorie metalliche, di sudori inutili e di fuliggine celeste (…) noi dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini “viventi” della terra”. Seguendo gli undici punti del manifesto, che esalta con un tono ditirambico, entusiasta fino al delirio, tutte le forme di violenza fisica, intellettuale e morale. “Noi vogliamo glorificare la guerra, unica igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle idee che uccidono ed il disprezzo della donna.” La terza parte del manifesto è consacrata alle possibili applicazioni dei principi futuristi, in primo luogo all’Italia, che deve smettere di vivere nella devozione al passato, quantunque glorioso, e fare, dopo la sua rivoluzione politica, anche la sua rivoluzione culturale. “Noi vogliamo liberare l’Italia dalla sua cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari”. Non esiteremo pertanto ad incendiare le biblioteche e ad inondare i musei. L’Italia soffrirà il lutto dei suoi capolavori, anche se gli stessi sono all’origine dell’arte occidentale. L’arte d’avanguardia, quella futurista, non può essere concepita se non sotto una forma di rivoluzione permanente, che integra costantemente il progresso della scienza e della tecnologia e che gioca nell’ambito della società lo stesso ruolo svolto dallo slancio vitale di Henri Bergson (1859-1941) nel contesto della natura (1). Il simbolismo era rimasto l’erede del romanticismo. Il mondo di Walt Whitman (1819-1892) e di Emile Verhaeren (1855-1916) era ancora quello del 19° secolo, incarnato dalla macchina a vapore, la locomotiva e lo steamer (piroscafo), animato dalla fiducia nel progresso ed il sogno di una pace universale. Il Futurismo, da parte sua si volge risolutamente verso il 20° secolo. Il mondo, al crescere della velocità, diventa sempre più piccolo. Da prima della fine del 19° secolo l’obiettivo del 100 chilometri/ora su ruota è stato superato. Qualche mese dopo la pubblicazione del Manifesto, Louis Bleriot (1872-1936) attraversa in aereo la Manica. Il telegrafo, il grammofono, il cinema, modificano la percezione dello spazio. “Dinamismo”, “Parossismo”, “Simultaneismo” ed altri movimenti letterari avevano tentato di tener conto di questi cambiamenti: il Futurismo vuole invece renderli radicali ed irreversibili. La dichiarazione di Marinetti viene accolta in un atmosfera di indignazione divertita. Il numero di aprile-luglio 1909 della rivista “Poesia” pubblica al suo interno tutta una serie di adesioni e di obiezioni. La maggior parte dei corrispondenti non nasconde alcune reticenze nei confronti delle formule distruttrici di Marinetti, ma riconoscono la necessità di un rinnovamento. Fra questi un poeta francese, autore drammatico di successo, Henry Bataille (1872-1922) che dichiara “Il nuovo secolo porta ancora il peso detestabile del romanticismo. … Nulla è più raro che quegli spiriti che se ne liberano completamente”.

Marinetti, cantore del nazionalismo

Lo stesso Marinetti ha messo del tempo ad affrancarsi dalla letteratura di fine secolo. Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, egli viene allevato nel culto della patria lontana e degli ideali del Risorgimento, concluso con la proclamazione del regno d’Italia nel 1861. I padre gesuiti francesi gli trasmettono una solida cultura letteraria. Seguendo i desideri di suo padre, egli effettua degli studi di diritto a Pavia ed a Genova, prima di fissarsi a Milano, la città più dinamica del giovane regno. Le sue prime pubblicazioni compaiono intorno al 1900 nell’Anthologie-Revue de France, pubblicata a Parigi ed a Milano e gli valgono l’incoronazione ai concorsi poetici dei “sabati popolari” di Catulle Mendes (1841-1909) e di Gustave Kahn (1859-1936). Marinetti diventa, a quel punto, collaboratore regolare delle riviste La Vogue, La Plume e della Revue Blanche e frequenta Jean Moreas (1856-1910), Albert Saman (1858-1900), Remy de Gourmont (1858-1915), ma anche Alfred Jarry (1873-1907), come anche i pittori Pierre Bonnard (1867-1947), Eduard Vuillard (1868-1940), Paul Serusier (1864-1927), Gustavo Moreau (1826-1896), James Ensor (1860-1949) e Toulouse Lautrec (1864-1901). Nel 1905 fonda, con i suoi amici Sem Benelli (1877-1949) e Vitaliano Ponti, la sua propria rivista letteraria, “Poesia”, che propone, in italiano ed in francese, o anche in tedesco, dei testi di Paolo Buzzi (1874-1956), Libero Altomare (alias Remo Mannoni 1883-1966), Enrico Cavacchioli (1885-1954), Gian Pietro Lucini (1867-1914), Luciano Folgore (alias Omero Vecchi, 1888-1966), Emile Verhaeren (1855-1916), Jules Laforgue (1860-1887), Alfred Jarry, Paul Fort (1872-1960), Arno Holz (1863-1929), Richard Dehmel (1863-1920), Richard von Schaukal (1874-1942) e molti altri autori, giovani o affermati, nella speranza di rompere il provincialismo nel quale è rinchiusa l’Italia.

Agli occhi di Marinetti, solo il verso libero può consentire alla poesia di accogliere i temi del mondo moderno. Dal 1905 egli pubblica il suo poema programmatico “All’automobile” e lancia un volantino nel quale, parafrasando Karl Marx (1818-1883), si richiama ad una poesia rivoluzionaria: “Idealisti, lavoratori del pensiero, unitevi per dimostrare come l’ispirazione, il genio, possano camminare di pari passo con il progresso della macchina dell’aeronave, dell’industria, del commercio, delle scienze e dell’elettricità.” In tal modo, Marinetti, da simbolista e cosmopolita, è diventato, fra il 1905 ed il 1908, un cantore nazionalista della vita moderna. E’ verso la fine del 1908 che gli l’idea di fondare una nuova scuola. Sembra che abbia esitato nella scelta dei termini fra “Futurismo” e quelli di “Dinamismo” o “Elettricismo”. I due ultimi avrebbero forse risposto meglio alle teorie del movimento; da un punto di vista della propaganda, il primo risultava sicuramente più efficace e Marinetti, che ha sempre evidenziato un vivo senso per la pubblicità, sceglie, appunto, quello di Futurismo.

Il successo viene dai pittori

Il Futurismo guadagna molto rapidamente del terreno. Tra l’altro, attraverso delle manifestazioni estremamente rumorose che prefigurano, per la loro violenza, le manifestazioni del dadaismo e del surrealismo. Il 12 gennaio 1910, Marinetti organizza una prima serata futurista al teatro Rossetti a Trieste, all’epoca città austriaca. Si trattava infatti di affermare i diritti italiani sulle terre irredente (2). Nei mesi seguenti, il 15 febbraio 1910, una nuova manifestazione al “Lirico” di Milano degenera in tafferugli, provocati dalle grida “Viva la guerra, abbasso l’Austria”, che si conclude con l’intervento della polizia. La terza serata ha luogo a Torino, l’8 marzo 1910; ai poeti si sono aggiunti i pittori per una “vera battaglia d’Ernani (3)”. In effetti, dal febbraio 1910 è stato lanciato il “Manifesto tecnico dei pittori futuristi”, firmato da Umberto Boccioni (1882-1916), da Carlo Carrà (1881-1966), da Luigi Russolo (1885-1947), dal perugino Gerardo Dottori (1884-1977), da Giacomo Balla (1871-1958) e da Gino Severini (1883-1966). Riprendendo i postulati di Marinetti, questi esprimono l’intenzione di integrare nella loro arte i simboli del mondo moderno e specialmente quelli che rappresentano la velocità: automobile, aereo, corridori, ecc.. L’anno seguente viene pubblicato un manifesto dei musicisti futuristi, poi il “Manifesto della scultura futurista”. Ben presto, arriva il turno degli architetti, dei cineasti, dei drammaturghi, senza dimenticare il “Manifesto della donna futurista”, redatto da Valentina de Saint Point (1875-1953), una bisnipote di Alphonse de Lamartine (1790-1869)… Ma sarà attraverso la pittura, ancora di più che attraverso i testi, in totale più di un centinaio di manifesti, tradotti in diverse lingue, che il movimento futurista si fa conoscere in Europa. Nel febbraio 1912, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini espongono a Parigi nella Galleria Bernheim-Jeune, non lontano dalla Madaleine. Fatto nuovo per l’epoca, le loro tele sono successivamente messe in mostra a Londra, Berlino, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, l’Aia, Monaco, Vienna, Budapest, Francoforte, Breslavia, Zurigo, Dresda. A Dresda, l’esposizione viene notata da Hugo Ball (1886-1927), che fonderà, nel 1916, a Zurigo, il Movimento Dada. Quando la mostra viene presentata a Berlino da Herwarth Walden (1879-1941), nella sua galleria “Der Sturm”, la rivista dallo stesso nome pubblica anche tutta una serie di testi futuristi. l catalogo del 1912 si rivela importante con una significativa dichiarazione degli “espositori al pubblico”: “Noi possiamo dichiarare senza vanteria che questa prima esposizione di pittura futurista a Parigi è anche la più importante esposizione di pittura italiana che sia stata offerta sino ad oggi al giudizio degli Europei”. Un po’ esagerata come affermazione, poiché, dopo il Giambattista Tiepolo (1696-1770), nel 18° secolo, la pittura italiana è sprofondata nell’accademismo. “Noi siamo giovani, - proseguono, riprendendo uno degli stereotipi futuristi ben noti - “e la nostra arte è violentemente rivoluzionaria”.  pittori futuristi hanno potuto scoprire le realizzazioni cubiste di Georges Braque (1882-1963) e di Pablo Picasso (1881-1973), esposte al Salon degli indipendenti del 1911; essi ci tengono, peraltro, a circoscrivere la loro originalità: “Essi (i cubisti) si accaniscono a ritrarre l’immobile, il congelato e tutti gli aspetti immobili della natura; essi adorano il tradizionalismo di Nicolas Poussin (1594-1665), di Jean Auguste Dominique Ingres (1780- 1867), di Jean Baptiste Camille Corot (1796-1875), invecchiando e pietrificando la loro arte con un accanimento passatista che rimane assolutamente incomprensibile ai nostri occhi. Al contrario, con dei punti di vista assolutamente avveniristici, noi ricerchiamo uno stile di movimento che non è stato mai tentato prima di noi”. enza entrare in questo contesto in dispute di anteriorità, si può semplicemente notare che il cubismo non si è preoccupato di inventare dei nuovi soggetti, ma si è concentrato su una nuova maniera di vedere un vaso di frutta, una bottiglia, una brocca d’acqua, il Futurismo, da parte sua, cerca di far entrare nella pittura le conquiste della vita moderna: l’elettricità, la vettura, l’aeroplano, la velocità, il rumore delle grandi città. Alla rete lineare delle composizioni cubiste, i futuristi oppongono un sistema di linee di forza in cui si articolano gli elementi della rappresentazione e della memoria, del visibile e dell’invisibile.

Elogio della guerra. In tal modo, Boccioni, nelle sue “Visioni simultanee” (1911), cerca di rendere l’insieme delle sensazioni visuali provate da due persone che osservano dall’alto di un balcone. Russolo, nei “Ricordi di una notte” (1911), comprime nello spazio del quadro i ricordi dei pensieri, ovvero dei sogni di una notte. Per quanto concerne Balla, egli mette a profitto, nel “Volo delle rondinelle” (1913), le acquisizioni della cromofotografia. Gino Severini, nella “Danzatrice in blù” (1912), frammenta il movimento del suo personaggio per esprimerne la potenza esplosiva e Gerardo Dottori proverà a rappresentare i paesaggi della sua terra attraverso le linee curve e le deformazioni prospettiche dell’aeropittura. Resta, peraltro, sul tappeto la questione esplosiva dei futuristi con la politica. Il Futurismo - come lo farà il Surrealismo - propugna, come si è visto, la rottura assoluta con tutto quello che appartiene al passato. A che serve conservare dei monumenti ed “a fortiori” delle rovine che non fanno che soffocare le città ? Roma è una città morta. Quanto a Venezia, essa è assimilabile tanto ad una grande fiera delle antichità, quanto al più grande bordello della storia, o ancora al più grande ospedale del mondo, dove languono le anime mortalmente avvelenate dal virus del sentimentalismo. Per i futuristi, Venezia dive diventare nuovamente una città di commercio ed un porto di guerra. Per contro, i futuristi coltivano tutte le forme della “idolatria del moderno”, glorificano la società industriale, il meccanicismo, le prodezze tecniche, qualunque esse siano. L’eroe futurista, quale lo delinea Marinetti nel suo romanzo “Mafarka il futurista” (1910), assomiglia al superuomo di Friedrich Nietsche (1844-1900). Il futurista deve coltivare l’amore per il pericolo e questo dalla più giovane età, come lo spiega il Marinetti “Che dite, ad esempio, di questo progetto futurista che consiste ad introdurre in tutte le scuole un corso regolare di rischio e di pericolo fisico ? I ragazzi vi sarebbero sottoposti, volenti o nolenti, alla necessità di affrontare continuamente una serie di pericoli sempre più spaventosi, sapientemente predisposti e sempre imprevisti, quali: l’incendio, l’annegamento, crollo di soffitti ed altri disastri (4)”. Da questo deriva l’elogio degli sport di combattimento e l’apologia della guerra, prova suprema dell’eroe futurista. L’Italia deve ritrovare il suo rango fra le nazioni europee, affrancarsi definitivamente sia dal giogo dell’Austria, sia da quello della Chiesa cattolica. Occorre liberare Trieste e fare del mare Adriatico un mare tricolore. Occorre, infine, recuperare il ritardo che accusa l’Italia nel settore della conquista delle colonie. In tal contesto, nel 1915, i futuristi si schierano apertamente per l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria e molti di essi si arruoleranno e moriranno sul campo di battaglia, come ad esempio Boccioni. La guerra fa però saltare il movimento. Pittori e poeti seguono ormai delle vie divergenti. Per quanto concerne Marinetti, egli tenta di distruggere il contesto del linguaggio - grammatica e sintassi - per rendere la loro libertà alle parole. Con anticipo su alcuni ricercatori dadaisti e surrealisti, egli si affianca a Guillaume Apollinaire (1880-1918), che si era dedicato, nei “Calligrammes”, a dei sapienti giochi tipografici. Il poema, per Marinetti, è un’opera grafica che il lettore ricompone a suo modo. Anche se le “Parole in libertà” (1919) non possono aspirare al rango di capolavoro, l’influenza della sua raccolta sulle avanguardie europee, comprese quelle russe, resta considerevole. Non lo sarà meno nel campo del teatro ed in quello della musica. La rumorosità di Russolo segna l’inizio della musica elettromeccanica, dei quali si conosce l’importante sviluppo da Edgar Varese (1883-1965) a Pierre Boulez (1925-) ed oltre. Il Futurismo non vuole essere né un movimento letterario, né un movimento artistico, ma un progetto d’esistenza che pretende di rivoluzionare tutti i campi della vita umana, collettiva ed individuale, dall’architettura al mobilio ed alla moda, fino alla cucina. Amalgamando Marx, Nietsche e George Sorel (5) (1847-1922), Marinetti si ritrova, come altri intellettuali della sinistra italiana, a fianco di Benito Mussolini e del suo percorso dal Socialismo al Fascismo (6). Questo sarà l’evento che getterà, dopo la 2^ Guerra Mondiale, un ingiusto discredito su tutto il movimento nella sua integralità, che verrà, in tal modo, a subire una specie di Purgatorio. Tale stato di cose vede la sua fine con la grande esposizione “Futurismo e Futurismi”, organizzata per l’apertura di Palazzo Grassi a Venezia nel 1986. Da quella data le pubblicazioni sul Futurismo si sono moltiplicate. Il fatto è che il Futurismo è senza dubbio, con il Dadaismo ed il Surrealismo, il movimento d’avanguardia che più profondamente ha modificato il nostro rapporto con il mondo. Per la prima volta, non si è trattato di rivoluzionare l’arte, ma di rivoluzionare, attraverso l’arte, l’intera società.

NOTE

(1) Per Paul Henri Bergson (1859-1941), opponendosi al determinismo positivista, lo slancio vitale consiste in una “esigenza di creazione” che impadronendosi della materia, “tende ad introdurvi la più gran quantità possibile d’indeterminazione”. Da “Evoluzione creatrice” del 1907;

(2) Le regioni considerate come italiane e che erano rimaste nei domini austriaci dopo il 1866: il Trentino, Trieste e l’Istria;

(3) Vittoria simbolica dei romantici sui classici, la prima dell’Ernani, dramma di Victor Hugo, il 25 febbraio 1830 al Teatro Francese a Parigi. E’ nel corso di questa serata che il poeta Teofilo Gautier (1811-1872) indosserà il famoso gilet rosso;

(4) Da “Il Futurismo” collezione di manifesti, reeditati nel 1973 da Lista G. ed. L’Age d’homme, Losanna;

(5) George Sorel, teorico politico francese, ha influenzato il sindacalismo rivoluzionario, ma è stato recuperato dai movimenti di estrema destra, in particolare dal fascismo italiano;

(6) Candidato nel 1920 nelle liste fasciste non viene eletto. Tuttavia le relazioni fra il movimento ed il regime non sono state sempre semplici. In effetti, dopo il suo fallimento elettorale dà le dimissioni dal Partito Nazionale Fascista (PNF), prendendo successivamente le sue distanze dalla marcia su Roma nell’ottobre 1922, quando vede Mussolini avvicinarsi alla “monarchia” e quindi cercare di “normalizzare” il PNF ed il regime. Negli anni 1920 nel periodo della violenza dello squadrismo fascista, il Futurismo si riconosce nel movimento e questi aveva bisogno dei futuristi. Una volta al potere, Mussolini, pur continuando a rivendicare la modernità, aveva bisogno di una modernità più pacata, più placata, in poche parole più “consensuale” ed in tale quadro il Futurismo avrà un posto non esclusivo in seno al regime. In questa situazione di ambiguità di fondo Marinetti accetta di essere nominato all’Accademia d’Italia nel 1933 e nel 1943 aderirà alla RSI, credendo di ritrovare, negli ultimi sussulti del regime fascista, il movimento rivoluzionario dei suoi ideali e che aveva sempre sperato.

BIBLIOGRAFIA

Damigella M. ed A., “Futurismo”, Ed. Lithos, 1997, Roma;

Drudi Gambillo M., Fiori T., “Archivi del Futurismo”, Ed. De Luca, 1959, Roma;

Hulten P. (dir.), Futurismo e futurismi“ “Catalogo dell’esposizione di Palazzo Grassi e dizionario sul Futurismo”, Ed. Le Chemin Vert, 1986;

Lista G., “Futurismo: manifesti, documenti, proclami”. Ed. L’Age d’Homme, 1973, Losanna; “Futurismo”, 1985, Hazan.


 

 

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