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MIA MADRE Gli ultimi giorni di vita di una madre nell'esistenza di una figlia in crisi lavorativa 18/04/2015 - Carlo Cerofoliini (Roma) Alla soglia dei sessantanni Nanni
Moretti ha perso la voglia di ridere e con quella anche una parte del
cinema che aveva caratterizzato le uscite precedenti. Certo, non
tutto è stato perso. Anche in La madre il film che per la settima
volta lo vedrà in
concorso al festival di Cannes esiste ancora quell'unicità che
ha fatto esaltare il pubblico e la critica e che ancora adesso deriva
dalla capacità di declinare il mondo a sua immagine e somiglianza,
al punto di far recitare a Margherita Buy una parte di una regista in
crisi. E ancora non
smettono di fare capolino i vezzi e i tic
che sono cari al primo Moretti, quelli che anche qui fanno dire a
Giovanni che si rivolge alla sorella Margherita quello che un tempo
(Aprile)
Moretti rivolgeva a Massimo Dalema, invocando una svolta - artistica e
politica a secondo del film.- che in entrambi i casi sembra mancare. La
novità,
in parte annuncianta dal precedente Habemus Papam, è invece la
mancanza di
quel famoso narcisismo che si traduce per esempio nell'aver rinunciato
ad una centralità iconografica, sostituita da un profilo più laterale e
dimesso, con un ruolo di supporto rispetto al protagonismo di Margherita
Buy. Ma soprattutto lo scarto da un
cinema che era sempre stato fieramente personale e che oggi è diventato
urgentemente autobiografico al punto da identificarsi con la cronaca
esistenziale del regista che, attraverso la finzione, porta sullo
schermo
gli ultimi giorni di vita della propria madre, avvenuta proprio in
concomitanza con la
lavorazione di Habemus Papam che Mia madre puntualmente riproduce
negli inserti che raccontano le giornate lavorative di Margherita e le
intemperanze
della star
americana interpretata da un John Turturro sempre più a suo agio con il
cinema italiano.
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