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LA CATASTROFE FRANCESE DEL 1763 La Storia secondo Massimo Iacopi 11/07/2015 - Massimo Iacopi (Roma) 1763, OVVERO LA CATASTROFE FRANCESE Circa 250 anni fa, il Trattato di Parigi, alla fine della Guerra dei Sette anni, sanciva la sconfitta della Francia e la perdita delle sue colonie a vantaggio dell’Inghilterra. Sono ormai passati tanti anni dagli avvenimenti e ben pochi oggi si ricordano della retata di pescatori francesi di Boscawen del 1755, della battaglia di Rosbach del 1757, di quella di Lagos del 1759 o dell’assedio di Pondichery del 1760. Nomi e date che sono ormai dominio di specialisti o di professori di storia, ma che hanno lasciato un segno profondo nella storia della Francia. Essi costituiscono un seguito di sconfitte senza precedenti, delle vere “randellate” portate nei confronti della Marina Reale e dell’Esercito francese, che hanno grandemente contribuito ad erodere il potere assoluto di Luigi 15° di Borbone, re di Francia (1710-1774). Nessuno si ricorda più delle gesta del Cavalier Louis d’Assas du Mercou (1733-1760) e del suo grido nella battaglia di Klostercamp, il 16 ottobre 1760: “A moi Auvergne, c’est l’ennemi !”, con il quale salva il suo reggimento dalla sorpresa. Purtroppo, questo eroe francese è stato, suo malgrado, un usurpatore, al quale è stato attribuito un atto che non era effettivamente il suo. In effetti, risulta evidente che era molto meglio chiamarsi d’Assas ed essere un cavaliere al tempo delle “guerre dei merletti”, piuttosto che rispondere al semplice nome di un Dubois qualsiasi ed avere, per di più, solo il grado di sergente, ossia il bravo plebeo che ha effettivamente messo in allarme il reggimento e che è poi evidentemente scomparso dalla memoria. La Guerra dei Sette Anni si sviluppa ufficialmente fra il 1756 (data di attacco della Sassonia da parte della Prussia di Federico 2° di Hohenzollern (1712-86) ed il 1763 (il 10 febbraio, data del Trattato di Parigi). In realtà, essa si inserisce in una serie di conflitti che hanno avuto inizio poco dopo il 1690 fra Olandesi, Francesi ed Inglesi, per concludersi effettivamente il 18 giugno del 1815 nella battaglia di Waterloo, con la bruciante sconfitta di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e la definitiva vittoria degli Inglesi nel controllo del dominio dello “Spazio-mondo”. In questa praticamente seconda guerra dei Cent’anni, intervallata da guerra fredda e da conflitti sempre più violenti, tutti i periodi presentano una loro caratteristica. Dal 1690 al 1740, la Guerra dei Re si basa su delle alleanze classiche, di cui il Trattato di Utrecht ne ha fissato le frontiere nel 1713. Poi dalla Guerra di Successione d’Austria (1740-1748) alla Guerra d’Indipendenza americana (1776-1783), il mondo europeo ed i suoi imperi coloniali in Africa, in Asia, in America si trovano in una nuova dimensione economica, strategica e diplomatica. La Guerra dei Sette Anni segna un parossismo, in quanto essa è stata una guerra mondiale. Ciò è vero, specialmente per l’estensione dei campi di battaglia, scelti o imposti dai protagonisti su tutti i continenti del mondo. Quando solo si pensi all’ampiezza delle guerre indiane da Montreal ed i dintorni di New York fino alla Louisiana, passando per tutta la linea di forti francesi lungo l’Ontario, il Missouri ed il Mississipi. Gli Inglesi si dotano dei mezzi per rinforzare la loro talassocrazia, chiave del loro dominio commerciale nell’Atlantico nord e sud, nei mari freddi a nord del Canada, verso Capo Horn, sulle coste dell’Africa occidentale o anche a largo dell’India. Il controllo dei mari implica la padronanza delle tecniche della costruzione navale; spinge ad inventare strumenti finanziari per le transazioni e le operazioni di assicurazione e di commissioni. La volontà di potenza porta al consolidamento della Banca d’Inghilterra, obbliga ad un cambiamento economico di tutto uno spazio nazionale, orientato verso nuove forme di produzione agraria ed industriale. Essa spinge anche “all’addestramento” della popolazione maschile, di cui il 10% di ogni classe d’età trascorre nei depositi della marina da guerra o mercantile ad apprendere la disciplina, il coraggio e la violenza nel combattimento. Un uomo incarna questa mobilitazione senza precedenti: William Pitt (1708-1778), Primo Ministro nel 1756. Oratore valente, egli inculca nel popolo inglese questo spirito irascibile e il patriottismo. L’Inghilterra si è preparata la capacità di imporre ai suoi avversari e dunque al suo nemico principale, la Francia, una nuova guerra ad oltranza. L’obiettivo non è più quello di costringere alla resa il nemico o di metterlo in difficoltà per portarlo al tavolo dei negoziati, ormai il vero obiettivo è quello di distruggerlo. Gli ammiragli di Londra impongono una guerra il cui campo di battaglia è il mondo degli imperi coloniali. Le squadre inglesi, basate a Plymouth o a Dover, dispongono di una capacità di proiezione delle loro flotte in America, nel Golfo del Messico, nelle Antille come anche sulle coste del Senegal. Né la Francia, né alcuno dei suoi alleati sono in condizioni di allinearsi su questo tipo di sforzo geostrategico. Ma Pitt conduce anche un gioco rischioso, perché la talassocrazia comporta dei costi spaventosi. Il ministro inglese impone un ritmo di costruzioni di vascelli da guerra che porta la flotta dai 345 bastimenti del 1756 ai 422 del 1759, mentre la Francia ne dispone di appena un centinaio, dopo lo scontro e la sconfitta di Lagos. La guerra sviluppa in maniera esponenziale il debito pubblico, finendo per destabilizzare le finanze del re di Francia e per dare maggiore forza alla fronda dei parlamenti contro la politica di Versailles. Essa obbliga, parimenti, anche il governo inglese ad una corsa in avanti nei prestiti e nell’organizzazione di una pressione fiscale senza precedenti sul contribuente inglese. La Guerra dei Sette Anni ha dato origine, inoltre, ad una concezione contemporanea della guerra: la ricerca dello smantellamento delle forze avversarie nella sua capitolazione. Il Trattato di Parigi, firmato da Giorgio 3° di Hannover, re d’Inghilterra (1738-1820), Luigi 15° di Francia e Carlo 3° di Borbone, re di Spagna (1716-1788), costituisce una catastrofe per la Francia, che perde quasi tutti i possedimenti coloniali: Louisburg nel Canada, il Senegal, Chandernagor e Pondichery in India, i suoi forti intorno ai grandi laghi americani, riuscendo a salvare, per il rotto della cuffia, solo Santo Domingo. Per gli Inglesi, la pace vittoriosa diventa l’unica uscita per ammortizzare il budget della guerra, per fornire adeguate garanzie ai creditori, ma anche per appesantire la sua massa di imposte ... fino al momento in cui i coloni americani si rivolteranno nel 1776 contro questo sistema e rimetteranno in discussione la dominazione mondiale dell’Inghilterra. Ma con la rivolta americana ha anche inizio l’era delle rivoluzioni.
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