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Opera 2

NEL1890 L’ULTIMATUM INGLESE AL PORTOGALLO IN AFRICA

La Storia secondo Massimo Iacopi


11/07/2015 - Massimo Iacopi


(Roma)

NEL1890 L’ULTIMATUM INGLESE AL PORTOGALLO IN AFRICA

L’ambizione di Lisbona, alla fine del 19° secolo, è quella di creare un nuovo Brasile in Africa. Nel 1980 l’ultimatum inglese spezza questo ambizioso progetto. La monarchia portoghese non si riprenderà più da questa terribile constatazione di debolezza.

Collegare l’Angola al Mozambico: questa rappresenta negli anni 1880 l’ambizione del Portogallo, mentre le potenze europee si fanno concorrenza per accrescere i loro possedimenti in Africa. Un sogno simbolizzato sulle carte dell’epoca da una larga banda color rosa in Africa: da cui il soprannome di “Mappa color rosa“ (Mapa cor de Rosa). Diverse ondate di esplorazioni dei territori posti fra l’Angola ed il Mozambico si sono succedute dalla metà degli anni 1880, finanziate principalmente dalla Società di Geografia di Lisbona, fondata nel 1875. Alla fine del 1889 il valoroso maggiore Alexandre Roberto da Rocha de Serpa Pinto (1846- 1900) viene inviato ai confini del Mozambico e dell’attuale Malawi, nella regione del lago Nyassa, dove attacca la tribù dei Macocolo sotto protezione inglese. I progetti portoghesi contrariano la Gran Bretagna che coltiva, invece, l’ambizione di un grande collegamento Nord-Sud dal Cairo al Capo di Buona Speranza. L’11 gennaio 1890, Lord Salisbury (Robert Arthur Talbot Gascoyne-Cecil 1830-1903) prende a pretesto l’attacco al lago Nyassa per indirizzare un ultimatum alle autorità portoghesi: esse devono rinunciare al loro progetto africano, sotto la minaccia di rappresaglie militari. Di fronte a questo stato di cose, il governo portoghese, isolato, è costretto a cedere. La vecchia alleanza con l’Inghilterra viene nuovamente a trovarsi in una difficile situazione, mentre una febbre nazionalista conquista la capitale portoghese. L’emozione popolare assume rapidamente la forma di una violenta, seppur breve, spinata anglofoba. Il caffè Martinho a Lisbona non esita a sfidare la collera dei servizi di polizia, attaccando sulla sua porta le effigi dei ministri, indicati come “ritratti dei traditori della Patria, venduti all’Inghilterra”.

Un chiarore oscuro

I repubblicani portoghesi vinceranno, a lungo termine, la posta in palio, ovvero il potere. Iniziata al grido di “Abbasso l’Inghilterra”, la contestazione prosegue al grido di “Viva la Repubblica”. La crisi diplomatica sfocia, in effetti, su una rimessa in discussione della famiglia reale e delle istituzioni monarchiche. Lo scrittore Antero Tarquinio de Quental (1842-1891), nel suo articolo del 16 gennaio 1890, intitolato “Contrizione”, fa appello alla contrizione nazionale: “Il nostro più grande nemico non è inglese. Siamo noi stessi ! Solo un falso patriottismo può affermare il contrario. Vociferare contro l’Inghilterra è facile, affrontare le sconfitte della nostra vita nazionale sarà più difficile”. Per la circostanza circolano dei libelli e vengono creati nuovi giornali. Nell’Ultimatum, un foglio studentesco di Coimbra, uno studente di medicina, Antonio José de Almeida (1866-1829), pubblica il 23 maggio 1890, un articolo al vetriolo contro il giovane re Carlo 1°, “l’ultimo Bragança”: il giovane viene condannato a tre mesi di prigione – ma diventerà nel 1919 presidente della Repubblica del Portogallo. Nella stessa primavera del 1890, Alfredo Keil ed Heneique Lopes de Mendonça compongono la “Portuguesa” (la Portoghese), dedicata agli “eroi del mare, nobile popolo, nazione valente ed immortale”, di cui la Repubblica ne farà il suo inno nazionale nel 1911. L’accordo diplomatico concluso il 20 agosto 1890 con l’Inghilterra viene vissuto come un’offesa supplementare e l’agitazione riprende più infuocata. Il 31 gennaio 1891, i repubblicani si sollevano ad Oporto. Qualche mese più tardi, il 28 maggio, un nuovo trattato anglo-portoghese verrà siglato in un atmosfera di relativa indifferenza. Eppure, quest’ultimo accordo segna la fine del sogno portoghese della “Mapa cor de rosa”, confermando ancora una volta la prevalenza della tutela inglese sul Portogallo. Le carenze organizzative e la debolezza strutturale del movimento repubblicano, ma anche la relativa apatia dell’opinione pubblica contribuiscono a dare un momento di respiro alla monarchia dei Bragança. In assenza di masse operaie strutturate, con una popolazione (5,5 milioni di abitanti nel 1900), in maggioranza rurale e, per tre quarti, analfabeta, la disaffezione nei confronti della casa dinastica non risulta sufficiente a far cadere un regime, solidamente collegato ai “caciques” (notabili locali). Il Partito repubblicano, propugnatore di un discorso ferocemente nazionalista ed anticlericale, potrebbe costituire un’alternativa. Ma il suo gradimento è essenzialmente urbano, limitato alle due sole grandi città, che conta all’epoca il Portogallo, Lisbona, la capitale politica e intellettuale (350 mila abitanti nel 1900) ed Oporto (170 mila abitanti), il polmone economico e commerciale. Il Portogallo, scosso dall’onda di shock del sisma provocato dall’Ultimatum, colpito dal rovesciamento dell’imperatore del Brasile nel 1889, indebolito da una grave crisi finanziaria nel maggio 1891 si irrigidisce sulla questione coloniale e si abbandona in un sentimento di declino. Nell’agosto 1891, lo scrittore José Maria de Eça de Queiros (1845-1900) scriverà ad un amico: “Io credo che il Portogallo è finito. Scriverlo mi fa venire le lacrime agli occhi, ma per me è quasi certo che la scomparsa del regno del Portogallo dovrà essere la grande tragedia di questo fine secolo “ (1). Risultano numerosi, a quell’epoca, quelli che pensano che la nazione non ha più un avvenire. “Nera è la terra, nera é la notte, nero è il chiarore” sottolinea lo scrittore Abilio Manuel Guerra Junqueiro (1850-1923) nell’apertura del suo lungo poema Finis Patriae, pubblicato l’8 dicembre 1890 e che conclude con un ode alla gioventù portoghese: “A terra, la tunica a brandelli, la Patria stava agonizzante. O gioventù, dagli tutto il tuo sangue, vai, la tua giovinezza eroica è bella.” “L’Angola ci salverà in questo 19° secolo come ci ha già salvato il Brasile nel 18° secolo ?”, questo è l’interrogativo che si pone lo storico Oliveira Martin nel 1894. Per questa generazione, occorre vendicare l’umiliazione del 1890 ed il tema generico della “creazione di un nuovo Brasile in Africa” evidenzia questa volontà di recuperare una potenza ed una grandezza perdute. Ma se le “campagne di pacificazione” condotte in Angola e nel Mozambico, fra il 1894 ed il 1907 apportano questo momento di gloria effimera a qualche valoroso ufficiale ed alla monarchia, le colonie portoghesi rimangono poco attrattive. Nel 1900, la maggior parte dei circa 2 milioni di km2 che esse rappresentano, non dispongono né di una rete stradale, né ferroviaria. Il Portogallo, in effetti, manca di risorse per esplorare e sfruttare questi territori, oltre ad un sistema amministrativo unificato. Le comunicazioni con la metropoli restano sporadiche e condizionate dai mezzi di navigazione britannici, Al punto tale che Britannici e Tedeschi, nell’agosto 1898, concluderanno un accordo segreto per spartirsi i possedimenti portoghesi nell’Africa australe.

Regicidio

La monarchia dei Bragança si rivela impotente a sradicare, nell’ambito dell’aristocrazia e dell’intellighentzia, questa viva coscienza della decadenza del paese. Per tutti quelli che cercano di cambiare vita, la sola scelta che resta è quella di esiliarsi in Brasile, che attira più di 650 mila Portoghesi fra il 1890 ed il 1910. Gli errori del monarca, affabile, amante delle arti, delle scienze e dei piaceri della vita, ma incapace di dare un nuovo slancio ad un sistema politico dal “fiato corto” – anche quando ricorre ad una dittatura di governo guidato da Joao Franco (1855-1929) -, vengono ad aggiungersi ad una crescente agitazione sociale ed un prestigio declinante, negli ambienti urbani, del re e della famiglia regnante. Il 1° febbraio 1908, dom Carlo 1° (1889-1908) ed il principe ereditario, Luiz Felipe, nell’attraversare in carrozza scoperta e con una scorta ridotta la Baixa, la parte bassa di Lisbona, vengono assassinati da Manuel Buiça (1876-1908) ed Alfredo Luiz da Costa (1883-1908), due membri della Carboneria, una società segreta che, a fianco della Massoneria e del Partito Repubblicano, erano impegnati nella caduta della monarchia. Il giovane re Manuele 2° (1889-1932) e sua madre, una principessa francese, la regina Amelia d’Orleans (1865-1951) tentano, a quel punto, di mettere all’opera una “nuova monarchia”. Ma il nuovo re, che continua ad appoggiarsi sui soli monarchici, peraltro divisi tra loro, afferma che “il giorno in cui egli sposerà una principessa inglese, il partito repubblicano deporrà le armi”. Nulla di meglio che dare maggiore vigore ai repubblicani. Nel novembre 1908, in occasione delle elezioni municipali, a suffragio censitario (8 mila elettori per una città di 40 mila abitanti), essi assumono il controllo del comune di Lisbona. Sui circa 172 comitati repubblicani, che coprono il tessuto urbano nel 1910, ben 64 sono stati creati dopo il regicidio del 1908. Più che mai i repubblicani raccolgono il suffragio di tutti gli scontenti. Nella notte fra il 3 ed il 4 ottobre 1910, a Lisbona, alcune centinaia di soldati, guidati da ufficiali e sottufficiali decisi, affiliati a delle società segrete repubblicane, danno il segnale della rivolta. Il re ha ormai perso qualsiasi sostegno e la Repubblica viene proclamata il 5 ottobre 1910 dal balcone del Municipio della capitale. Il re non tenta neanche di reagire e fugge per mare a Gibilterra e quindi in Inghilterra, dove morirà nel 1932. L’ultimatum del 1890 si rivela in tal modo come “l’autunno della monarchia e la primavera della repubblica” e con la rinuncia alla “Mapa cor de rosa”, tra l’altro inevitabile, inizierà a suonare il rintocco funebre per la dinastia dei Bragança.

NOTE

(1) Eça de Queiroz, “Correspondencia”, G. de Castilho, Lisbona, 1983;

(2) Teixeira Nuno Severiano, “O Ultimatum Ingles, Politica Externa e Politica Interna no Portugal de 1890”, Alfa, Lisbona, 1990.


 

 

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