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La Storia secondo Massimo Iacopi

EXCURSUS STORICO SUL SAHARA

Una Regione Sempre Inquieta


11/07/2015 - Massimo Iacopi


(Roma)

EXCURSUS STORICO SUL SAHARA

Da Erodoto agli storici romani, dai geografi del Rinascimento agli esploratori del XX secolo, il Sahara ha affascinato, intrigato ed inquietato, facendo sorgere delle strategie di conquista e di controllo che sono rimaste attuali.

Spartito fra una decina di paesi, esteso per più di 9 milioni di Km2 fra l’Oceano Atlantico ed il Nilo, il Mediterraneo ed il fiume Niger, il Sahara viene troppo spesso immaginato nella sua sola espressione geografica. Al punto da dimenticarne la sua lunga storia, i miti che l’accompagnano e l’importanza geostrategica che le è propria da secoli. Il Sahara, conservando numerose tracce del Paleolitico, rappresenta, soprattutto, una importante testimonianza dei tempi neolitici. Dopo la loro rivelazione al grande pubblico per mezzo delle missioni di esplorazione e le pubblicazioni di Henri Lhote (1903-1991) ed il successo della grande esposizione di Parigi del 1957, ormai quasi nessuno ignora la bellezza e la ricchezza dell’arte parietale sahariana, arricchita senza soste da nuove scoperte. Essa testimonia la presenza umana di circa 10 mila anni fà, origine di ceramiche fra le più antiche mai realizzate e connessa con lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento.

Affreschi e fortini

Affreschi ed incisioni del Tassili-n’Ajjer in Algeria, dell’Acasus in Libia, del massiccio dell’Ennedi nel Ciad o dell’Air nel Niger illustrano questo momento di grande civiltà che ha dovuto affrontare delle variazioni climatiche fino a quella che, circa tre millenni fa, ha dato al Sahara il suo aspetto desertico attuale. Non senza episodi a volte rapidi e misurabili su dei tempi storici, come le piogge abbondanti del XVII secolo e degli inizi del XVII secolo (corrispondente alla piccola epoca glaciale dell’Europa nella stessa epoca). E si conoscono anche le brusche evoluzioni del livello del lago del Ciad, suscettibile di variazioni di superficie dai 330 mila Km2 di circa 5 mila anni fa, ai 9 mila Km2 del 1973 ed ai 2 mila dei nostri giorni.

Dalle origini, questi cambiamenti climatici hanno condizionato il popolamento del Sahara, alimentato da diverse migrazioni provenienti dal Corno d’Africa, dalla alta valle del Nilo e dalle rive del Mediterraneo. I processi di desertificazione (1) hanno anche provocato dei movimenti di popolazione dal nord verso il sud ed è verosimile che numerosi gruppi Peuls del Mali e del Niger, attuali discendano dagli allevatori che popolavano in tempi più umidi vaste zone del Sahara centrale. Il Sahara, diventato desertico, entra nella storia scritta attraverso le testimonianze degli autori dell’Antichità. Se ne ritrovano le tracce in Erodoto (-484 -425) che, soggiornando a Cirene, nell’attuale Libia circa 25 secoli fa, ci fornisce delle informazioni sulla geografia, la fauna e gli abitanti di un “terribile deserto” dove non esiste “né acqua, né boschi, né bestie selvagge e dove non cade né pioggia né si forma la rugiada”. Molto più tardi, nel 1° secolo avanti C., Sallustio, storico romano, evoca allo stesso modo “terre bruciate dagli ardori del sole” (2), prima di diventare uno degli artefici, come governatore della provincia romana di Numidia, di una presenza romana che si insedia nell’Africa del nord. I territori conquistati in Africa, diventati strategici per l’Impero, vengono protetti per mezzo di un limes, edificato verso sud su diverse centinaia di chilometri , con una serie di forti, fortini, strade e fossati. Esso ha come scopo quello di difendersi dalle scorrerie dei nomadi e di fissare al suo interno una popolazione di agricoltori (3). Spesso delle spedizioni, come quelle di Septimus Flaccus, di Svetonius Paulinus e di Julius Maternus, rispettivamente nel -19, nel 70 ed alla fine del 1° secolo, si avventurano al di là del limes e la romanità penetra per influenza o per la presenza effettiva lontano dalle regioni costiere (dove si espande), come è testimoniato, fra gli altri, dalle vestigia archeologiche di Garama (Germa), nell’attuale  Fezzan (Libia), a più di 600 Km a sud di Tripoli. Proprio al 1° secolo risale la comparsa nell’Africa del nord del dromedario (4), acclimatatosi a poco a poco e proveniente dal Medio Oriente (l’animale è ricordato numerose volte nel Vecchio Testamento). Il suo straordinario adattamento alle regioni desertiche facilita gli scambi e contribuisce allo sviluppo delle oasi (5), indispensabili all’economia carovaniera (6). Nel corso dei secoli e ben dopo la scomparsa dell’Impero romano si organizzano delle vaste aree culturali dove predomina una organizzazione sociale feudale, tribale e guerriera nell’ambito di popolazioni spesso di origine berbera (7) (Mauri (8), Tuareg (9)) o legati all’Africa centrale (Tubus). La conquista araba del 7° secolo che conduce i cavalieri del generale Oqba Ibn Nafi Al Fihri (622-683) dall’Egitto fino all’Oceano Atlantico riguarda solo progressivamente gli spazi del sud. Attraverso le piste carovaniere, saranno i mercanti, i viaggiatori, i credenti che diffondono a poco a poco l’islam e favoriscono la nascita di città, di cui alcune assumono una dimensione religiosa come punto di riunione per i pellegrinaggi verso la Mecca. Questo è il caso di Shinghetti (Chinguetti), nell’attuale Mauritania, che contava nel 18° secolo ben 12 moschee e che costituisce testimonianza di tempi in cui letterati e religiosi davano fama alle città allo stesso modo dell’importanza dei mercati che esse ospitavano. Il Sahara, integrandosi a poco a poco all’universo sunnita di rito malekita, non senza sincretismo con le credenze antiche, si rivela anche, per la sua stessa immensità, favorevole all‘insediamento di gruppi eretici mussulmani, quali gli Ibaditi (10), originari, nell’11° secolo, dalla pentapoli dello Mzab (11), nell’Algeria attuale.

Una terra dell’Islam

Nel corso dei secoli, il Sahara viene percorso lungo gli itinerari delle carovane dell’oro, dell’avorio, del sale e degli schiavi. All’inizio ed al termine di queste rotte si sviluppano dei centri prosperi quali Sijilmasa, Marrakesh (fondata nel 1070 dagli Almoravidi) a nord, Gao e Timbuctu a sud, centri di scambio ai quali contribuiscono anche comunità ebree. E’ in questo universo religioso, mercantile e guerriero che si radicano le ambizioni e le conquiste degli Almoravidi nell’XI e XII secolo, la cui influenza, al loro apogeo, si estende dall’Andalusia al Niger e dal Tago fino al Senegal. Alla fine del 16° secolo, sempre sotto la bandiera dell’islam, la dinastia marocchina dei Saadiani si illustra attraverso i successi militari di Abu Marwan Abd al-Malik 1° (morto nel 1578), che sconfigge i Portoghesi a Tangeri nel 1578 e quindi di suo fratello Ahmed 1° al-Mansur (1549-1603) che invia le sue truppe a conquistare l’oasi di Gurara all’est e quindi a sud verso l’impero Songhai del Sudan occidentale. Un esercito di diverse migliaia d’uomini, parzialmente equipaggiato da armi da fuoco ed artiglieria e comandato dal pashà Djuder o Yuder (al secolo, Diego de Tembien, un rinnegato cristiano nato in Spagna intorno al 1550 e morto a Marrakesh nel 1605), intraprende una traversata del deserto diventata leggendaria, al termine della quale distrugge le truppe sudanesi nel marzo del 1591 nella battaglia di Tondibi. Secondo il cronista El Fichtali, “tutto il paese, dall’Atlantico fino alla frontiera con la Nubia, era ormai sotto la dominazione di Al-Mansur”, verso il quale - sempre secondo lo stesso autore - i vincitori hanno inviato “milleduecento schiavi, sia uomini che donne, 40 cammelli carichi di polvere d’oro, quattro selle di cavallo in oro puro, un gran numero di carichi di legno d’ebano”. Questa dominazione saadiana contribuisce alla fortuna delle città allo sbocco delle piste carovaniere, anche se, nel XVII secolo, si allentano i legami di soggezione fra il regno sheriffiano del Marocco ed i territori del Niger (il Pashalik del Sudan rimane praticamente indipendente, prima di diventare tributario dei Tuareg Uallimiden nel 1787). Al di là, verso l’est, fluttua l’influenza ottomana che l’Inghilterra, la Francia e l’Italia cercheranno di restringere e di contestare. Nel Medioevo, l’Europa mediterranea non ignora l’importanza degli itinerari trans sahariani e quello che essi rappresentano in risorse di oro, avorio, schiavi e prodotti preziosi. Nel XII secolo, il geografo mussulmano Al-Idrisi (1099-1161) al servizio del re Ruggero II di Sicilia (1095-1154) menziona rilievi e città. Nel 1413, Mecia de Viladestes, della scuola ebraica dei cartografi di Majorca, mette su una carta il massiccio dell’Hoggar e l’oasi di In Salah. Altri planisferi del XIV e XV secolo mostrano l’interesse dell’Occidente per questa parte del mondo, parimenti parzialmente descritta da mercanti italiani: fra di essi il genovese Antonio Malfante (Genova 1410 circa – Maiorca 1450 circa), che aveva soggiornato nel Tuat nel 1445.

Le prime esplorazioni

Nel 16° secolo, la scoperta di nuove vie marittime e l’oro del Nuovo Mondo riducono l’importanza dell’economia carovaniera ed i regni iberici si contentano dei loro stabilimenti lungo la costa atlantica: in tale contesto i Portoghesi edificano un forte nell’isola di Arguin nel 1448, prima di avventurarsi all’interno, fino all’oasi di Uadane. Gli scambi che si praticano nel Sahara sono stati descritti da un mercante veneziano Alvise Cadamosto (1432-1488) nel 1445 e nel 1456: “gli Arabi portano stoffe di seta moresca, che vengono realizzate a Granada ed a Tunisi in Barbaria, argento ed altre mercanzie di valore, in cambio delle quali essi ottengono numerosi schiavi ed oro”. Occorrerà attendere la fine del XVIII secolo perché le potenze occidentali si preoccupino di raccogliere delle nuove conoscenze sui territori che collegano il Maghreb all’Africa centrale. Nel giro di qualche anno le società geografiche di Londra (African Association viene fondata il 9 giugno 1788), di Parigi, Berlino e di Roma successivamente, incoraggiano le iniziative di quelli che si impegnano sulle rotte sconosciute verso contrade pericolose, dove regna il rifiuto dell’infedele. Molto vi lasciano la propria vita (una ventina solo per i Francesi fra il 1787 e la fine del secolo). Il primo a ricercare la rotta per il Sudan attraverso il Sahara, lo scozzese Hugh Clapperton (1788-1827), raggiunge nel 1823 il lago Ciad; tre anni più tardi un suo compatriota, il maggiore Alexander Gordon Laing (1793-1826) entra in Timbuctu, ma viene assassinato sulla via del ritorno. Il francese René Caillié (1799-1838), facendosi passare per un egiziano mussulmano, riesce a raggiungere Timbuctu, attraverso il Senegal ed il Mali. Molti altri Europei, in seguito, descriveranno, esploreranno e percorreranno questi nuovi spazi come gli inglesi James Richardson (1809-1851) ed il medico John Davidson (1797-1836), i tedeschi Heinrich Barth (16 feb. 1821 - 25 nov. 1865), Friedrich Gerhard Rohlfs (1831-1896) e Gustav Nachtigal (1834-1885), i francesi Henri Duveyrier (1840-1892) e Camille Douls (1864-1889). Quest’ultimo esplora il Sahara occidentale e lo descrive in diversi articoli nel “Giro del Mondo” nel 1888 prima di essere assassinato l’anno seguente in occasione della sua seconda spedizione. L’interesse della Francia per il Sahara risulta essere anche una conseguenza della progressiva conquista dell’Algeria, dopo il 1830. A poco a poco, le missioni di ricognizione preparano il controllo dei nuovi territori (12), ma l’avanzata risulta molto lenta poiché quello che interessa è il nord utile e non il sud sterile. Per di più, il massacro, da parte di guerrieri tuareg di circa un centinaio di uomini della missione Flatters nel 1881, incaricata di studiare il percorso di una futura ferrovia trans sahariana, marca durevolmente gli spiriti del tempo. In tale contesto, trascorre circa mezzo secolo fra il controllo di Laghuat nel 1853 e quello di In Salah nel 1899.

Dominio fragile

Tuttavia, l’avanzata delle truppe francesi lungo il corso del Niger, la conquista di Timbuctu nel 1894, provocando una sorta di accerchiamento del Sahara, ne rendo il suo possesso ormai essenziale. Per di più, se gli Inglesi hanno posto fine a Fashoda (1898) alle ambizioni francesi verso l’alto Nilo, il confronto ha come contropartita quello di lasciare alla Francia completa libertà nel Sahara centrale (convenzioni franco-britanniche del 1898 e del 1904). Nel dicembre 1899, il successo della missione Foureau-Lamy, che riesce a raggiungere il lago Ciad attraverso il Sahara, risulta decisiva. E, nel 1902, la nobiltà tuareg dell’Hoggar vine e decimata in occasione della battaglia di Tit, nell’anno stesso della creazione delle compagnie sahariane da parte del comandante superiore delle oasi, François Henry Leperrine d’Hautpol (1860-1920). Ma questo dominio risulta fragile e sempre punteggiato da dissezioni e rivolte sporadiche, come negli anni 1916-1917. Sullo sfondo della 1^ Guerra Mondiale e del richiamo alla guerra santa da parte della confraternita della Senussia, una vasta zona dell’est sahariano francese, dal sud tunisino fino ad Agadez, si infiamma. I Tuareg del Niger e del Tassili-n’Ajjer si affiancano all’insurrezione che provoca numerosi rovesci alle truppe francesi. L’assassinio di padre de Foucauld, avvenuto il 1° dicembre 1916 a Tamanrasset, acquisisce la forza di un simbolo, prima che si organizzino, dall’Algeria e dal Sudan, le operazioni di riconquista ed una repressione, che dureranno fino al 1920. Questa insicurezza (che rimane reale nel Sahara mauritano fino al 1934) contribuisce alla nascita di una mitologia del deserto che si inserisce nelle gesta coloniali delle potenze europee. Nel giro di qualche anno, nella prima metà del XX secolo, il Sahara francese diventa il riferimento dei valori e delle realizzazioni simboliche di un impero, del quale costituisce un quarto della superficie totale. Questo immaginario è presente ugualmente nella letteratura francese del periodo, ma anche in Tripolitania ed in Cirenaica sotto la dominazione italiana (ben presto appoggiata, nell’epoca di Benito Mussolini (1883-1945), dall’invio di decine di migliaia di coloni), come anche nel Sudan e nell’Egitto dell’ovest, dove sventola la bandiera britannica. Ognuno ha i suoi meharisti (13) indigeni, le sue uniformi i suoi cantori, le sue leggende e le sue epopee. In tal modo, anche quelle delle prime unità meccaniche costituite per la guerra del deserto: i Light Car Patrol britannici, in particolare, basati su veicoli Ford T equipaggiati da mitragliatrici (antenati del mitico Long Range Desert Group della 2^ Guerra Mondiale). Il Sahara diventa in tal modo anche una sfida di ingegneri. Per dei decenni, la Francia sogna un collegamento transsahariano, come gli Inglesi hanno sperato in un collegamento Il Cairo-Capetown. Ma gli investimenti necessari appaiono smisurati. Le immensità sahariane, non vinte dalla ferrovia, vengono conquistate dalle numerose missioni in automobile che le percorrono come la Crociera delle sabbie nel 1922 e la Crociera Nera delle autocingolate Citroen del 1924. Il Sahara viene vinto anche attraverso la quarta dimensione: nel 1933, 40 aerei da turismo lo sorvolano da parte a parte; l’anno seguente appare una guida automobilistica ed aerea. Più prosaicamente, a terra, alla vigilia della 2^ Guerra Mondiale ci sono già due compagnie di autocarri che attraversano regolarmente il deserto, la compagnia generale trans sahariana collega in sette giorni Colomb-Beshar a Niamey e la società algerina di trasporti tropicali collega algeri a Fort Lamy ed il Ciad in 14 giorni. E’ anche l’epoca in cui, lontano dai sogni venati dal romanticismo di miniere d’oro, d’orichalque e di smeraldi, alcuni geologi hanno l’intuizione della potenziale ricchezza del Sahara in idrocarburi.

Dagli imperi all’indipendenza

In occasione della 2^ Guerra mondiale, il Sahara diventa un importante terreno operativo. La sua parte libica, sotto controllo italiano, costituisce la principale via di penetrazione verso l’Egitto britannico, obiettivo dell’Afrika Korps nel 1942. Da parte sua la Francia libera, partecipa a queste operazioni in Libia con gli uomini del generale Philippe Leclerc de Hauteclocque (1902-1947), partendo dal Ciad e nel febbraio 1941 conquista l’oasi di Kufra e qualche mese più tardi resiste per qualche tempo alle forze dell’Asse a Bir Hakeim. Dopo il 1943, il Sahara comincia a rivelare le sue ricchezze in gas e petrolio. Nella Libia indipendente, il petrolio viene scoperto in Cirenaica (1959) e sconvolge l’economia del paese. La stessa cosa avviene nel Sahara francese, con lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi d’Edjeleh, Hassi Messaud e Hassi R’Mel che danno la misura dell’importanza del controllo del territorio (nel 1957 alcuni esperti stimano che le risorse sahariane possano rappresentare nel giro di 15 anni la totalità delle esigenze della Francia e contribuire potentemente allo sviluppo dei suoi dipartimenti algerini). Il Sahara, dotato di un Ministero specifico nel 1959 e dove si mette in opera nel 1957 una organizzazione comune delle regioni sahariane (disciolto nel maggio 1963), diventa ancora più essenziale per la Francia allorché vi viene impiantato il Centro Interforze di Sperimentazione e Prove di strumenti speciali (CIEES), con una base di lancio di missili ad Hammaguir, oltre che diversi siti dedicati agli esperimenti nucleari (fra i quali quello di Reggane, alle frange del Tanezruft), che hanno inizio nel febbraio 1960. Questa importanza economica e strategica gioca un suo ruolo nell’asprezza dei negoziati che portano agli accordi di Evian nel 1962, che confermano, nell’Algeria diventata indipendente, il ruolo delle compagnie petrolifere francesi (fino alla nazionalizzazione del 1971), la prosecuzione degli esperimenti nucleari (fino al febbraio 1966) e la prosecuzione delle attività spaziali (fino al 1968). La delimitazione delle frontiere del Sahara fra paesi ormai indipendenti sulla base dell’eredità coloniale risulta fonte di tensioni e spesso di scontri armati (fra l’Algeria ed il Marocco nel 1963, la Libia ed il Ciad nel 1981). Mentre il vecchio Marocco spagnolo del Rio de Oro, vede la sua indipendenza rifiutata dal regno del Marocco, esso diventa un problema internazionale ancora non risolto. A partire dagli anni 1960, spartito fra diversi paesi gelosi della loro indipendenza, il mondo sahariano, poco interessato dalle frontiere statali, subisce una profonda evoluzione. Per le etnie che percorrono il Sahara ed il Sahel, per i gruppi legati ai loro modi di vita, le autorità da cui essi dipendono ormai mancano di legittimità. E molti rifiutano una nuova soggezione dopo kla scomparsa del colonialismo. Se, in Algeria ed in Libia, la transizione si effettua senza grandi sconvolgimenti, non accade la stessa cosa nel Ciad e soprattutto nel Niger e nel Mali, dove si trovano le popolazioni tuareg più numerose. Le relazioni diventano conflittuali già dai primi anni delle indipendenze e danno luogo a degli scontri tanto più violenti quanto più essi sono legati a periodi di siccità, di crisi alimentari e di deterioramento delle economie tradizionali. Nel 1963-64, una prima rivolta, repressa duramente, scoppia nell’Adrar degli Ifoghas nel Mali. Il trauma ed il risentimento delle popolazioni interessate si accentuano con la terribile siccità degli anni 1972-73, provocando esodi verso le città, sradicamento ed esilio: la stessa cosa avviene per la Libia, dove nel corso degli anni, il colonnello Muhammar al Ghaddafi (1942-2011; che non nascondeva il suo attaccamento per il Sahara, creando ad esempio nel 2006 a Timbuctu una “Lega popolare e sociale delle Tribù del Grande Sahara”) costruisce un legame privilegiato e complesso con i paesi del Sahel. Nel 1990, nuovamente nel nord del Mali, ma anche nel Niger, si verificano dei sanguinosi scontri fra gruppi tuareg ed i governi centrali, senza apparente collegamenti fra di loro, ma a partire da rivendicazioni analoghe. Per diversi anni si alternano combattimenti sanguinosi, negoziati ed accordi fra irriducibili avversari, in favore dei quali si impegna la diplomazia algerina decisa e determinata a favorire la pace sulle sue frontiere sud.

Traffici e migrazioni

Il fragile equilibrio messo in piedi in tal modo è stato recentemente sconvolto dalla scomparsa del colonnello Ghaddafi, provocando il rientro, specialmente nel nord del Mali, di combattenti ben equipaggiati e decisi a crearvi uno stato indipendente. A tale scopo, ma forse senza misurarne tutte le conseguenze, il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA), che apparentemente non fa alcun riferimento all’islam nella sua dichiarazione di indipendenza del 6 aprile 2012 ma, per contro, ha stretto alleanza con dei gruppi che si reclamano direttamente all’islam: AQMI, Mujao, Ansar Eddin. Questi elementi fanno riferimento ad un islam intransigente, evocando il periodo d’oro della Senussia, risultano in parte di recente insediamento, ma si sono anche manifestati per diversi anni, in Mauritania ed in Algeria. Nel giro di qualche settimana, questa alleanza, alquanto eterogenea, si impadronisce delle città di Gao, Timbuctu e Kidal. Gli eventi successivi vedono il prevalere nel movimenti indipendentista l’ala radicale di Ansar Eddin, mettendo in serio pericolo il governo legittimo del Mali e scatenando, in tal modo anche la reazione dell’Occidente nel corso del 2013. La cocente sconfitta subita dai ribelli del nord a seguito delle azioni dell’Operazione Serval, guidata dalla Francia, ha per il momento annullato la minaccia che pesava sul governo del Mali, ma la grande parte delle forze sconfitte, si sono nuovamente mimetizzate nel deserto o hanno guadagnato il sud della Libia, da dove, è immaginabile, ritenteranno l’avventura al … momento opportuno. Come in altri momenti della sua storia, il Sahara è tornato nuovamente uno spazio di scontri, mettendo in gioco attori locali e potenze internazionali, interessi strategici e logiche di sopravvivenza, visioni millenaristiche ed ordinaria corruzione, preservazione immediata di ricchezze in materie prime e strategie a lungo termine. Il Sahara, cuore fragile dell’Africa, è peraltro uno spazio di migrazioni e di sviluppo urbano, per quanto paradossale possa sembrare tale affermazione. In tale contesto Tamanrasset, che contava una ventina di famiglie agli inizi del 20° secolo, al tempo di Charles de Foucauld (1858-1916) passa alle 400 famiglie nel 1932 per raggiungere oggi i 100 mila abitanti. In definitiva, il Sahara, percorso ed attraversato, instabile ed agitato, resta uno spazio di traffici vecchi e nuovi e di conflitti, dove si incrociano gli effetti di lungo termine (tensioni etniche, tradizioni tribali, legami familiari, ricordi guerrieri) con sfide strategiche contemporanee, rinnovando, in tal modo, una storia antica, la cui memoria non rischia certo di perdersi nelle sue sabbie.

NOTE

(1) Zona poco propizia all’occupazione umana a causa dell’assenza di suolo coltivabile e di deboli precipitazioni (meno di 200 mm/anno) che non sono sufficienti a compensare l’evaporazione. I limiti del deserto non sono fissi: la desertificazione deriva spesso da una occupazione umana associata ad una acidificazione naturale, che comporta un eccessivo sfruttamento di fragili risorse naturali. Il deserto guadagna in tale contesto del terreno anche sotto dei climi che non sono effettivamente aridi;

(2) Sallustio, “Guerra di Giugurta”, 19° Edizioni “Pleiadi” di Gallimard, 1968;

(3) Questo limes risulta ben conosciuto per merito, in particolare, dei lavori del colonnello Jean Baradez (1895-1969) iniziatore dell’archeologia aerea ed incaricato della missione presso la Direzione delle antichità dell’Algeria. Il colonnello pubblicherà nel 1949 il suo lavoro Fossatum Africae;

(4) Anche se si è imposto il termine di cammello, il cammello d’Africa è in effetti un dromedario (con una sola gobba). Introdotto in Africa dall’Arabia agli inizi della nostra era, il “vascello del deserto” costituisce il simbolo di una civiltà nell’ambito della quale l’animale riveste un ruolo economico, sociale e guerriero. Animale dell’estremo, il dromedario può bere 200 litri d’acqua in 3 minuti e può rimanere senz’acqua per tre settimane. In effetti, egli trasforma in acqua il grasso accumulato della sua gobba (fino a 100 chili). Ben adattato al contesto ecologico, esso serve per tutto: produzione del latte, di carne, di lana e trasporto;

(5) Zona di vegetazione isolata nel deserto e valorizzata dall’uomo. L’acqua necessaria per l’irrigazione proviene da una sorgente, da una falda freatica facilmente accessibile o da un corso d’acqua, il Nilo, ne sono il migliore esempio. I sedentari vi praticano una policoltura molto intensiva, complementare dell’allevamento e del commercio dei nomadi. Le principali oasi sahariane punteggiano le rotte carovaniere ed occupano circa 1 millesimo della superficie del Sahara;

(6) Il termine è derivato dal persiano Karvan, “gruppo di viaggiatori”. Con l’islamizzazione del Sahara si mettono in opera, a partire dall’8° secolo, le rotte del commercio nord-sud ed est-ovest, assicurate da carovane costituite talvolta da diverse migliaia di uomini e di cammelli. Col tempo vengono a costituirsi degli assi commerciali: Tahert-Gao (Algeria-Mali) nell’8° secolo, poi Sijilmasa-Kumbi-Saleh, Egitto-Gao, nell’11° secolo. Le carovane trasportano oro, schiavi (dal sud al nord), sale (da nord a sud), ma anche stoffe, metalli e raggiungono grandi mercati come Gao, Timbuctu o Ualata;

(7) Termine utilizzato per designare le popolazioni originarie dell’Africa del nord prima della conquista e migrazione araba. I Berberi si auto denominano “Imazighem”, termine del quale si ritrova traccia nel Sahara centrale e sulle frange dell’alto atlante marocchino, presso i tuareg dell’Hoggar, del Tassili e dell’Air. Minoranze berbere esistono anche nello Mzab, nel Gurara e nel Tuat (Algeria), nel Gjebel Nefussa (Libia) ed in Egitto (Oasi di Siwa);

(8) Il termine designa oggi le popolazioni maggioritarie nell’ovest del Sahara (3 milioni). Presenti sui 9/10 del territorio della Mauritania, essi rappresentano da 60 a 70% della popolazione del paese. I legami tribali rimangono forti come anche una lunga tradizione di una civiltà di allevatori nomadi, anche se il paese conosce una urbanizzazione esponenziale (Nuakchott conta almeno 800 mila abitanti);

(9) Questi Berberi nomadi velati, del Sahara centrale e dei margini del Sahel, discendono dai primi abitanti dell’Africa del Nord. Essi si auto denominano Kel Taggemust (“Quelli che portano il velo”). Questi “signori del deserto” vengono denominati anche “uomini blù”, a causa del loro velo che, tinto di indigo, stinge sulla loro pelle. Essi costituiscono per l’Occidente l’archetipo del nomade. I tuareg sarebbero oggi circa 1,5 milioni, ripartiti fra l’Algeria, la Libia, il Mali ed il Niger. Dagli anni 1960 e dal tempo delle indipendenze la maggior parte di questo popolo nomade vive nella città, in particolare in Algeria ed in Libia. I Tuareg del Mali (ed ad un certo momento anche quelli del Niger) rivendicano l’autonomia della regione dell’Azawad, il loro territorio prima dell’epoca coloniale;

(10) Ibaditi, setta dei Kharigiti, fondata a Djerba in Algeria da Abdallah ibn Abad, morto 909. Largamente minoritari nel mondo mussulmano, propugnano una dottrina ugualitaria e sono diffusi, specialmente, nell’Oman ed a Zanzibar;

(11) Regione che ospita una forma molto minoritaria (1%) dell’islam, l’Ibadismo, praticata dai Mozabiti, dei Berberi locali, nella zona di Ghardaia, in Algeria. L’Ibadismo si caratterizza per la sua intransigenza dottrinale: devono essere osservati non solo lo spirito, ma anche la lettera del Corano;

(12) Simbolicamente, numerose promozioni della Scuola Speciale Militare di Saint Cyr vengono battezzate con nomi che ritmano la conquista e ne perpetuano la memoria: Timbuctu (1887), In Salah (1899), Ciad (1900), Sud di Orano (1902), Mauritania (1908), Tafilalet (1931), Maresciallo Lyautey (1935), Charles de Foucauld (1941), general Leperrine (1956);

(13) Il termine viene da Mehari, un dromedario da sella molto veloce, addestrato per il trasferimento veloce ed il combattimento ed impiegato dall’esercito coloniale francese nel Maghreb. Le compagnie mehariste sahariane sono state create nel 1902 con una organizzazione molto specifica per impulso del comandante Leperrine d’Hautpol. Queste unità hanno svolto un ruolo primario in occasione della conquista del sud dell’Algeria ed hanno assicurato in seguito, fino alle indipendenze africane, la presenza militare francese nel Sahara. In un’epoca in cui le automobili non potevano arrischiarsi di muoversi sulla sabbia, i meharisti venivano incaricati di lavori topografici, del controllo delle zone tuareg e di sorvegliare le carovane e le frontiere.


 

 

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