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Opera 11

MOLOTOV L’ULTIMO STALINIANO

La Storia secondo Massimo Iacopi


11/07/2015 - Massimo Iacopi


(Roma)

MOLOTOV, L’ULTIMO STALINIANO

Molotov presenta un patronimico celebre, ma per una ragione che non è quella giusta, perché non ha nulla a che fare con bomba cocktail degli insorti. Per Molotov, zelante uomo d’apparato (apparatchik), poco incline al caso di coscienza, la bomba in questione sarebbe stata si ben poco potenza per orchestrare le grandi purghe e la politica del grande terrore stalinista.           

Verso la fine degli anni 1990, l’universitaria britannica, Rachel Polonsky, professoressa di storia della Russia a Cambridge, ottiene il privilegio di entrare nel vecchio appartamento di Molotov, in via Granovski 3, a Mosca. La donna vi scopre la biblioteca di un uomo medio comune, un uomo che è stato il braccio armato, senza averne lo spirito, di Josip Vissarionovic Stalin (1878-1953). In un libro di Rabindranath Tagore (1861-1941), la professoressa scopre una frase sottolineata che la sorprende: “La migliore protezione dell’uomo come per l’insetto resta ancora quella di assumere  il colore del quello che lo circonda”. Un atteggiamento che l’uomo ha praticato con un senso acuto della sopravvivenza.

Uno pseudonimo operaio

Viatceslav Mikhailovic Skriabin, in arte Molotov (1890-1986), nasce il 9 marzo 1890 a Sovetsk, piccola città posta a sud di Kirov, a quasi mille chilometri da Mosca. Ben presto, il giovane aderisce al Bolscevismo e si iscrive nel 1906 al Partito Operaio socialdemocratico di Russia. E’ proprio a questa data che egli preferisce assumere lo pseudonimo operaio di Molotov (termine che significa martello). Il suo fervore da militante lo fa rapidamente mettere in evidenza. Nel 1912, l’uomo entra come segretario di redazione alla Pravda a San Pietroburgo, alla guida della quale Vladimir Ilic Lenin (1870-1924) ha posto Stalin. I due uomini fraternizzano ed aprono a Molotov una brillante carriera nel partito. Membro del Comitato Centrale dalla fine del 1916, Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista russo nel 1921, quindi dirigente del Komintern nel 1929 e successivamente, l’anno seguente, Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo (Sovnarkom), Molotov diventa il prototipo dell’uomo d’apparato, il gerarca che opera sotto l’ombra di Stalin. Il suo ruolo assume una nuova dimensione agli inizi degli anni 1930, quando prende in mano il problema della “dekulakizzazione” delle campagne. Questa vasta operazione di “pulizia” e di confisca dei beni dei Kulaki (proprietari agricoli dell’impero russo) marca una spietata repressione che segna l’eliminazione, attraverso le armi, di 30 mila persone e la deportazione di più di 2 milioni di individui, con il corollario di una delle peggiori carestie subite dal popolo russo, l’Holodomor (letteralmente “sterminio per fame”) che provocherà, sull’altare della collettivizzazione forzata, più di 5 milioni di morti, specialmente in Ukraina e nel Kuban. L’Holodomor verrà riconosciuto, nel corso del 2008, da parte del Parlamento europeo come un crimine contro l’umanità.

Politica del terrore

Molotov non si ferma di certo proprio all’inizio di un così fruttuoso cammino per lui. Il 1° ottobre 1934, il segretario del partito comunista per la regione di Leningrado, Serghiei Kostrikov, detto Kirov (1886-1934) uomo vicino a Stalin, viene assassinato in circostanze poco chiare. Il Vojd (la Guida Suprema) utilizza l’avvenimento per scatenare, per mezzo del processo di Mosca (Grigorj Zinoniev (1883-1936) e Lev Kamenev (1883-1936) fra gli accusati) e la sua giustizia d’eccezione, le “Grandi Purghe”. Fra il 1935 e la fine del 1938, la “riorganizzazione del terreno ideologico” risponde ad una politica di terrore. Vengono giustiziati gli oppositori politici, i nemici del popolo, i malati mentali, numerosi ufficiali dell’Armata Rossa (si stima a circa 1 milione il numero dei fucilati); vengono massicciamente deportati le elites intellettuali, gli apatridi, ecc., nei temibili campi del Gulag in Siberia, nel mar Bianco, nell’Ural. La cifra di 20 milioni di morti, vittime dello stalinismo risulta il dato più correntemente ammesso da parte degli studiosi del settore. La firma o la sigla di Molotov risulterà a margine di innumerevoli liste di condanne a morte collettive. Una sigla che sancirà ugualmente, in qualità di Ministro degli Esteri, il Patto germano sovietico (Patto Ribbentrop-Molotov) dell’agosto 1939, che segnerà l’ennesima spartizione della Polonia. Molotov, uomo “camaleonte”, si adatta agli avvenimenti della sua epoca.

Nel momento dell’attacco dell’URSS da parte di Hitler, nella notte sul 22 giugno 1941, Stalin incarica il suo protetto del discorso radiofonico al popolo sovietico. Alla morte del “piccolo padre dei popoli”, il 5 marzo 1953, si apre la guerra di successione fra Laurenti Beria (1899-1953) e Nikita Kruschev (1894-1971), con la vittoria del secondo e questi, una volta assunto il potere, fra le prime misure adottate, provvederà ad applicare quella della destalinizzare il partito comunista sovietico. Molotov, di fronte alla decisa azione di Kruschev, grida al colpo di stato e riunisce intorno a sé la vecchia guardia del partito. Ormai la sorte del fedele servitore di uno dei più feroci dittatori del 20° secolo sembra essere ormai giunta al capolinea. Nel 1957 Molotov viene escluso dal Politburo e quindi dal Partito Comunista. L’uomo sarà reintegrato nel 1984, due anni prima della sua morte, l’8 novembre 1986, all’età di 96 anni. L’uomo che propugnava il mimetismo con il suo tempo per meglio confonder visi, aveva fatto il suo tempo.


 

 

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