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Geopolitica

L'approvvigionamento idrico del bacino del Giordano

Analisi geopolitica sulle risorse idriche di un area ad elevata conflittualità


May 27 2002 12:00AM - Ing. Ivan CIOFFI


(Torino) PREMESSA

L’analisi geopolitica sviluppata nell’elaborato si inquadra nell’area del Medio Oriente (figura 1), caratterizzata, dal 14 maggio 1948 in poi (giorno in cui l’Inghilterra cessò il sua mandato sulla Palestina e ammainò la sua bandiera in seguito all’approvazione nel 1947 da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite della proposta di ripartire il territorio palestinese in uno Stato Arabo ed uno Ebraico), da più che precari equilibri geopolitici. La scala geografica di riferimento è pertanto considerabile regionale se ci limitiamo semplicemente (per modo di dire) ad analizzare i contrasti tra il mondo arabo e lo Stato israeliano, ma assume una dimensione ben più ampia e tale da poter essere considerata globale se teniamo conto del notevole interesse che tale difficile processo di pace suscita in importanti soggetti geopolitici quali gli Stati Uniti e non da meno l’Unione Europa; proprio quest’ultima, infatti, nella recente querelle relativa alla sorte dei tredici terroristi palestinesi “liberati” in seguito alla fine dell’assedio da parte di Israele della chiesa della natività, ha palesato un notevole interessamento alla risoluzione di una delle controversie più dibattute degli ultimi mesi. “Per pensare allo spazio al fine di agire efficacemente” (Jean) l’approccio che tale tema presenta lo si può considerare allo stesso tempo storico e geografico; il primo si riflette nell’assunto che l’attuale situazione di quest’area così come i suoi sviluppi futuri non possono essere compresi se non sulla base delle sue vicende passate; il secondo invece si manifesta nella rilevanza, ai fini geopolitici, dei fattori geografici dell’area, quali ad esempio i corsi d’acqua presi in esame nella presente relazione.

INTRODUZIONE

Il mondo è soprattutto acqua, ma di questa il 97% è salata. Il genere umano ha a sua disposizione uno scarso 1% di acqua dolce formato da laghi, fiumi e sorgenti, comunque sufficiente per tutta l’umanità se fosse distribuita in modo omogeneo nei cinque continenti e non invece in maniera diseguale tra paesi e regioni confinanti. Per comprendere la gravità del problema basta menzionare alcuni dati. Se nel 1950 20 milioni di persone erano prive di acqua potabile, nel 1995 il numero ammontava già a 300 milioni e nel 2050 si prevede saranno 7 miliardi, cioè il 65% della popolazione mondiale. In cinquant’anni la disponibilità d’acqua è diminuita di 3/4 in Africa e di 2/3 in Asia. Attualmente, un uomo su cinque non dispone di acqua da bere e uno su due vive in ambienti privi di sistemi igienico sanitari sufficienti. La quantità d’acqua potabile del pianeta si sta esaurendo. Le regioni a maggior “rischio” di penuria idrica sono sicuramente l’Africa del Nord ed il Medio Oriente; proprio qui, inoltre, il problema è amplificato dai contrasti politici tra i paesi che ne fanno parte. Si comprende allora come alcune dispute tra Stati per il controllo delle acque possono rappresentare dei “casus belli” e come la materia presenti una sua autonomia disciplinare e meriti un nome proprio: idropolitica o idrogeopolitica, da non confondere con la politica delle acque, che presuppone una corretta e coordinata gestione tra risorse ed esigenze, nonché tra zone idrologicamente eccedentarie e deficitarie. L’acqua è stata ribattezzata “il petrolio del XXI secolo” e, come per il petrolio, per essa nascono tensioni e si combattono guerre. “Conflitti sull’acqua, guerre sia internazionali che civili rischiano di diventare un elemento chiave del problema del XXI secolo” sostiene a riguardo Hans van Ginkel, rettore dell’università delle Nazioni Unite e responsabile del Rapporto Unep.



LE RISORSE IDRICHE NEL BACINO DEL GIORDANO

Premessa. Le precipitazioni scarse, le temperature elevate e la particolare disposizione dei rilievi montuosi hanno dotato gran parte del Medio Oriente di un’idrografia caratterizzata da pochi grandi fiumi e da una rete di corsi d’acqua minori a carattere torrentizio. L’acqua ha pertanto costantemente svolto, nella storia del Medio Oriente, un ruolo essenziale nel plasmare le condizioni dello sviluppo e nella stessa sopravvivenza delle popolazioni, assumendo un rilievo prioritario nell’organizzazione sociale e politica. La situazione è poi andata rapidamente deteriorandosi negli ultimi decenni per gli alti tassi di crescita demografica e per le ondate migratorie registratesi, da cui sono derivati tanto un aumento diretto del fabbisogno idrico, quanto una crescita della domanda di prodotti agro-alimentari e altri beni il cui processo produttivo incorpora cospicue quantità d’acqua (la cosiddetta “acqua virtuale”). La moltiplicazione dei bisogni ha determinato una crescente competizione tra diversi settori economici in termini di accesso alla quota di acqua disponibile. La conflittualità sul piano interno è, comunque, di gran lunga sovrastata da quella internazionale, legata alla spartizione delle risorse idriche tra i diversi paesi, i quali non sempre rispettano i princìpi di diritto internazionale come per esempio quello dell’eguale diritto all’utilizzo delle acque divise tra due o più Stati. Proprio in Medio Oriente la divisione tra upstreamer (Stati rivieraschi a monte) e downstreamer (a valle) ha originato una serie di servitù tali che ogni Stato vede dipendere le sue risorse idriche dal paese a monte. Lo scontro più rovente è rappresentato dalla disputa tra Libano, Siria, Israele, Giordania e i territori attualmente sotto la responsabilità dell’Autorità Palestinese per il controllo delle acque del Giordano e dei suoi affluenti. Per comprendere meglio molti dei contrasti e delle guerre che hanno insanguinato parte del Medio Oriente occorre conoscere il percorso geografico del letto del Giordano e analizzare le posizioni assunte dagli Stati indotti a confrontarsi con la scarsità di un bene più prezioso e indispensabile dello stesso petrolio.

Il bacino del Giordano.

Il bacino idrografico del fiume Giordano (figura 2) è un sistema idrico di 18.300 Kmq che si estende dall’Anatolia del sud (Monte Hermon) fino all’Africa nord-orientale (Mar Morto), includendo la valle della Beqaa in Libano, il mare di Galilea (Lago di Tiberiade), il Mar Morto. Esso è quindi politicamente e geograficamente diviso tra 5 Stati: Israele, Giordania, i territori palestinesi occupati (la Cisgiordania o West Bank e la striscia di Gaza) (figura 2), la Siria e il Libano. I primi tre menzionati coprono circa l’80 % del bacino in esame e sono gli attori principali della controversia. Il fiume, subito dopo aver oltrepassato il Libano, passa sulle alture del Golan (figura 3) da dove prosegue per formare il lago di Tiberiade (mare di Galilea o Lago Kinneret). Tale lago è l’unico serbatoio naturale del bacino ed è situato interamente nei confini israeliani. Di questa quantità d’acqua ivi giacente, una parte viene persa annualmente per evaporazione e 400 mmc/a vengono deviati nel National Water Carrier (NWC), l’acquedotto nazionale israeliano. Circa 500 mmc/a scorrono inoltre dal lago verso il Mar Morto a formare il basso Giordano. A 10 km a sud del lago, il Giordano viene raggiunto da est dal suo principale affluente, il fiume Yarmouk (400-500 mmc/a ) che sorge in Siria, forma il confine siriano-giordano per 40 km e quello israeliano-giordano nel tratto successivo. Nonostante il suo corso d’acqua sia più corto di quello del Giordano la sua geopolitica non è meno complessa poiché le sorgenti principali di tale corso d’acqua sono situate in Siria. Dal punto di confluenza con lo Yarmouk, il fiume confluisce tra la West Bank (che, sotto il controllo di Israele dalla guerra dei sei giorni, rappresenta il principale motivo di conflitto con i palestinesi ) (figure 2 e 4) e la East Bank (Transgiordania). In sintesi, il 54% del bacino del fiume è sotto la sovranità giordana, il 30% sotto quella della Siria, il 14% è israeliano e il 2% libanese. La vera ricchezza del fiume sta principalmente nella parte settentrionale dove è al massimo della sua portata e la salinità è bassa, ma soprattutto perché solo qui è possibile usare “l’arma” della deviazione del letto rispetto agli Stati downstreamers. Tutti gli Stati rivieraschi, infatti, lungi dal collaborare hanno tentato, a turno, di deviare il corso del fiume o dei suoi affluenti, o di costruire dighe, al fine di limitare l’affluenza idrica a danno degli altri paesi.

L’APPROVVIGIONAMENTO IDRICO IN MEDIO ORIENTE

In Israele.

La dotazione idrica di Israele è estremamente limitata poiché il Giordano riversa annualmente nel Mar Morto solo 1200 mmc/a di acqua. Inoltre questo quantitativo è inegualmente distribuito in rapporto alla popolazione; le risorse idriche sono infatti dislocate in maniera diversa rispetto alle aree a più alta domanda in quanto, mentre la popolazione, le industrie e le terre irrigabili sono concentrate nella parte centrale del paese e nelle pianure costiere, le zone più ricche di acqua si trovano a nord ed a sud-est. In aggiunta, circa duemila pozzi pompano acqua dalle due principali falde del paese, la montana e l’orientale, in una quantità di circa 450 mmc/a. Tale eccessivo pompaggio durante gli ultimi 25 anni ha però causato un abbassamento del livello delle falde ed una maggiore salinità dovuta alla penetrazione di acqua dal mare, per cui molti pozzi dovranno essere chiusi. Il conseguente obiettivo di aumentare la dotazione di risorse idriche ha connotato tutta la strategia israeliana, in quanto la loro scarsità ha rappresentato, sin dalla costituzione dello stato, un grave vincolo allo sviluppo economico. La stessa guerra dei sei giorni si è presentata sin dai suoi esordi (al di là di quelli che sono i suoi indubbi risvolti strategico-militari) come una guerra per l’acqua, così come ha risposto agli stessi obiettivi l’occupazione israeliana del Libano del 1980. Entrambe hanno infatti permesso ad Israele di estendere il suo controllo su importanti risorse idriche della regione, quali l’altopiano del Golan, la Cisgiordania, dove sono presenti discrete falde acquifere artesiane, i fiumi Hasbani e Litani che scorrono nel Libano meridionale. Da una valutazione complessiva delle risorse emerge che circa due terzi dell’acqua consumata da Israele ogni anno proviene da territori su cui il paese ha imposto il suo controllo; la tecnologia adottata, però, ha consentito ad Israele di collocare le stazioni di captazione all’interno dei confini “originari“ e, dunque, al sicuro da eventuali rivendicazioni palestinesi.

In Giordania.

Il Regno hashemita è uno dei paesi più aridi del mondo; le acque di superficie di cui dispone il paese si compendiano quasi integralmente nel basso corso del Giordano, scarso d’acqua in quanto i prelievi massicci da parte di Israele dal lago Tiberiade fanno sì che il flusso in uscita del fiume risulti estremamente limitato e soprattutto tenda sempre più a salinizzarsi, al punto da non poter trovare più utile impiego in agricoltura. La fonte principale degli emungimenti è costituita, perciò, dallo Yarmouk, anche se lo sfruttamento del suo bacino, sia da parte di Israele che della Siria, si è notevolmente accresciuto negli ultimi anni in seguito ai progetti idrici varati da tali paesi.

In merito alle risorse sotterranee, la principale fonte è costituita dalla falda acquifera del Disi, nel deserto meridionale della Giordania che ha subito un forte deterioramento in seguito al pompaggio effettuato dall’Arabia Saudita sul prolungamento della stessa formazione rocciosa; anche la falda sottostante l’oasi di Azraq, ad est di Amman, è in via d’impoverimento per i continui prelievi necessari ad alimentare la capitale. Per sottrarsi ad un cronico e crescente deficit idrico la Giordania dovrebbe disporre almeno di un grande bacino di stoccaggio delle acque dello Yarmouk; era l’obiettivo che il paese si prefiggeva con la realizzazione di due dighe che avrebbero permesso di immagazzinare il flusso del fiume e di produrre energia idro-elettrica. La loro costruzione ha però trovato per anni una ferma opposizione da parte di Israele che temeva una riduzione della portata del Giordano per l’aumento dei prelievi sullo Yarmouk. I primi cantieri della diga sono stati allora distrutti durante la guerra dei sei giorni. Il progetto, ripreso in anni più recenti, si trova ancora in una fase di stallo.

Nei Territori Occupati .

L’importanza della West Bank non è nelle acque di superficie (molto scarse) ma nel fatto che divide le falde acquifere costiere con Israele. Israele utilizza il 94 % dell’apporto idrico annuale di tali falde in quanto ha adottato, negli anni passati, una intensa politica di colonizzazione dei territori occupati attraverso la costituzione di kibbutz e di gruppi organizzati, tant’è che qualsiasi trivellazione di un nuovo pozzo da parte palestinese necessita di un rilascio di un permesso israeliano. Il citato NWC israeliano, ente gestore dell’acqua, ha operato con successo per molti anni, costruendo un sistema sofisticatissimo di ruscelli, pozzi, arterie, canali e tunnel di ogni grandezza che portano l’acqua del Giordano e delle falde acquifere alle stazioni di pompaggio dislocate in tutti i centri abitati israeliani, che a loro volta dirigono l’acqua verso le case o le campagne. Tutto ciò nonostante la continua e ferma opposizione dei palestinesi, basata su argomentazioni giuridiche di diritto internazionale quali le “Hague Regulations” del 1907 e la “IV Convenzione di Ginevra” del 1949 sui diritti e doveri del belligerante occupante, trattati internazionali che vietano ad uno Stato occupante di trasferire la sua popolazione civile nei territori occupati.

Secondo le leggi in vigore prima dell’occupazione, quelle del Mandato britannico e del Regno giordano, l’acqua era una ricchezza privata, vale a dire che i proprietari della terra esercitavano il loro diritto sull’acqua sorgiva e sotterranea. Con le leggi attualmente in vigore l’acqua è invece una pubblica proprietà, e ciò consente ad Israele di potersi legalmente appropriare delle risorse che da private, e quindi palestinesi, attraverso la colonizzazione delle terre diventano pubbliche, e quindi israeliane. La nazionalizzazione delle risorse infrange le citate convenzioni poiché secondo la pre-vigente legge giordana i diritti idrici erano connessi alla propria terra, ma il governo israeliano, al contrario, con l’occupazione della West Bank e della striscia di Gaza sostiene di non aver sostituito alcuna sovranità legittima, poiché la stessa Giordania e l’Egitto avevano illegalmente occupato questi territori nel 1948. Secondo tale argomentazione i territori conquistati in Giordania e in Egitto nel 1967 sono ufficialmente considerati come “amministrati” da Israele e non come “occupati”, ovvero una sorta di terra di nessuno dove le regole di diritto internazionale universalmente accettate non trovano piena applicazione.

La crisi idrica nella striscia di Gaza.

Una situazione altrettanto drammatica si registra nella striscia di Gaza che, con più di 2000 persone per km quadrato, è una delle aree più popolate al mondo. La situazione idrica è molto critica ed è di fatto opposta a quella della Cisgiordania; la falda acquifera è infatti una estensione di quella costiera di Israele e il rifornimento dipende dal comportamento di quest’ultimo. Tale falda è sfruttabile in modo sostenibile per circa 60 mmc/a ma adesso lo è fino a 120, con il risultato di forti infiltrazioni di acqua salmastra nella falda freatica. La qualità dell’acqua cioè peggiora con il tempo. I palestinesi in sostanza non possono irrigare e coltivare le loro terre. Mentre le colonie in Cisgiordania sono capaci di irrigare circa il 70% della loro terra coltivabile, una proporzione che è persino più alta che nello stesso Israele, non più del 5-6% della terra palestinese in Cisgiordania ha le stesse possibilità. Ciò ha spinto molti contadini ad abbandonare la loro iniziale attività e a spostarsi verso le città, spesso diventando disoccupati o lavorando a giornata dentro Israele. Inoltre, secondo le leggi applicate dall’amministrazione israeliana, la terra abbandonata è più facile da confiscare o da dichiarare vietata a qualsiasi tipo di coltivazione. Tutto ciò presuppone che le politiche idriche di Israele siano state usate per consentire un lento ma continuo processo di appropriazione della terra palestinese.

In Siria.

La Siria controlla le acque del fiume Yarmouk, che scorre al confine tra Siria e Giordania. A cavaliere degli anni settanta essa iniziò la costruzione di piccole dighe e sbarramenti sugli affluenti dello Yarmouk con l’obbiettivo di aumentare l’irrigazione delle terre sulla parte del Golan che rimaneva sotto il controllo siriano dopo la guerra dei sei giorni, consentendo il rilancio dell’economia locale. Israele ha però accesso alle acque di tale fiume a seguito dell’occupazione delle alture del Golan e si procura tra il 25% e il 35% delle sue risorse. Attualmente continuano le tensioni tra i due paesi per la delimitazione del confine; il problema riguarda il fatto che le zone in questione non solo attraversano in un punto il fiume Giordano ma fanno anche parte delle coste del lago di Tiberiade, per il quale la Siria richiederebbe parte dei diritti sull’acqua del lago.

In Libano.

Alcuni progetti libanesi analizzano la possibilità di deviare il Litani nella valle della Beqaa e il Kharade che ora è posto dentro “la zona di sicurezza del sud” del Libano. La denominata “zona di sicurezza” delineata da Israele include convenientemente il Litani, il suo affluente Wazzani e l’Hasbani. Anche se Israele nega di deviare l’acqua del Litani, lo sta di fatto facendo nella “zona di sicurezza”, dove agli stessi libanesi non è permesso drenare pozzi oltre una determinata quantità. La guerra dei sei giorni e l’occupazione israeliana.

Ariel Sharon disse:

“Le persone generalmente considerano il 5 giugno 1967 come il giorno in cui iniziò la guerra dei sei giorni. Questa è la data ufficiale, ma in realtà la guerra dei sei giorni iniziò due anni e mezzo prima, nel giorno in cui Israele decise di agire contro la deviazione del Giordano”. Il primo obiettivo bombardato dall’esercito israeliano fu infatti proprio il cantiere edile relativo a tale deviazione. La guerra fece di Israele la massima potenza in termini di capacità militare e fruttò al paese una notevole espansione territoriale, sostanziali vantaggi strategici e il dominio di gran parte delle risorse idriche dell’area. Israele controllava tutte le risorse idriche della Palestina, le acque di superficie e le falde sotterranee della Cisgiordania, le acquifere della striscia di Gaza del Sinai e delle alture del Golan. Queste ultime, oggetto di innumerevoli negoziazioni volte alla pace tra Israele e Siria, assurgono ad una straordinaria importanza politica, economica e strategica. La loro posizione sopraelevata le trasforma in un eccellente punto di protezione ed osservazione verso la Siria, rendendo estremamente difficile un attacco a sorpresa dei siriani. Ma in quei sei giorni di giugno rimaneva ancora in sospeso l’accesso alle risorse idriche libanesi, per cui, dopo una serie di attacchi di gruppi palestinesi provenienti da campi profughi libanesi, Israele nel 1978 occupò una piccola striscia di territorio libanese, “la zona di sicurezza”, impedendo quindi ogni piano di deviazione del terzo affluente dell’alto Giordano, l’Hasbani. Sul fronte degli sconfitti, la Giordania fu il paese che subì le conseguenze più gravi, perdendo la Cisgiordania, cioè 1/3 dei suoi territori agricoli migliori. Il Regno hashemita cedette anche Gerusalemme, non solo simbolo religioso ma fulcro della industria turistica. Si ritrovò a dover affrontare problemi economici, sociali e politici dovuti all’aumento della popolazione causato dall’arrivo di 300 mila profughi palestinesi provenienti dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania. In termini di risorse idriche, vide inoltre cambiare la sua situazione radicalmente poiché Israele occupava il 20% della riva settentrionale del fiume Yarmouk, unica fonte abbondante di acqua dolce.

Il Libano e la Siria, invece, avendo perso la loro posizione di paesi upstreamers, non erano più considerati parte del bacino dell’alto Giordano, tuttavia la Siria manteneva il suo status di paese in posizione superiore rispetto al fiume Yarmouk. In ogni caso essa, uscita sconfitta territorialmente, militarmente e psicologicamente, si ritirò dalla disputa per l’acqua del bacino, seguita dal Libano. La Giordania giunse ad accettare, almeno tacitamente, la nuova sistemazione geopolitica come un dato di fatto; l’obiettivo principale del Regno fu limitato ad assicurare una giusta allocazione delle acque del bacino del Giordano-Yarmouk. I motivi che indussero questo cambiamento sono da ricercare nel contesto in cui si trovò la Giordania in quel periodo: da un lato dovette fare i conti con la critica necessità di accesso a risorse idriche problematiche e con la prossimità geografica di un paese militarmente forte, dall’altro c’era la difficile posizione del paese all’interno del mondo arabo come parte di esso, ma senza la capacità di prendere una posizione indipendente. Il risultato fu una sorta di pax in bello con Israele; senza tali accordi, le necessità interne non avrebbero potuto essere soddisfatte e ne sarebbero derivate minacce alla sicurezza nazionale.

L’approvvigionamento idrico come problema ancora irrisolto che pesa sul negoziato di pace. I maggiori esperti idrici del mondo confermano che l’unico modo per sfruttare al massimo le risorse idriche di un bacino sta nella cooperazione dei paesi rivieraschi. Come visto, i paesi mediorientali hanno raramente collaborato, e quasi mai di propria iniziativa, fino agli anni ottanta.

La questione idrica tra Israele e Giordania è stata affrontata pienamente solo con il Trattato di pace dell’ottobre 1994, grazie al quale i due paesi hanno deciso la riallocazione delle acque dei fiumi Giordano e Yarmouk e si impegnano a “non recare danno in alcun modo alle risorse idriche delle altre parti attraverso i loro progetti per lo sviluppo dell’acqua”. L’accordo rimane bilaterale , influendo così sul comportamento degli altri Stati rivieraschi, specialmente la Siria , con la quale non sono state raggiunte intese. Il Trattato di pace deve essere quindi completato da eventuali accordi con gli Stati rivieraschi o, meglio ancora, potrebbe essere sostituito da un nuovo accordo più ampio che includa tutte le parti interessate. Perché ciò sia possibile dovranno essere prese in considerazione tutte le particolari e differenti esigenze delle parti.

L’importanza della partecipazione della Siria e del Libano ai negoziati di pace. La Siria chiede che gli accordi di pace comprendano anche il ritiro dalle alture del Golan e il ritorno dei confini a quelli precedenti il 1967, ma Israele dichiara che sarebbe disposto a fare questo passo pericoloso solo se la Siria non rappresentasse più una minaccia militare per il paese, cosa possibile solo attraverso la smilitarizzazione di gran parte del suo esercito e la riduzione del numero di soldati e carri armati appostati tra il confine israeliano e Damasco. Anche per il Libano la pace passa per il ritiro dal Golan e dalla “zona di sicurezza”; solo cosi tutti gli Stati arabi di frontiera sarebbero in pace con lo Stato ebraico. Quindi solo se andasse in porto il decisivo negoziato con la Siria e il Libano la strada della pace in Medio Oriente diverrebbe scorrevole e in discesa e permetterebbe di gettare le basi per una pace globale che coinvolgerebbe quindi Israele e l’intero mondo arabo.

CONCLUSIONI

Per il futuro è molto dibattuta la questione di quale possa essere la soluzione appropriata per risolvere il problema della ripartizione e della divisione delle risorse idriche nel bacino del Giordano. Secondo i dati forniti dall’Accademia Palestinese per gli Affari Internazionali i palestinesi hanno a disposizione solo 115 mmc/a d’acqua su una capacità totale di 600 milioni, vale a dire il 15%. Gli israeliani al di fuori della Cisgiordania e della striscia di Gaza consumano tre volte l’acqua che consumano i palestinesi, e i coloni degli insediamenti ebraici dei territori occupati addirittura sei volte di più. Varie sono state le soluzioni proposte da più parti e da esperti idrici per risolvere tale problema come per esempio la desalinizzazione dell’acqua marina o la depurazione costituita dal recupero delle acque di scarico. Il problema è, certamente, prima che tecnico o tecnologico, politico. Il diritto internazionale ha posto i principi di una pace giusta e durevole: ritiro di Israele da tutti i territori occupati nel 1967, diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, diritto di Israele alla pace e alla sicurezza all’interno di frontiere sicure e riconosciute. Nei fatti molto dipenderà dall’impiego delle rispettive parti a collaborare e a cercare una soluzione definitiva e pacifica della controversia per favorire una pace stabile in tutta la Regione. Dall’acqua dipende il destino della pace, è uno degli elementi chiave del negoziato. All’interno di un quadro caratterizzato infatti dalla cristallizzazione di nuovi e vecchi antagonismi, è possibile individuare nell’acqua un fattore fondamentale in grado di creare i presupposti per un accordo; l’accesso al suo beneficio, finora visto come una mera questione strategica da risolvere “manu militari”, in seguito al deterioramento della situazione non può più essere gestito attraverso semplici atti di forza.

L’acqua potrebbe essere non la causa di guerre ma di futura pace e come ha osservato Peres, premio Nobel per la pace e ministro per la cooperazione regionale del governo Barak “ il fuoco delle armi divide i paesi, l’acqua potrebbe unirli”.



BIBLIOGRAFIA

Carlo JEAN, Geopolitica.

Adalberto VALLEGA, (1994) Geopolitica e sviluppo sostenibile. Il sistema mondo del secoli XXI.

Pasquale COPPOLA ed Eugenia FERRAGINA (1997) Lo scacchiere del disagio.

Sito internet www.studiperlapace.it.

 

 

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