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I MISTERI DEL SIGNOR FOUCHE’ Un antesignano dei politici nostrani. Le sue specialità: cambio di casacca e salto della quaglia. 15/08/2015 - Massimo Iacopi (Bardonecchia) I MISTERI DEL SIGNOR FOUCHE’ Uomo capace di qualsiasi “ribaltone”, il regicida Fouché è sopravvissuto alla Rivoluzione, prima di servire e quindi tradire Napoleone, Egli ha tentato persino di continuare la sua sorprendente carriera sotto la Restaurazione. Giuseppe Fouché (1759-1820) è stato un personaggio che ha attirato, nel corso del tempo, la curiosità di numerosi scrittori e le loro numerose biografie hanno contribuito a fornire elementi di chiarificazione nella conoscenza di un uomo di potere che ha passato tutta la sua vita fra la penombra, inganni e false apparenze. Per evocare il personaggio i contemporanei hanno utilizzato fino all’eccesso delle metafore tratte dal mondo animale: “lince”, “gatto-tigre”, “faina”, “iena”, “volpe”, “serpente”, che evocano, allo stesso tempo, astuzia e crudeltà. Senza dubbio il personaggio incuteva paura e non senza motivi, ma allo stesso tempo egli affascina, emanando una inquietante seduzione, quella di un uomo che ha esercitato una grande influenza sulla sua epoca. In definitiva, l’immagine che Fouché ha lasciato alla posterità, presenta aspetti caricaturali e mitici allo stesso tempo. In effetti, non risulta facile per i suoi biografi ritrovare, dietro lo schermo di una cortina fumogena o di giochi di ombre cinesi, la verità e gli sforzi per cogliere gli aspetti reali del personaggio risultano conseguentemente molto ardui e complessi. In effetti, da geniale poliziotto quale egli è stato, Fouché è riuscito a confondere ed a truccare tutto nella sua vita , persino il suo stato civile che ha cercato di cancellare, facendo strappare dal registro parrocchiale di Pellerin, nei pressi di Nantes, il suo paese natale, la pagina dove era riportato il suo atto di battesimo. L’esistenza di un fratello più anziano di lui ed omonimo, morta in giovane età ha contribuito a semplificare la cosa. Di fatto, secondo le ricerche dello storico Luis Madelin (1871-1956), il suo primo biografo, Giuseppe Fouché è nato il 21 maggio del 1759. La sua famiglia, insediata sull’estuario della Loira da diverse generazioni, vi viveva di artigianato legato alla navigazione e si era arricchita tanto da permettere a suo padre di ottenere un brevetto di capitano di lungo corso. Comandante di un brick negriero, fatto che non ha minimamente impedito a suo figlio, in pieno Terrore, di presentarsi come “amico dei Negri” e come fautore dell’abolizione della schiavitù. Fouché padre aveva già abbondantemente venduto del “legno d’ebano”, tanto da acquistarsi una piccola piantagione a S. Domingo e sfruttare la sua manodopera servile nella sua fabbrica di rum. Sarà al ritorno da un viaggio della tratta che morirà di febbri a bordo della sua nave. Giuseppe non si vanterà delle attività paterne ma conserverà del “negriero” oltre ad un fortissimo senso degli affari e del denaro, una mancanza assoluta di scrupoli e di compassione. Difetti questi che, in tempi di Rivoluzione, diventano delle virtù !!! La sua fragile salute lo allontana dalla carriera marittima ed, allievo degli Oratoriani, egli vi diviene a sua volta professore laico, come la maggioranza degli insegnanti dell’Ordine, ma la tonaca che tutti i confratelli dell’Oratorio erano obbligati ad indossare servirà a favorire la confusione e consentirà di farlo passare come un prete “spretato”. Presso gli Oratoriani, verso il 1780, si credeva meno in Dio che all’Illuminismo. Fouché non sfuggirà alla regola, uscendo dal quell’ambiente definitivamente ateo. Nominato insegnante presso il Collegio di Arras nel settembre 1788, questo eccellente pedagogo, che trarrà da questa esperienza l’arte di attirare le giovani intelligenze, effettuerà nella città due incontri decisivi: entra nella massoneria e diventa amico di Massimiliano Robespierre (1758-1794), amicizia rapidamente rotta, a causa del rifiuto di Massimiliano di concedergli la mano di sua sorella Charlotte (1760-1834). Ma sarà proprio sull’esempio del giovane deputato dell’Artois che Fouché abbandonerà l’insegnamento delle scienze per lanciarsi in politica. Quelli che lo hanno personalmente conosciuto a quell’epoca lo dipingono come “livido, grigio, smorto”. Da una disgrazia fisica che contribuisce ad accentuare una bruttezza scostante, il nostro personaggio apprende, pur soffrendone, a farsene un jolly. Fouché è stato l’uomo che si confonde nella folla, che diviene invisibile, che manipola tutti quanti, passando, tuttavia, praticamente inavvertito. Questo talento gli consentirà diverse volte di sfuggire alle conseguenze dei suoi atti, dei quali egli sarà straordinariamente capace di addossare la responsabilità a suoi accoliti che, a sua differenza, non avevano avuto la prudenza di coltivare la discrezione. In effetti, la leggenda, proposta da alcuni, che dipinge un Fouché giovane, inesperto e timido, coinvolto in eccessi da gente più cattiva di lui, non appare credibile. Rapidamente trasformatosi in rivoluzionario, Fouché diventa un estremista. Nella società della fine dell’Ancien Regime più aperta che mai, per avere successo occorreva fascino, della capacità di presenza e di parola, qualità per saper vivere in società, bellezza fisico o, comunque, almeno il denaro. Fouché non possedeva nulla di cui sopra e quindi, per lui, diventava imperativo abbattere questo mondo e costruirne un più adatto a lui e si impegnerà a fondo su questa strada. Tutto il suo percorso rivoluzionario, dai suoi inizi a Nantes, dove viene eletto deputato della Loira inferiore alla Convenzione, fino al Termidoro ed anche dopo, si riassume nell’ossessione di distruggere la società francese, minandone le sue basi cristiane e monarchiche, al fine di sostituire per mezzo della violenza e dell’oppressione, valori nuovi e di mantenere il controllo di queste nuova struttura. Alcuni storici, studiando i discorsi di Fouché del periodo di Nantes hanno messo in risalto una evidente continuità fra il suo pensiero del 1790-92 e la sua azione alla Convenzione. Regicida senza appello, Fouché non si è fatto guidare dalla paura, come molti hanno affermato. Egli ha intravisto un suo tornaconto a votare con la maggioranza, fatto che gli eviterà delle noie, ponendolo nel campo dei vincenti; ma egli con questa scelta ha certamente tenuto conte della sue opinioni personali. Al centro dell’ideologia repubblicana di cui egli diventerà uno dei “preti” o “padri dottrinali”, non c’è più posto per un re. Fare giustiziare Luigi 16° (1754-1793) significa gettare la basi fondanti di un nuovo regime e Fouché lo sa bene, lui che, nell’ombra, nel marzo 1804, spingerà Napoleone Bonaparte (1769-1821) a far fucilare il Louis Antoine de Bourbon Condé, duca d’Enghien (1772-1804), obbligandolo così a legare il suo destino e i suoi sogni monarchici a quelli dei regicidi. Dopo l’abbattimento della monarchia ora è il turno della religione. In questo fatto si capisce che Fouché ha dei conti personali da regolare con la Chiesa ed il clero. La maniera con la quale, nella primavera del 1793, porterà alcuni preti di Nevers, terrificati dalla paura, ad abiurare al loro sacerdozio ed a sposarsi pubblicamente, assume le caratteristiche di una vera vendetta privata. Ma non solo. In questo fatto Fouché si dimostra terrificante, perché egli incarna una ideologia materialista, atea, che pretende di non riconoscere altre leggi al di fuori di quelle della Repubblica, pronto a trasformare questa istituzione in un idolo onnipotente, davanti al quale ognuno deve inclinarsi. L’atteggiamento, annunciatore del totalitarismo, per certi aspetti risulta di una certa modernità e molti vi fanno ancora riferimento. A Nevers ed a Moulins, Fouché mette in scena la rivoluzione con grande rinforzo di feste e cerimonie; in tal modo egli distrugge gli oppositori irrecuperabili ma farà in modo che le esecuzioni vengano imputate ad altri, assentandosi nei momenti opportuni. Gioco che continua ad applicare, su un più vasto scenario ed a maggiore scala, a Lione, fra il novembre 1793 ed il marzo 1794. La storia si è poco soffermata sugli spaventosi massacri di cui Lione, insorta e quindi riconquistata, è stata vittima e molti pensano che Fouché debba necesariamente aver avuto un suo ruolo, proprio perché egli ha provveduto a cancellare l’essenziale delle sue tracce. Su Jean Marie Collot d’Herbois (1749-1796), che l’accompagnava, ricadranno tutte le colpe, anche se molti documenti lasciano intravvedere il ruolo centrale della sue discrete apparizioni nelle mitragliate contro gli insorti nella piana di Brotteux e nelle esecuzioni per ghigliottina a Bellecour. Questi massacri costituiscono parte importante del culto traviato che Fouché sta organizzando nel suo obbiettivo di purificare la Patria. Per la loro rilevanza ed il loro orrore, questi massacri non hanno nulla da invidiare agli affogamenti di Jean Baptiste Carrier (1756-1794), il boia della Vandea, ancora un amico di Fouché … a Nantes, ma il “Fustigatore di Lione” non pagherà mai per i suoi crimini. Non è per l’intensità sanguinaria della sua repressione che il nostro verrà richiamato a Parigi, ma per l’inquietudine di Robespierre di fronte ai poteri esorbitanti che si sono attribuiti i rappresentanti della Convenzione in provincia. La rivoluzione è centralizzatrice e Massimiliano incarna questo aspetto. Per di più, l’ateismo attivista di Fouché preoccupa questo deista. Due concezioni della Repubblica e del Terrore che dovranno inevitabilmente affrontarsi e, Fouché, senza abbandonare il dietro delle quinte, non smetterà di lavorare per la disgrazia del suo nemico, fino ad inviare l’incorruttibile al patibolo. Fouché, quello che risorgerà sotto il Direttorio, dopo essere sfuggito all’epurazione termidoriana, per impadronirsi del Ministero della Polizia e per mai più riconsegnarlo, si è forgiato durante il periodo del Terrore. Egli cercherà in tutti i modi di ridurre il suo ruolo in tali eventi, ma nessuno dimenticherà che egli ha le mani lorde di sangue ed una parte di questi sarà bloccata dalla paura che il personaggio continua ad inspirare. Tuttavia, nel frattempo, Fouché, mentre nel profondo resta fedele alla sue scelte giovanili, rimanendo il terrorista glaciale che è sempre stato, si ingegna a presentare al mondo un altro volto, più affabile, se non accattivante. Molti biografi hanno sottolineato la paradossale sincerità di questa duplicità apparente. Ci sono sempre due Fouché: l’ideologo totalitario che, sotto l’Impero e fino al 1815, si sforza di salvare quello che può della sua Repubblica idolatrata; e l’altro, sposo amorevole, padre esemplare, amico fedele e devoto, a volte ed all’occorrenza seduttore, capace di un certo fascino, che ha acquisito nella gestione del potere e della potenza, per accattivarsi le simpatie delle alte dame dell’aristocrazia, mentre, nello stesso tempo, egli continua a perseguitare, senza pietà, fino a spedirli al plotone d’esecuzione o a farli pentire (fatto che risulta molto disonorante) gli uomini che le stesse dame amano. In tutto questo tempo Fouché si industria a rendere le sue trame impenetrabili, così come gli scaltri intrighi che annoda al fine di infiltrare, comprare, compromettere o distruggere le reti monarchiche. Dal “tenebroso affare” del senatore Dominique Clement de Ris (1750-1827), barone di Maunay, al colpo di Georges Cadoudal (1771-1804), capo degli Chouans, passando per l’attentato di S. Nicasio, la sera del Natale del 1800, il ministro si inventa ovunque, a Parigi, in Bretagna, a Londra, annichilendo le minacce che pesano su Bonaparte, ingegnandosi allo stesso tempo a renderle terribilmente credibili, perché è solo attraverso la paura che egli riesce a mantenersi al vertice ed a mantenere Napoleone sotto controllo. Rasenta il geniale il modo in cui egli si serve della famiglia imperiale per contrastare le decisioni dell’imperatore che gli dispiacciono. Nel momento in cui Bonaparte riuscirà a valutare correttamente la dipendenza nella quale lo tiene il suo temibile ministro di Polizia, per l’imperatore sarà troppo tardi. Egli sarà, in effetti in condizione di dimetterlo dalla sua carica, ma non riuscirà a disfare la prodigiosa macchia che nel frattempo egli ha costruito. Fouché, in effetti, è ormai in grado di controllare tutto. Non solo sotto l’aspetto delle informazioni generali, ma anche la stampa, l’opinione pubblica, le opposizioni e persino la diplomazia segreta e parallela che tende meno a preservare gli interessi nazionali rispetto a quelli di Fouché, diventato prodigiosamente ricco (sebbene faccia del tutto per non mostrarlo troppo), ma certamente meno “parvenu” nelle apparenze degli altri. Per finanziare tutto questo, Fouché dispone dei suoi fondi neri, finanziati dai circoli del gioco. Contro queste reti occulte, né il generale Anne Jean Marie René Savary (1774-1833), duca di Rovigo, il suo successore, né Antoine Balthazar Joseph d’André (1759-1825), che prenderà, con scarsi risultati, il suo posto, nel 1814, non avranno un grande impatto. Napoleone pagherà molto caro il fatto di aver cacciato il duca di Otranto, titolo cui Fouché teneva molto e di cui si sentiva molto orgoglioso. In definitiva, l’uomo è ripugnante, ma assolutamente indispensabile. Di fatto, nel 1815, Luigi 18° di Borbone (1755-1824) ha la saggezza di comprenderlo e di passare sopra all’orrore che gli ispira. Ma non per molto tempo … Se l’opinione monarchica, al seguito di François René de Chateaubriand (1768-1848), si indigna nel veder passare “il vizio appoggiato al braccio del crimine”, ovvero la coppia Talleyrand (1754-1838) e Fouché, entrambi chiamati a far parte del governo, lo scandalo non durerà a lungo. Per la prima volta nella sua vita, Fouché commette l’errore di sottovalutare l’avversario. Egli perde il suo ministero a partire dal 16 settembre e nei giorni seguenti egli lascia la Francia dove non ritornerà più, colpito, nel gennaio 1816, dalla legge del bando che riguarda tutti i regicidi. L’uomo muore, solo e vilipeso, a Trieste, nel dicembre 1820 a causa di una tubercolosi, che lo minava sin dalla sua infanzia. Purtroppo e nonostante tutto, le sue idee ed i suoi metodi gli sono sopravvissuti … BIBLIOGRAFIA Waresquiel Emmanuel de, “Fouché ou les silences de la pieuvre”, Tallandier/Fayard, 2015.
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