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Geopolitica

Aspetti strategici dell'Acqua

L'Idropolitica


Jun 15 2002 12:00AM - Dr. Vincenzo BONAVITA


(Torino) L’ORO BLU

Prima di esporre alcuni concetti di “idropolitica” è opportuno incentrare l’attenzione sull’importanza dell’acqua per la civiltà umana, e ,sul ruolo, sempre più centrale, che tale risorsa è destinata ad assumere nei prossimi anni. L'acqua, per la chimica H2O, è sicuramente un fattore limitante dello sviluppo. Anche quando sono disponibili - mano d'opera, capitale, terra, minerali, risorse naturali - la scarsità o la mancanza di acqua impedisce una vita domestica e urbana decente e moderna, l'agricoltura,le attività manifatturiere,ed il turismo. Nella storia essa ha avuto anche molteplici usi militari: i feudatari nel Medioevo riempivano d’acqua i fossati attorno ai castelli, nelle guerre d’oggi si avvelenano i fiumi e si bombardano le centrali idroelettriche. Benché apparentemente l'acqua sia una risorsa rinnovabile, le cui riserve sono continuamente reintegrate attraverso il grande ciclo naturale, in molte zone della terra l'acqua è scarsa; in altre è abbondante, ma la qualità delle riserve viene continuamente peggiorata dall'inquinamento e la disponibilità di acqua di buona qualità si fa progressivamente sempre più scarsa. Gli attentati alle risorse idriche, bene collettivo per definizione, sono una forma di violenza: non c'è perciò da meravigliarsi se, per la conquista dell'acqua vengono combattute guerre, proprio come per la conquista di altre materie prime essenziali per la vita umana. TABELLA 1. Disponibilità d'acqua per abitante e per regione, 1950-1980 (miliardi di m3) Regione 1950 1960 1970 1980 Africa 20,6 16,5 12,7 9,4 Asia 9,6 7,9 6,1 5,1 America latina 105,0 80,2 61,7 48,8 Europa 5,9 5,4 4,9 4,4 America del Nord 37,2 30,2 25,2 21,3 Fig.n.1 (disponibilità di acqua nel mondo). Sulla terra c’è acqua in abbondanza: il 71% della superficie terrestre ne è ricoperto, ma solo il 2% è utilizzabile per bere, per l’irrigazione, per usi industriali. Le statistiche parlano chiaro: 232 milioni di persone dispongono di una quantità d'acqua inferiore al livello minimo di 1.000 metri cubi pro capite all'anno e 400 milioni soffrono di stress idrico, cioè prelevano acqua a un ritmo più elevato del ripristino naturale delle sorgenti. Fig.2 (il consumo di acqua nel mondo) Il consumo si è moltiplicato per sette dall'inizio del secolo, il 40 per cento della popolazione del pianeta ha difficoltà di approvvigionamento e nello spazio di una generazione il numero degli esseri umani che non avrà sufficiente acqua potabile salirà a 1,5 miliardi. L'offerta resta stabile, mentre la domanda cresce in modo esponenziale, a causa dell'intensificazione della produzione agricola che assorbe la maggior parte dell'acqua dolce disponibile. In media ogni abitante del pianeta consuma oggi il doppio di acqua rispetto all'inizio del 1900. Ancora cinquant'anni fa nessun paese registrava livelli catastrofici riguardo all'approvvigionamento idrico. Oggi un individuo su tre, circa due miliardi di persone, non ha accesso all'acqua potabile. Se tale tendenza rimarrà invariata saranno dai tre ai quattro miliardi nel 2020. A grandi linee, oggi l'acqua viene impiegata per il 70% in attività agricole, per il 20% in attività industriali e per il 10% a beneficio dei singoli individui. Va però sottolineato che viene stimata del 40% la perdita d'acqua dei sistemi di irrigazione in agricoltura, conseguenza in buona misura del passaggio all'agricoltura industrializzata e dello sfruttamento intensivo. Dal 1950 ad oggi, ed in particolare negli ultimi 20 anni, molti sforzi si sono concentrati nella realizzazione di dighe, con la costruzione di oltre 35.000 grandi dighe. Di fatto le dighe hanno oggi un rendimento inferiore alle attese e in alcuni casi sono divenute causa di incidenti (inondazioni in Cina), di inquinamento, hanno obbligato migliaia di persone ad emigrare e hanno provocato effetti irrimediabili sugli ecosistemi. Sono state soprattutto le imprese multinazionali del Nord a costruire e gestire le dighe, finanziate in larga misura dalla cooperazione internazionale e dalla Banca Mondiale. Secondo questo organismo bisogna intervenire con urgenza per evitare che nel 2050 soffra la sete un abitante del pianeta su cinque e l'acqua venga razionata al quaranta per cento della popolazione, e calcola un investimento di almeno 60.000 miliardi di dollari. A livello urbano si sono accentuate le spinte alla privatizzazione dei servizi idrici: solo negli ultimi tre anni hanno optato per questa soluzione Cordoba, Casablanca, Giakarta, Manila, Buenos Aires, Dakar, La Paz, Medan, Il Cairo, Nairobi, Città del Messico. Ma va ricordato che l'esperienza britannica avviata negli anni ottanta ha fatto gonfiare i prezzi del 450% senza riscontri adeguati nel livello degli investimenti da parte delle compagnie private.



LE GUERRE DELL’ACQUA

C'erano una volta le guerre del petrolio, risorsa energetica da cui dipendevano lo sviluppo economico e il benessere delle società industriali. Guerre che appartengono al passato. Ora di greggio ce n'è fin troppo, e i paesi dell'Opec faticano a mantenere a galla il prezzo del barile. Nel terzo millennio sarà un'altra risorsa strategica a scatenare tensioni e conflitti tra le nazioni: l'acqua. Fig.3 (i conflitti recenti od in corso legati all’acqua) Il valore crescente dell'acqua, le preoccupazioni concernenti la qualità e la quantità di approvvigionamenti, oltre che le possibilità di accesso, accordate o rifiutate, hanno dato luogo a un concetto di geopolitica delle risorse , o idropolitica. A questo riguardo, l'acqua si avvicina al petrolio e a certe ricchezze minerali in quanto risorsa strategica. La sua rarità e il suo valore crescente porteranno sempre più a delle politiche dell'acqua e a conflitti internazionali che potranno attribuire ai diritti su quest'ultima un'importanza di primo piano. Ma se sono molti i contenziosi (tra India e Bangladesh per il Gange, tra Messico e Stati Uniti per il Rio Grande, tra Vietnam e nazioni limitrofe per il Mekong), è soprattutto in Medio Oriente che il conflitto per le acque rischia di sfociare in scontro armato. In questa tesina, per brevità di trattazione, concentrerò l’attenzione su alcune aree di crisi ed in particolare modo : l’area del Giordano, quella del Tigri e dell’Eufrate e, per finire, quella del Nilo.



IL BACINO DEL GIORDANO

Il Giordano nella sua parte meridionale sembra un torrentello, e volendo lo si può attraversare senza bagnarsi i piedi, questo, che forse è il fiume più carico di storia del mondo, ha un aspetto modesto, ma il suo valore reale e simbolico è immenso. In un'area instabile, dai numerosi nodi geopolitici irrisolti, anche la gestione delle risorse naturali assume un peso strategico : la gestione delle risorse idriche costituisce un ulteriore elemento di destabilizzazione per il Medio Oriente, per l'importanza rivestita dall'acqua nelle relazioni internazionali lungo il bacino fluviale del Giordano. Dal suo controllo dipende il presente e il futuro di almeno quattro paesi che sono stati al centro dell'attualità internazionale nell'ultimo mezzo secolo: Israele, Giordania, Libano e Siria. David Ben Gurion, fondatore di Israele, lo aveva capito fin dal 1956, affermando: Stiamo portando avanti una guerra dell'acqua con gli arabi. Il futuro dello stato ebraico dipende dal risultato di questa battaglia. Il 37 per cento dell'acqua consumata in Israele proviene dal Giordano e dal lago di Tiberiade, a sua volta alimentato da questo fiume che segna il confine tra la Cisgiordania occupata e la Giordania, per finire nel Mar Morto. Se si guardano le conquiste territoriali israeliane avendo presente il problema dell'acqua, si può capire cosa abbia guidato la strategia militare dello stato ebraico negli ultimi decenni. Le falde acquifere della Cisgiordania rappresentano infatti il 38 per cento delle risorse di Israele. Il rimanente 25 per cento è rappresentato da sorgenti e falde che si trovano sia in territorio cisgiordano che israeliano. Non è tutto. La conquista del Golan siriano durante la guerra del 1967 non era dettata solo dalla necessità di proteggere la popolazione israeliana che viveva a valle delle alture. Altrettanto importante era prendere possesso del territorio in cui si trova la sorgente del Giordano e del suo principale affluente, lo Yarmuk, dal quale Israele preleva il 3 per cento del suo fabbisogno d'acqua. Anche la conquista del Libano del Sud (1982) può essere letta nella chiave del controllo delle fonti idriche che Tel Aviv considera vitali, oltre che in quella di un'esigenza strategica di creare una zona di sicurezza tra gli estremisti sciiti dell'Hezbollah, che hanno le basi nel Sud del Libano, e lo stato ebraico: nel settore sotto controllo israeliano scorrono i fiumi Hasbani e Litani, che proprio in territorio libanese si gettano nel Giordano. Nonostante la drammatica carenza d'acqua che accomuna le nazioni di quest'area, le risorse idriche del bacino fluviale del Giordano sono state occasione di cooperazione solo in alcuni casi e in forme ben delimitate. In effetti, non si è mai raggiunto un accordo per la gestione integrata del bacino a livello regionale. Più spesso l'acqua è stata utilizzata come una vera e propria arma politica e militare, oppure come bersaglio di azioni militari.In Medio Oriente, infatti, il controllo di questa risorsa è un fattore di sicurezza, al pari di altri elementi come posizioni strategicamente più vantaggiose o capacità militare. L'acqua ha dunque ricoperto ruoli diversi nel conflitto arabo-israeliano: dalle fasi più aspre del confronto fino ad arrivare agli anni '90, quando le risorse idriche sono entrate ufficialmente nell'agenda dei negoziati di pace. Nonostante i progressi nella cooperazione multilaterale e il trattato di pace tra Israele e Giordania, molti dei nodi legati alle risorse idriche restano irrisolti e costituiscono, insieme ad altri aspetti più noti (lo status di Gerusalemme, la proclamazione dello Stato palestinese, i profughi, gli insediamenti ebraici, i confini), l'ostacolo principale alla pace in Medio Oriente. Ricordiamo la discussione tra Siria e Israele sulle alture del Golan, dove si raccoglie più di un terzo delle risorse idriche che fluiscono verso Israele, e sull'accesso al lago di Tiberiade. Le posizioni fra le parti sono tuttora divergenti: Israele mira a posticipare la discussione sulla questione dei diritti sull'acqua, preferendo proporre la possibilità di utilizzare fonti idriche alternative, come l'importazione di acqua da altri Paesi o la desalinizzazione. I palestinesi dipendono fortemente dal sistema di infrastrutture idriche di Israele e vorrebbero discutere sulla sovranità delle falde acquifere sotterranee della Cisgiordania. In passato, le risorse idriche sono state utilizzate dagli attori protagonisti della politica del Medio Oriente per promuovere i loro interessi: i Paesi arabi per cercare di arrestare il consolidamento dello Stato israeliano, dal 1948 al 1967; Israele per rafforzare la politica di occupazione nei territori occupati, dal 1967 in poi. Un altro aspetto di grande attualità rimasto irrisolto nei negoziati bilaterali riguarda le alture del Golan. In questo caso, i Paesi coinvolti sono Siria e Israele. La zona è di importanza strategica non solo dal punto di vista militare, ma soprattutto perché in quell'area montagnosa scorrono i rami sorgentizi del Giordano. Per Israele si tratta di una questione di sicurezza e la restituzione delle alture significherebbe, in assenza di un accordo per la gestione integrata delle acque, mettere in pericolo un terzo delle proprie risorse idriche. Le infrastrutture idriche furono utilizzate da Israele e Siria come bersagli di azioni militari : la guerra dell'acqua tra i due contendenti non ha mai cessato di essere combattuta come si evince dagli innumerevoli scontri di frontiera e dalle reciproche minacce di deviazione dei letti dei fiumi della parte settentrionale del bacino (Hasbani, Litani, Yarmuk, Giordano), almeno fino al 1973. In passato, come ora, il negoziato di pace con Damasco è stato bloccato soprattutto da questo problema.



IL CASO DEL TIGRI E DELL’EUFRATE

Lungo il corso del Tigri e dell’Eufrate si decidono le sorti di tre nazioni protagoniste dello scacchiere medio orientale : la Turchia, la Siria e l’Iraq. La Turchia e la Siria hanno firmato nel 1987 un protocollo, di cui parleremo in seguito, che garantisce alla Siria un getto minimo di 500 metri cubi al secondo, circa la metà del volume del fiume Eufrate al confine. La Siria vuole aumentare questa quota, una richiesta che la Turchia ha sinora rifiutato. Si dice che lo scorso anno il primo ministro turco Suleyman Demirel, riferendosi alla richiesta siriana, abbia osservato: Noi non diciamo che dovremmo condividere il loro petrolio. Loro non possono dire che dovrebbero condividere la nostra acqua.[...] Una possibile carta vincente in mano siriana è il fatto che la Turchia ha bisogno di un accordo sull'acqua con i suoi vicini più a valle per assicurarsi il finanziamento della Banca Mondiale e di altre agenzie internazionali di prestito necessario a portare a termine il suo Southheast Anatolia Project, il cui costo è stato valutato intorno ai 29 miliardi di dollari. I benefici che la Siria e l'Iraq ricaverebbero da un accordo che fornisca sicurezza idrica sono ovvi. Il clima in questa regione, relativamente allo sfruttamento delle risorse idriche, è indubbiamente incandescente, ma probabilmente pochi ricordano il ricatto della sete. Nel maggio 1975 Siria e Iraq avevano ammassato truppe ai rispettivi confini. I tentativi della Lega araba di evitare un conflitto erano falliti: l'unica strada sembrava quella del ricorso alle armi. In extremis, una mediazione dell'Arabia Saudita evitò la guerra. Che cosa era successo? Che dopo la costruzione della diga di Tabqa in territorio siriano, il corso dell'Eufrate arrivava in Iraq con una portata d'acqua di 197 metri cubi al secondo, invece dei normali 920. Il governo di Baghdad aveva considerato intollerabile questa riduzione che metteva in pericolo non solo la sua agricoltura, ma lo stesso approvvigionamento idrico della capitale e delle principali città. Ci sono volute innumerevoli riunioni dei governi di Ankara, di Damasco e di Baghdad per giungere al già citato protocollo del 1987, fortemente voluto dall'allora premier turco Turgut Ozal: stabiliva che il flusso del fiume in territorio iracheno dovesse essere di 500 metri cubi al secondo. Ma proprio quell'accordo mise in luce che Siria e Iraq potevano essere sottoposte al ricatto dell'acqua da parte della Turchia per qualsiasi ragione: politica, strategica, economica. Lo si vide nel '90, quando Ankara decise di mettere in azione le chiuse della grande diga Atatürk, sull'Eufrate, per 30 giorni, al fine di creare un lago di invaso: Siria e Iraq vennero privati dell'acqua del grande fiume. Il Tigri, che scorre quasi parallelo all'Eufrate, ma in un terreno più accidentato e quasi senza dighe, è meno sottoposto del suo gemello a controlli di flusso dell'acqua, ma anche se è vero che la portata del Tigri è molto inferiore a quella dell'Eufrate, questo viene considerato un fiume vitale da Turchia, Siria e Iraq. Durante la guerra del Golfo alcuni strateghi americani avevano pensato all'eventualità di assetare l'Iraq, ma non se ne fece nulla. Dopo il conflitto Baghdad ha avanzato nuove rivendicazioni sul fiume Eufrate : l'Iraq sostiene che 500 metri cubi al secondo non sono più sufficienti, e chiede che il fiume arrivi in territorio iracheno con una portata di almeno 700 metri cubi. Se la Turchia, a monte, realizzasse sul Tigri e sull’Eufrate le 23 dighe in progetto, a valle la Siria e l’Iraq si vedrebbero privati, l’una del 50%, l’altro del 90%, del fabbisogno di acqua. L'acqua, per Saddam Hussein e per Bashir Assad, è importante quanto il petrolio, e, come il petrolio, potrebbe essere il detonatore di un nuovo conflitto, in cui prevarrebbe il più forte.

IL CASO DEL NILO

Il Nilo è fonte di tensioni per tutti i Paesi che attraversa. Esso nasce come Nilo Bianco che ha le sue sorgenti nell’Africa Equatoriale, al lago Vittoria, percorre un breve tratto tra Uganda e Tanzania, entra poi in Sudan dove, a Karthoum, riceve le acque del Nilo Azzurro che sorge in Etiopia, dalla cui piovosità viene generato l’85% del corso d’acqua. Solo l'ultimo tratto scorre in Egitto che, quindi, dipende, per il suo approvvigionamento idrico, dagli Stati a monte del grande fiume. Le tensioni sono particolarmente accese tra Egitto ed Etiopia e tra Sudan e Uganda. Invia la Mappa - Egitto Fig.7 ( l’Egitto e la Valle del Nilo) Un esempio di utilizzo dell'acqua come arma è la guerriglia in corso in Sudan tra il governo islamico e le forze ribelli del sud, di religione cristiana e animista. Punto strategico è la città di Damazin sul Nilo Azzurro, sede della diga che fornisce l'80% dell'acqua consumata dalla capitale Karthoum, contesa tra gli eserciti nemici. Il controllo dell'acqua diviene anche un pretesto per mascherare interessi politici e di potere. L'Egitto è un esempio dei dilemmi e delle incertezze che devono affrontare i paesi con una rapida crescita demografica e fonti di approvvigionamento idrico molto limitate sul proprio territorio nazionale. 75 milioni di persone in Egitto dipendono quasi interamente dalle acque del Nilo, ma le origini del fiume, come detto precedentemente, non si trovano all'interno dei confini del paese :il fiume più lungo del mondo rifornisce in tutto nove nazioni, e in Egitto arriva per ultimo. Sulla base di un accordo sottoscritto nel 1959 con il Sudan, l'Egitto ha diritto ogni anno a 55,5 miliardi di metri cubi d'acqua del Nilo, mentre al Sudan ne sono stati assegnati 18,5. Per soddisfare il suo fabbisogno l'Egitto integra l'acqua del Nilo con piccole quantità di acque freatiche, con l'acqua del drenaggio agricolo e con acque di scolo municipali trattate. Nel 1990, ha avuto una disponibilità di 63,5 miliardi di metri cubi di acqua. sfortunatamente, anche secondo le proiezioni più modeste la domanda idrica egiziana salirà a 69,4 miliardi di metri cubi per la fine del decennio.



CONCLUSIONI

Al termine di questo breve lavoro è opportuno inserire alcune possibili soluzioni individuate per aumentare la disponibilità di acqua, o per lo meno, per alleviare la sete terrestre. La prima ipotesi è rappresentata dalla possibilità di trasportare l'acqua dolce, dai luoghi in cui si trova abbondante, a quelli in cui è scarsa. La superficie della Terra è già attraversata da canali e condotte che spostano grandi quantità di acqua anche a centinaia di chilometri di distanza: si pensi all'acquedotto pugliese in Italia o all'acquedotto della California negli Stati Uniti. In questo modo, si sottrae acqua ad alcune zone, e ai relativi abitanti, per rifornire altri e anche questa può essere interpretata come una forma di solidarietà, di cui vanno però attentamente considerati i possibili risvolti ecologici negativi. Un'altra possibile strada consiste nella dissalazione dell'acqua di mare. Dal 1950 in avanti si sono avuti continui progressi nei processi capaci di trasformare l'acqua di mare in acqua dolce. I più diffusi sono i processi di distillazione, che usano calore, anche calore di rifiuto di altre attività industriali e i sistemi a osmosi inversa, che usano principalmente elettricità.

Qualunque sistema venga adottato è auspicabile che la tecnologia e le risorse finanziarie vengano utilizzate con carattere di priorità per trovare la soluzione al problema della sete del mondo, che, in misura differente, affliggerà la popolazione umana in modo sempre più preoccupante.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

- Dispense dei Professori Coppola e Faggi distribuite dalla direzione del Master;

- www.geopolitica.it;

- www.cnn.it

- www.inweh.unu.edu;

- www.pegacity.it;

- www.tmcrew.org.

- www.acquaminacciata.it

 

 

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