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La Storia secondo Massimo Iacopi

L’AGONIA DEL III REICH

L’ultimo atto di un’immensa tragedia storica.


03/03/2016 - Massimo Iacopi


(Assisi)

Evento salvifico per certuni, catastrofe irrimediabile per altri, questo è stato l’ultimo atto di un’immensa tragedia storica.

In occasione dell’ultima conferenza navale del 1° gennaio 1945, avvenuta alla presenza di Adolf Hitler (1889-1945) in condizioni più o meno normali, il vento in Germania spira ancora verso l’ottimismo. Ad ovest le offensive delle Ardenne ed in Alsazia lasciano sperare in una resistenza prolungata. Si può ancora pensare di frenare ad est l’offensiva sovietica d’inverno. La difesa delle basi di Norvegia e del mare del Nord e del Baltico ha una importanza primordiale per lo sviluppo della nuova offensiva sottomarina, che deve avere inizio nel marzo seguente.

Gennaio 1945: l’offensiva sovietica

Euforia di breve durata. Il temporale scoppia con una violenza improvvisa dal 12 al 13 gennaio 1945. Quattro fronti sovietici si scatenano dalla Prussia orientale al sud della Polonia. La progressione dell’Armata Rossa, grazie ad una logistica ammirevole, viene effettuata al ritmo di 50-70 chilometri al giorno. Il 31 gennaio, dopo una avanzata di 500 chilometri, le avanguardie raggiungono l’Oder e stabiliscono delle teste di ponte sul fiume bloccato dal ghiaccio. A Berlino, i successi dell’Armata Rossa provocano un effetto di stupore. In una quindicina di giorni, l’esercito tedesco viene a perdere il suo ultimo fondamentale spazio ed i Sovietici si trovano ormai a meno di 80 chilometri dalla capitale. Simultaneamente, le truppe di Ivan Koniev (1897-1973) penetrano in Alta Slesia. Hitler lascia allora il suo quartier generale di Ziegenberg e stabilisce il suo posto di comando nel bunker della Cancelleria. Non lo lascerà più fino al suo suicidio del 30 aprile seguente. Il successo sovietico è dovuto essenzialmente alla sproporzione delle forze in campo. L’Armata Rossa allinea 2,5 milioni di uomini contro 500 mila, 7 mila blindati contro 500, 5 mila aerei contro 400. Per Hitler, solamente il tradimento e la mancanza di combattività spiegano il disastro. Con grande rabbia di Heinz Guderian (1888-1954), il Führer procede a dei costanti rimaneggiamenti della linea di comando. Viene organizzata una febbrile difesa del fronte dell’Oder, favorita anche da una pausa delle operazioni da parte dei Sovietici. Questa pausa è legata essenzialmente a delle classiche difficoltà logistiche, dopo un’avanzata ininterrotta di diverse centinaia di chilometri e ad un brusco disgelo che ha trasformato le strade della Polonia in un immenso pantano.

L’esercito tedesco resta temibile

Col favore di questa pausa, il centro di gravità dell’esercito tedesco si sposta nuovamente verso est con il trasferimento del grosso delle riserve mobili, ad eccezione della PanzerArmee SS, diretta in Ungheria. Hitler cerca in effetti di evitare il crollo del fronte danubiana per proteggere le comunicazioni con Vienna e le ultime riserve di petrolio dell’Austria e dell’Ungheria. Prima di riprendere la marcia su Berlino, Josip Vissarionovic Stalin (1878-1953) giudica necessario ripulire i fianchi vulnerabili. Punto di partenza della battaglia più accanita e più sanguinosa della 2^ Guerra Mondiale, che durerà per oltre due mesi. Decisione tanto più necessaria, in quanto l’esercito tedesco è ancora in condizioni di scatenare un ultima offensiva ad est, l’operazione Sonnenwende (Solstizio), dalla Pomerania occidentale. L’effetto di sorpresa è indiscutibile. Vengono conseguiti dei progressi, ma alla fine l’operazione si conclude con un fallimento. Con ogni evidenza, la Wehrmacht non è più in condizioni di gestire tre teatri d’operazione: agli inizi del 1945, con 7,5 milioni di uomini, 40 divisioni blindate e motorizzate, una aviazione tattica non trascurabile, un armamento di qualità abbondante, l’esercito resta ancora un formidabile strumento di combattimento. Riunendo tutte le sue forze, esso sarebbe capace non solo di tener testa ma addirittura di riprendere l’iniziativa, ma su un solo fronte. Peraltro, sia ad ovest come ad est, la volontà combattiva rimane intatta, testimoniata dall’accanimento dei combattimenti, la scarsezza del numero dei prigionieri ed anche di più dallo scarso numero di disertori.

La Kreigsmarine nel Baltico

La battaglia si concentra allora nella regione industriale dell’Alta Slesia, in cui i Sovietici, nel dedalo delle installazioni industriali, subiscono delle perdite considerevoli in uomini e materiali, prima di tentare di impadronirsi di Breslavia, che resisterà praticamente fino alla capitolazione del III Reich. Combattimenti altrettanto sanguinosi si sviluppano nella Prussia orientale con l’assedio di Königsberg ed in Pomerania, in cui i Tedeschi oppongono una resistenza accanita. La battaglia della Prussia orientale e della Pomerania coincide con delle prodezze, di cui la marina tedesca resta fiera. Mobilitando tutti i suoi mezzi, essa conduce delle operazioni di appoggio di fuoco sulle coste del Baltico, trasporta 325 mila uomini di rinforzo, procede all’evacuazione di più di 2 milioni di soldati, di feriti e di civili, che fuggono dall’invasione sovietica. E’ nel corso di queste evacuazioni che si producono i più grandi drammi della storia marittima con il siluramento da parte di sottomarini sovietici del piroscafo Wilhelm Gustloff, della nave ospedale General von Steuben e della nave passeggeri Goya, che causano la morte di più di 7 mila soldati e rifugiati.

Hitler scopre la catastrofe

A seguito di un litigio estremamente violento, accaduto il 28 marzo, a riguardo di una controffensiva contro la testa di ponte di Küstrin, Hitler invita a Guderian a mettersi da parte e gli succede il generale Hans Krebs (1898-1945). Egli compie, a suo modo, una specie di rivoluzione. Fino alla sua nomina, due carte coprivano due muri separati della sala delle conferenze del bunker, una riguardava il fronte occidentale e l’altra il fronte orientale. Krebs fa mettere una sola carta, composta da un assemblaggio di carte di 1 a 1 milione. In un sol colpo gli astanti prendono brutalmente coscienza della gravità della situazione e della convergenza delle armate alleate e sovietiche in direzione del cuore del III Reich. Con il trasferimento delle riserve mobili ad est, la situazione sul fronte occidentale si aggrava con una velocità vertiginosa. Nulla garantisce più la difesa del Reno, tanto più che il 7 marzo, attraverso il ponte Ludendonrff a Remagen, le cui cariche di distruzione non hanno funzionato, degli elementi blindati americani hanno potuto attraversare il fiume e stabilire una testa di ponte sulla riva destra. La sostituzione di Gerd Von Rundstedt (1875-1953) con il maresciallo Albert Kesselring (1885-1960) non cambia nulla. L’attraversamento del fiume viene preceduto ad una offensiva aerea gigantesca, che mobilita più di 10 mila aerei. L’operazione Clarion, che inizia il 22 marzo, riguarda essenzialmente le installazioni ferroviarie ed i treni. Essa prende di mira 200 obiettivi, fra cui le grandi stazioni di smistamento di Chemnitz, Leipzig, Halle, Gotha e Dresda, vittime di uno dei raid più sanguinosi della guerra. Clarion completa la decomposizione dell’economia del Reich. La Ruhr è praticamente isolata ed il carbone si accumula sui carrelli e sulle aree esterne delle miniere. La produzione di petrolio crolla e le industrie degli armamenti non arrivano più a distribuire i loro prodotti. Dopo il superamento del Reno, la battaglia della Germania dell’ovest dura ancora circa un mese. Dwight Eisenhower (1890-1969) inizia l’accerchiamento della Ruhr, quindi si orienta in direzione del Würtemberg, della Baviera e dell’Austria. Con grande delusione di molti Tedeschi e di Hitler, l’arresto della 9^ Armata americana sull’Elba ad 80 chilometri ad ovest di Berlino, costituisce un amara disillusione.

Eisenhower offre Berlino a Stalin

E’ con cognizione di causa che Eisenhower, completamente d’accordo con George Marshall (1880-1959), che intende rispettare il tracciato delle zone d’occupazione fissato a Yalta, rinunciando ad impadronirsi di Berlino; egli pensa che la capitale del Reich non costituisca più un “obiettivo militare”. Decisioni prese, nonostante le rimostranze di Winston Churchill (1874-1965) e delle riserve del generale Omar Bradley (1893-1981) ed ancor più del generale George Patton (1885-1945). Eisenhower non comprende evidentemente l’enorme importanza politica della conquista della capitale del Reich. Stalin, da parte sua non si sbaglia. La decisione di Eisenhower, dovutamente trasmessa ai Sovietici, conduce l’esercito tedesco a condurre la sua ultima battaglia per la capitale del Reich, con l’energia della disperazione. Per l’ultimo assalto, l’Armata Rossa si schiera dall’estuario della Vistola alla Neisse occidentale. Lo sforzo principale tocca a Georghi Jukov (1896-1974) e Koniev, messi in competizione da Stalin per la conquista di Berlino. Nel totale, circa 3 milioni di uomini, 6.500 carri armati, 42 mila pezzi d’artiglieria e 8.500 aerei. Per questo ultimo scontro, le tre grandi formazioni tedesche, scaglionate da nord a sud, la 5^ PanzerArmee, la 9^ Armee di Ernst Hermann Theodor Busse (1897-1976) e la 4^ PanzerArmee, dipendenti dal Gruppo Centro di Ferdinand Schörner (1892-1973), non possono opporre che dei mezzi quattro o cinque volte inferiori. Il piano di operazioni sovietico è semplice: spezzare la resistenza tedesca sull’Oder, circondare la 9^ Armata ed una parte della 4^ PanzerArmee, prendere la capitale a tenaglia, prima di conquistarla sistematicamente, quartiere per quartiere. L’attacco ha inizio il 16 aprile preceduta da una formidabile preparazione di artiglieria.

Due armate fantasma

Il 20 aprile, mentre la situazione diventa decisamente critica, Hitler festeggia il suo 50° anniversario. Tutti i grandi capi militari sono presenti, Wilhelm Keitel (1882-1946), Alfred Jodl (1890-1946), Hans Krebs, Karl Dönitz (1891-1980), come anche i dignitari del regime, Hermann Göring (1893-1946), Martin Bormann (1900-1945), Heinrich Himmler (1900-1945), Joseph Goebbels (1897-1945), Albert Speer (1905-1981). Incapace di dissimulare la sua decadenza fisica, Hitler si mostra semplice, cordiale, rassicurante. Alla fine del pomeriggio, tutti lasciano la riunione. I giorni seguenti, la situazione si degrada ad una velocità allarmante. Jukov e Koniev raggiungono l’investimento di Berlino dall’ovest. Hitler continua la sua funzione di capo di guerra e presiede le sue due conferenze al giorno e continua a manovrare sulla carta delle armate sempre più fantomatiche. Con un raggruppamento SS improvvisato, il generale delle SS Felix Steiner (1896-1966) deve penetrare da nord in direzione di Berlino. La 9^ Armata di Busse deve sganciarsi ed aprirsi una strada verso la capitale. Davanti all’inazione totale delle truppe americane, in posizioni sull’Elba, la 12^ Armata di Walther Wenck (1900-1982) farà praticamente dietro front ed attaccherà sul fianco le formazioni di Koniev e penetrerà in tal modo sino a Berlino. Queste ultime illusioni non tardano ad andare in fumo. Le ultime forze militari del Reich non hanno più che una sola preoccupazione, aprirsi un cammino verso ovest, per sfuggire alla prigionia sovietica. A prezzo di perdite sanguinose, i resti di queste armate, la 5^ PanzerArmee di Hasso Eccard freiherr von Manteuffel (1897-1978), la 9^ Armée di Ernst Hermann Theodor Busse e le truppe di Walther Wenck, ingombrate da decine di migliaia di rifugiati, riusciranno il 30 aprile a raggiungere le linee americane. In quello stesso giorno il Führer è morto. Il 25 aprile egli annuncia la sua decisione irrevocabile di restare a Berlino e di darsi la morte.

Uno spirito di sacrificio accanito

Per la difesa di Berlino, devastata dai bombardamenti alleati ed i tiri di artiglieria sovietica, il generale Helmuth Otto Weidling (1891-1955) dispone appena di una guarnigione di appena di 75 mila uomini. La difesa si appoggia sui mezzi tradizionali: barricate, passaggi fra immobili, campi minati. Sui 2 milioni di abitanti nel 1939, non rimangono che qualche centinaia di migliaia di civili, presi in trappola, privati di acqua, di elettricità, di viveri, rintanati nelle cantine o nei corridoi del metro. Tre milioni di soldati dell’Armata Rossa, sostenuti da migliaia di carri armati ed una enorme schieramento di artiglieria, vengono lanciati in questa ultima battaglia. La resistenza tedesca è di un accanimento stupefacente. Migliaia di uomini, nonostante più nessuna speranza di successo, sono pronti a sacrificare la loro vita. Per lo storico Alan J. P. Taylor (1906-1990) questo spirito di sacrificio costituisce uno dei “grandi misteri” della 2^ Guerra Mondiale. E’ a prezzo di enormi perdite in blindati che i sobborghi vengono ripuliti dal 25 al 27 aprile. A partire dal 28, inizia l’investimento dell’ultimo ridotto, il Tiergarten, il quartiere dei Ministeri e della Cancelleria. Il 28 aprile Hitler saluta i si suoi ultimi fedeli. Goebbels, Bormann, Krebs, i suoi aiutanti di campo ed i suoi segretari. Mette mano al suo Testamento Politico e nomina Dönitz capo dello stato.

Un’epidemia di suicidi

In quello stesso giorno Hitler sposa Eva Braun (1912-1945), la sua discreta compagna, venuta a raggiungerlo nel bunker ed a divederne la sorte. Il giorno dopo, il 29 aprile 1945, il generale Weidling annuncia al Führer che può garantire più la sicurezza della Cancelleria che fino al 1° maggio e che tutti i tentativi di sganciamento sono falliti. Il 30, dopo aver confermato la sua volontà di distruzione di tutte le installazioni del Reich ed il suo desiderio incamminare il popolo tedesco in un supremo Crepuscolo degli Dei, Hitler consuma un ultimo pasto con il suo seguito immediato. Dopo questo “banchetto funebre”, all’inizio del pomeriggio si suicida con Eva Braun nel suo appartamento privato. I due corpi vengono inceneriti nel giardino della Cancelleria e le ceneri disperse al vento. Nella sua cella di Norimberga, Jodl approverà questa fine. Egli non può che confermare che “ben prima di tutti gli altri, Hitler presentiva e sapeva che la guerra era perduta”, ma che non “poteva lasciare andare alla deriva una nazione ed il suo popolo prima che non vi siano trascinati”. Un uomo come Hitler non poteva fare altrimenti. Da quel momento a Berlino inizia una epidemia di suicidi. Goebbels, sua moglie ed i loro sei figli, i generali Krebs e Wilhelm Burgdorf (1895-11945)e centinaia di altri.

Il conflitto durerà ancora una settimana. Da Flensburg, ove era stabilito l’ultimo governo del 3° Reich, Dönitz ha solamente un obiettivo, tentare di far passare ad ovest il massimo di rifugiati e di soldati ancora impegnati sul fronte orientale: in totale 1,2 milioni di uomini. Piano che verrà eseguito solo parzialmente.

I vicoli ciechi del III Reich

Nella sua volontà di espansione, il III Reich si era scontrato con una doppia difficoltà. L’assenza di una soluzione diplomatica, per cominciare, deriva essenzialmente dalla volontà degli Occidentali. Fenomeno quasi unico nella storia moderna e contemporanea, la guerra con la Germania si è conclusa senza negoziati, senza trattato di pace. In virtù della Dichiarazione di Casablanca del gennaio 1943, Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) con l’assenso finale di Churchill, vuole schiacciare il Reich per evitare il ritorno delle ambiguità del 1918: la Germania deve sentirsi vinta. Il paese dovrà essere denazificato e la casta militare associata al regime dovrà scomparire. E’ anche fuori discussione la possibilità di trattare con un membro dell’opposizione. Una volta schiacciata militarmente, la Germania dovrà essere ulteriormente indebolita e smembrata. A Teheran, come anche a Yalta, Roosevelt non manifesterà nessuna inquietudine nel creare un enorme vuoto di potere al centro dell’Europa, di fronte ad una URSS, potente e vittoriosa. Il secondo vicolo cieco per l’espansione del Reich riguarda il bloccaggio della strategia. La 2^ Guerra Mondiale si basa su uno strano paradosso. Hitler, il perturbatore per eccellenza, è stato costretto a condurre un conflitto generalizzato che forse non aveva voluto. Tutto lascia pensare che il Führer non si è mai fatto illusioni sulla sua conclusione. Il discorso indirizzato della dichiarazione di guerra dell’Inghilterra e della Francia non ha in alcun modo un accento trionfale, ma appare singolarmente premonitore: “Non ci sarà di nuovo un 11 novembre 1918: Non ci potrà essere che la vittoria o l’annientamento”.

Come già Napoleone …

La vittoria miracolo contro la Francia del maggio-giugno 1940 porta un fuggitivo momento di speranza. Ma dalla fine di luglio, appena un mese dopo la firma dell’Armistizio di Rethondes, la speranza svanisce. La Gran Bretagna continua la lotta e respinge qualsiasi pace di compromesso. Dopo il fallimento della battaglia d’Inghilterra, rimane una sola possibilità per uscire dall’impasse, il “Piano Barbarossa”, l’attacco contro l’URSS. Conviene ricordare brevemente le cause del fallimento: un incidente climatico, le carenze del servizio di informazioni, lo straordinario spirito di sacrificio del soldato russo, la cui capacità di morire, secondo le parole del dissidente Grigori Zinoniev (1883-1936) si è rivelata superiore alla capacità di vincere del soldato tedesco. Dopo Mosca ed ancora di più dopo Stalingrado, la Germania cade nella trappola della guerra sui due fronti, contro due formidabili avversari. Un problema col quale si era confrontato Napoleone, credendo anche lui poter vincere la tenacità britannica, attaccando la Russia. Speranza vana ancora una volta !...


 

 

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