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Economia
La politica dell'occupazione dei paesi europei
L'occupazione è un fattore che influenza le scelte strategiche di una nazione.
Jun 15 2002 12:00AM - Dr. Fabio FULVI
(Torino) 1. Premessa
L’avvio dell’Unione monetaria europea offre le opportunità per una migliore allocazione delle risorse, per uno stimolo alla crescita economica, per un aumento dell’occupazione. A fronte di tali opportunità, essa pone anche delle sfide, necessarie affinché le economie possano usufruire dei benefici della convergenza monetaria, rappresentate dal completamento delle riforme strutturali dei mercati dei beni, dei servizi e del lavoro.
Stabilità ed efficienza sono i due obiettivi che l’Unione europea intende conseguire nel medio e lungo periodo. Stabilità del contesto macroeconomico attraverso una politica monetaria orientata alla stabilità dei prezzi e una politica fiscale volta ad evitare disavanzi eccessivi; efficienza nei mercati dei beni, dei servizi e nel mercato del lavoro, come necessario fattore complementare ad un contesto macroeconomico stabile per massimizzare i benefici della moneta unica.
Il dibattito scientifico che si è sviluppato attorno alle strategie per il rilancio dell’occupazione ha posto al centro dell’attenzione l’operare dei meccanismi che sono alla base del funzionamento del mercato del lavoro. La contrapposizione tra il modello "flessibile" che prevale nei paesi anglosassoni rispetto a quello "rigido" che caratterizza i maggiori paesi dell’area euro, sembra essere dominante nel dibattito che si è articolato su questi temi e sulle ricette necessarie per il rilancio dell’occupazione europea.
Il raffronto critico tra i diversi modelli per l’occupazione proposti nei vari ambiti istituzionali, è attualmente incentrato sulle Jobs Strategy dell’OCSE e sul modello emerso dal vertice di Amsterdam del 1997 che ha posto le basi per una strategia coordinata per il rilancio dell’occupazione nei paesi dell’Unione europea.
Le Jobs Strategy dell’OCSE: La strategia dell’OCSE rappresenta un utile punto di riferimento che individua precise regole di intervento per l’occupazione e al quale si avvicinano anche le politiche suggerite in altri ambiti istituzionali internazionali (e principalmente il Fondo Monetario Internazionale). La visione sottostante le Jobs Strategy è che gli squilibri occupazionali vanno corretti attraverso una strategia coordinata che poggi su: riforme strutturali del mercato del lavoro (in particolare degli istituti che disincentivano l’offerta di lavoro, dei regimi di protezione all’impiego, delle forme di impiego e di organizzazione del lavoro, dei meccanismi di formazione del salario, congiuntamente alla diffusione di politiche attive del lavoro e a riforme dei servizi pubblici per l’impiego), politiche per lo sviluppo della formazione e il miglioramento dell’educazione, politiche per il business environment e per lo stimolo della concorrenza nei mercati dei servizi e dei prodotti. La strategia dell’OCSE rappresenta quel modello di ispirazione liberista che guarda alla deregolamentazione dei mercati come alla naturale ricetta di politica economica per la crescita e per il rilancio dell’occupazione e che trova riferimento concreto nel sistema anglosassone.
La strategia europea per l’occupazione: L’approccio seguito dai paesi europei è stato quello di rafforzare gli elementi che caratterizzano la flessibilità e la mobilità della forza lavoro. Esistono tuttavia alcune differenze di fondo rispetto all’approccio dell’OCSE, alla luce del modello di sviluppo che emerge dal Libro Bianco di Delors del 1993, e che è alla base della strategia europea per l’occupazione.
Il disegno complessivo della strategia europea per l’occupazione è fondato, oltre che su misure di natura strutturale, su un quadro macroeconomico che garantisca la stabilità dei prezzi e il pareggio del bilancio pubblico. Questi sono gli obiettivi alla base dei dettati del Trattato di Maastricht e del Patto di stabilità.
Fatta questa premessa, cerchiamo ora di esaminare maggiormente nei dettagli la strategia che l’Unione europea ha intrapreso per favorire l’occupazione nei paesi membri.
2. La politica comunitaria dell'occupazione
La politica comunitaria dell'occupazione è stata tracciata nel corso dei Consigli europei di Lussemburgo, di Cardiff e di Colonia, durante in quali i capi di Stato e di governo dei 15 Stati membri hanno espresso la volontà di combattere la disoccupazione.
Il trattato di Amsterdam ha introdotto un nuovo titolo sull'occupazione, secondo il quale la promozione dell'occupazione è una "questione d'interesse comune" degli Stati membri e uno degli obiettivi della Comunità. Per trarre pienamente profitto da queste nuove disposizioni, i capi di Stato e di governo hanno deciso di applicare immediatamente le nuove norme introdotte dal trattato di Amsterdam, in modo da sostenere la strategia coordinata dell’occupazione, senza attendere la loro entrata in vigore (1° maggio 1999).
Così, a complemento dell'azione degli Stati membri, la Comunità è impegnata a elaborare una strategia coordinata per l'occupazione. Detta strategia prevede:
- la presa in considerazione dell'occupazione nella definizione e nell'attuazione delle politiche e delle azioni comunitarie;
- la realizzazione a livello comunitario di meccanismi di coordinamento comportanti:
una relazione annuale congiunta del Consiglio e della Commissione sull'occupazione, sulla base della quale il Consiglio europeo adotti conclusioni;
l'approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio, su proposta della Commissione, di linee direttrici per l'occupazione compatibili con i grandi orientamenti di politica economica;
un dispositivo di sorveglianza dell'attuazione delle linee di orientamento, comportante alcune similitudini con quello previsto per le politiche economiche, che possa portare a raccomandazioni rivolte agli Stati membri in materia di politica per l'occupazione;
l'istituzione di un Comitato per l'occupazione incaricato di promuovere il coordinamento delle politiche dell'occupazione svolte dagli Stati membri, nonché di formulare opinioni in materia.
la possibilità, per il Consiglio, di adottare a maggioranza qualificata, azioni di incoraggiamento, in particolare sotto forma di progetti-pilota.
a. Il processo di Lussemburgo
Il Consiglio europeo di Lussemburgo del novembre 1997 ha esaminato le migliori prassi nazionali nel settore della lotta alla disoccupazione, e ha posto le basi dell'azione futura della Comunità in materia di occupazione.
Il processo detto di Lussemburgo si è concretizzato nello sviluppo di un coordinamento delle politiche del lavoro degli Stati membri nel quadro di orientamenti per l'occupazione e di piani nazionali d'azione. La Commissione ha proposto una prima serie di orientamenti per il 1998, i quali, adottati dal Consiglio, poggiano su quattro pilastri:
imprenditorialità;
capacità d'inserimento professionale ("occupabilità");
adattabilità;
pari opportunità.
Il recepimento dei suddetti orientamenti nelle politiche nazionali si svolge per mezzo dei piani nazionali d'azione (PNA) elaborati dagli Stati membri e successivamente sottoposti all'esame della Commissione e del Consiglio. I risultati dell'analisi dei PNA sono inseriti ogni anno nella relazione congiunta sull'occupazione.
In seguito all'esame dei PNA da parte della Commissione, che ha messo in luce determinate insufficienze e lacune, e della relazione congiunta sull’occupazione per il 1998 , contenente una prima valutazione dell'attuazione dei piani nazionali, la Commissione ha presentato orientamenti modificati per il 1999, al fine di chiarire gli orientamenti precedenti. Nel contesto degli orientamenti per il 1999, il Consiglio europeo ha auspicato un rafforzamento delle azioni nei seguenti settori:
accentuazione delle misure attive;
apprendimento lungo tutto l'arco della vita;
sfruttamento del potenziale occupazionale del settore dei servizi;
conciliazione di lavoro e vita familiare;
mercato del lavoro aperto a tutti.
I PNA, che hanno ripreso le linee direttrici degli orientamenti per il 1999, sono stati elaborati nella primavera del 1999 e presentati a fine maggio alla Commissione.
A conferma dell'impostazione adottata a Lussemburgo e in base alla valutazione dei PNA, l'8 settembre 1999 la Commissione ha presentato proposte di orientamenti per il 2000. Secondo la Commissione, l'esperienza degli ultimi due anni ha dimostrato che la struttura a quattro pilastri (occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità) costituisce una base adeguata per un approccio integrato di medio termine.
Peraltro, i colloqui con gli Stati membri e le parti sociali hanno piuttosto messo in luce la necessità di apportare un numero limitato di modifiche e di chiarimenti ad alcuni punti già esistenti.
Il Consiglio dei Ministri del 29 novembre 1999 e successivamente il Consiglio europeo di Helsinki dei giorni 10 e 11 dicembre 1999 hanno approvato le linee di orientamento per il 2000 sulla base delle proposte della Commissione. Una proposta di decisione del Consiglio riprendente le linee di orientamento 2000 così come sono state adottate dal Consiglio europeo, è stata presentata dalla Commissione in data 14 gennaio 1999.
Inoltre la Commissione per la prima volta ha proposto al Consiglio di formulare raccomandazioni relative alla politica dell’occupazione di ciascuno Stato membro, sulla base di un'analisi comparativa dei risultati occupazionali degli Stati membri, nonché delle principali lacune osservate nell'attuazione degli orientamenti in materia d'occupazione, alla luce delle conclusioni della relazione congiunta 1999. Le raccomandazioni sono state adottate dal Consiglio in data 14 febbraio 2000.
La Commissione ha anche adottato la relazione congiunta sull'occupazione 1999, contenente da una parte una valutazione della situazione occupazionale, dall'altra un'analisi relativa all'attuazione degli orientamenti per il 1999 da parte degli Stati membri. Tale relazione è stata formalmente adottata dal Consiglio in data 29 novembre 1999 e presentata al Consiglio europeo di Helsinki.
b. Il processo di Cardiff
Nel corso del vertice, i capi di Stato e di governo hanno sottolineato l'importanza di una crescita sostenuta e duratura per promuovere la creazione di posti di lavoro. Pertanto, allo scopo di trarre profitto dalle opportunità offerte dalla crescita, hanno deciso di intavolare un migliore dialogo macroeconomico che verta sulle riforme economiche, in coordinamento con la strategia per l'occupazione.
Sulla scorta delle relazioni Cardiff I e Cardiff II della Commissione, basate sui contributi degli Stati membri e i lavori specifici del Comitato di politica economica e del Gruppo orizzontale "Mercato interno", il Consiglio europeo ha sottolineato l'importanza di attuare riforme intese a migliorare la competitività e il funzionamento dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali. L'obiettivo fissato consiste nel limitare il numero delle norme inutili, a livello nazionale ed europeo, al fine di alleggerire il più possibile gli oneri gravanti sulle piccole imprese ad uso intensivo di lavoro, nonché per agevolare la creazione d'imprese.
c. Il processo di Colonia
Il Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 ha consolidato la strategia europea per l'occupazione e posto le basi di una politica comunitaria dell'occupazione che tenga conto dell'insieme dei fattori economici che influenzano la situazione occupazionale.
In occasione del vertice di Colonia, pertanto, i capi di Stato e di governo hanno riconosciuto l'esistenza di un'indipendenza dei settori che fanno capo alla politica macroeconomica, pur sottolineando l'influenza reciproca delle decisioni prese a livello macroeconomico.
L'obiettivo principale del Patto europeo per l'occupazione, che porta il nome di "processo di Colonia", consiste nell'agevolare un migliore dialogo fra tutti i soggetti interessati dalla politica macroeconomica e nel rafforzare la loro fiducia, per potenziare la crescita e favorire la creazione di posti di lavoro.
Il patto insiste sulla necessità di un dosaggio equilibrato delle politiche macroeconomiche per mezzo di:
una politica finanziaria che da una parte osservi i princìpi del Patto di stabilità e dall'altra ristrutturi i bilanci pubblici favorendo gli investimenti e la creazione di posti di lavoro competitivi;
un'evoluzione controllata delle retribuzioni con aumenti legati alla crescita della produttività;
una politica monetaria all'insegna della stabilità dei prezzi.
Occorre avviare un dialogo macroeconomico fra le parti sociali e i responsabili dei settori monetario e del bilancio nelle istituzioni a proposito dei mezzi coi quali attuare il dosaggio delle politiche macroeconomiche. Tale dialogo deve rispettare l'indipendenza e l'autonomia di tutti i partecipanti responsabili per le trattative salariali e per la politica monetaria, fiscale e di bilancio.
Il Patto europeo per l'occupazione integra così in un concetto globale tutte le misure adottate dall'Unione nel settore dell'occupazione.
3. Le azioni per l'occupazione
Allo scopo di concretizzare gli orientamenti relativi alla strategia europea per l'occupazione, nella Comunità si è attuata una serie di provvedimenti e di azioni.
- Il Patto di fiducia
Nel 1996 la Commissione ha lanciato un'iniziativa di ampio respiro denominata " Azione per l’occupazione in Europa: un patto di fiducia", col triplice obiettivo di mobilitare tutti i soggetti interessati (autorità comunitarie, nazionali e locali, parti sociali), di valorizzare al meglio l'effetto moltiplicatore europeo e di inserire la lotta contro la disoccupazione in una visione della società a medio e lungo termine. Il 22 ottobre 1996 la Commissione ha adottato una relazione intermedia finalizzata a tracciare un bilancio e contenente una rassegna dei risultati raggiunti nel settore.
- Le azioni strutturali
L'adozione dei nuovi regolamenti del pacchetto "Agenda 2000" ha consentito di attuare da una parte un nuovo quadro finanziario per il periodo 2000-2006 in materia, fra l'altro, di azioni strutturali, dall'altra ha permesso di fissare i nuovi orientamenti per i Fondi strutturali e per il Fondo sociale europeo (FSE).
Ai sensi del nuovo regolamento n. 1784/1999, il Fondo sociale europeo interviene per quanto riguarda i tre nuovi obiettivi della politica strutturale (regioni in ritardo di sviluppo, riconversione economica e sociale delle aree in difficoltà, azioni a favore dello sviluppo delle risorse umane). Il regolamento indica chiaramente che il FSE è uno strumento al servizio della strategia europea per l'occupazione.
Oltre alle azioni del Fondo sociale europeo è prevista una nuova iniziativa comunitaria in materia di lotta contro le discriminazioni e le diseguaglianze di ogni tipo connesse col mercato del lavoro (EQUAL), iniziativa dotata di un bilancio di 2.847 milioni di euro.
- Le iniziative locali
Nel corso degli anni si sono sviluppate diverse iniziative per stimolare le azioni locali a favore dell'occupazione. Tali iniziative si sono tradotte soprattutto nella realizzazione di Patti territoriali per l’occupazione e nel varo di una strategia europea d'incoraggiamento alle iniziative locali per lo sviluppo e l'occupazione. La Commissione ritiene che l'azione locale per l'occupazione sia a tutt'oggi un elemento fondamentale della politica europea, in ragione del potenziale occupazionale che essa comporta. Una conferenza europea è stata organizzata a Bruxelles, dal 3 al 5 novembre 1999, con la cooperazione della Commissione europea.
- Fisco e occupazione
Secondo la Commissione, l'elevato livello d'imposizione gravante sul lavoro ha un'incidenza negativa sulla situazione occupazionale e sulla crescita in Europa. Da circa quindici anni si assiste a un crescente aggravarsi del carico fiscale sul lavoro dipendente. Il peso della tassazione si sposta sempre più sui lavoratori a scarsa mobilità e qualificazione. Per correggere tale tendenza, il Consiglio ha adottato la Direttiva 1999/85/CE che modifica la Direttiva 77/388/CEE, il 22 ottobre 1999, il cui obiettivo è quello di consentire l'applicazione a titolo sperimentale di un'aliquota IVA ridotta sui servizi a componente intensiva di lavoro.
La direttiva è stata adottata dal Consiglio il 22 ottobre 1999 (direttiva 1999/85/CE).
4. La dimensione internazionale
Al di là delle azioni comunitarie in materia di lotta alla disoccupazione, l'evoluzione del mercato del lavoro in Europa dipende anche da fattori esogeni, in particolare dalla situazione economica internazionale.
In questo contesto, le politiche occupazionali in un'economia globale sono state l'argomento di una riunione tenutasi a Washington nel febbraio 1999, cui hanno partecipato i ministri del lavoro dei paesi del G8, rappresentanti della Commissione, dell'Organizzazione internazionale del lavoro, dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e del Fondo monetario internazionale, e infine i responsabili padronali e sindacali.
Il G8 in passato aveva evidenziato l'importanza della dimensione sociale nel contesto della mondializzazione. In occasione di questa riunione poi i paesi del G8 hanno approvato pubblicamente la strategia europea per l'occupazione, sottolineando il ruolo delle politiche e delle istituzioni relative all'occupazione, nonché dei sistemi di sicurezza sociale, nel consentire un migliore adattamento ai mutamenti strutturali del mercato del lavoro in un'economia globalizzata.
In quest'ottica, la Commissione ha presentato una nota informativa nel mese di giugno 1999 [SEC (1999) 988], nella quale ribadiva la necessità di intensificare la cooperazione internazionale e di proseguire gli sforzi a livello nazionale per politiche occupazionali efficaci. Al fine di favorire uno sviluppo duraturo e foriero di nuovi posti di lavoro, la Commissione auspica un approccio basato su:
la promozione di riforme strutturali per sviluppare l'adattabilità e la competitività delle economie europee e favorire il ritorno dei disoccupati di lunga durata sul mercato del lavoro;
la prosecuzione di politiche macroeconomiche incentrate sulla crescita e la stabilità e l'esistenza di un equilibrio fra la politica monetaria e la politica di bilancio.
Nonostante il fallimento dei negoziati del millenium round del novembre 1999, è fondamentale che la Comunità possa far sentire la sua voce in occasione dei prossimi negoziati dell'OMC al fine di consentire la realizzazione dei meccanismi più efficaci per eliminare gli ostacoli al commercio e per favorire la crescita economica mondiale. Infatti, l'apertura di nuovi mercati e la liberalizzazione degli scambi possono stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro all'interno dell'Unione.
5. Il Consiglio europeo di Helsinki
In occasione del Vertice di Helsinki dei giorni 10 e 11 dicembre 1999, i Capi di Stato e di governo hanno accolto con favore il miglioramento della situazione economica dell'Unione europea, basato su dati economici sani (basso tasso d'inflazione, condizioni favorevoli all'investimento, miglioramento dello stato delle finanze pubbliche). Il Consiglio europeo ha confermato il proprio sostegno alla strategia europea per l'occupazione e ha ribadito l'importanza del potenziamento del coordinamento delle politiche economiche, delle politiche per l'occupazione e delle politiche strutturali, al fine di sfruttare pienamente il potenziale del mercato unico e della moneta unica. Il Consiglio ha inoltre affermato che l'accento va posto sull'applicazione effettiva e sulla razionalizzazione dei processi, nonché sul controllo dell'attuazione delle politiche.
Il Consiglio europeo ha chiesto una maggiore partecipazione delle parti sociali e del Parlamento europeo, in occasione dell'adozione delle linee di orientamento per l'occupazione. Il Consiglio ha inoltre sottolineato i progressi compiuti nella definizione e nell'utilizzazione di indicatori di prestazioni nel settore dell'occupazione e ha invitato gli Stati membri a proseguire i loro lavori.
Infine, il Consiglio europeo ha raccomandato agli Stati membri, nel quadro della loro riforma del mercato del lavoro, di riservare nei rispettivi piani d'azione nazionali un'attenzione particolare ai sistemi di imposizione e di indennità, all'occupazione nel settore dei servizi, all'organizzazione del lavoro, all'istruzione e alla formazione durante l'intero arco della vita, nonché alla parità di opportunità fra le donne e gli uomini.
6. Il Consiglio europeo straordinario di Lisbona
In occasione della presentazione degli obiettivi strategici per il periodo 2000-2005, il 9 febbraio 2000, la Commissione ha sottolineato il proprio obiettivo di piena occupazione al fine di ravvicinare il tasso di disoccupazione europeo a quello dei paesi più efficienti. In questa comunicazione [COM (2000) 154 def.], la Commissione segnala che la disoccupazione costituisce la principale fonte di povertà e di emarginazione sociale e rappresenta una pressione inaccettabile sulla società europea.
Malgrado il relativo successo della strategia europea sviluppata dal 1997, l'occupazione resta un problema rilevante nel seno dell'Unione. È divenuto prioritario a partire dal Consiglio europeo straordinario di Lisbona, tenutosi il 23 e 24 marzo 2000, durante il quale sono state studiate le situazioni di crescita, competitività e occupazione all'interno dell'UE . Al fine di fare dell'Unione europea la zona più competitiva al mondo e di raggiungere un'occupazione totale da oggi al 2010.
Se il quadro delineato fino a questo punto mette in luce una strategia europea per l’occupazione caratterizzata da azioni svolte a livello nazionale, va sottolineato come a partire dagli ultimi anni stia prendendo sempre più slancio una politica sociale ed economica che tiene conto anche della dimensione locale.
A lungo considerata come marginale rispetto alle politiche macroeconomiche, la strategia locale per l'occupazione si è affermata nel momento in cui l'economia politica nazionale ha mostrato i suoi limiti. La concorrenza aumentata in maniera considerevole nel tempo ha molto accentuato la ricerca di vantaggi comparativi tra i vari agenti microeconomici. Così, ad esempio, gli operatori locali si trovano ora a dover elaborare particolari strategie basate sui rispettivi punti forti.
La partecipazione al bilancio delle collettività locali varia tra 3,8 % del PIL in Portogallo e 33,3 % in Danimarca. Nei paesi scandinavi, nonché nei Paesi Bassi, il bilancio complessivo amministrato dalle collettività locali è superiore a quello gestito dal governo centrale.
Per sviluppare un'ottimale efficacia nella lotta per l'occupazione, le collettività locali hanno bisogno di un potenziamento del loro ruolo affinché possano sfruttare in maniera ottimale le loro quattro virtù principali :
la vicinanza. Essendo in contatto continuo con tutti gli operatori economici della loro zona geografica, le collettività locali sono più competenti per valutare i problemi da risolvere e le soluzioni da decidere ;
il potere economico. Avendo spesso a disposizione un bilancio consistente, tali collettività sono altrettanto spesso in grado di creare direttamente numerosi posti di lavoro in funzione del variare della domanda ;
il potere decisionale. Il bilancio consistente di cui dispongono le collettività locali consente a queste di esercitare una domanda di lavoro sulle imprese locali ;
uno stretto contatto con la Società dell'Informazione . Dato il loro stretto rapporto con il sistema educativo e con le infrastrutture, le collettività locali possono consentire alla società di accedere alle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni.
Tutti questi vantaggi, se opportunamente sfruttati, consentiranno di accompagnare lo sviluppo delle microimprese - settore ove l'occupazione progredisce con maggiore rapidità - che si trovano di fronte difficoltà specifiche che rendono per lo più necessarie soluzioni « su misura » che possono essere trovate solo a livello locale.
7. Il terzo settore
Il terzo settore (ovvero « terzo sistema ») è caratterizzato dalla concentrazione di operatori economici i cui principi sono basati sull'assenza dello scopo di lucro, sull'indipendenza rispetto al settore privato ed al settore pubblico, sulla ricerca di forme di organizzazione più partecipative ovvero sul servizio alla collettività. Esso, negli anni passati, è cresciuto e si è consolidato, offrendo, prima e fuori dal settore pubblico e dal mercato, risposte a vecchi e nuovi bisogni sociali e creando nuovi posti di lavoro.
Questo settore costituisce oggi una parte importante della creazione di nuovi posti di lavoro: la quota di tale settore rispetto all'occupazione totale è valutata al 6,45 % (vale a dire 8.590.000 posti di lavoro). Inoltre, il terzo settore mira al reinserimento di quelle persone che incontrano maggiore difficoltà nell'accedere al mercato del lavoro.
Alcune attività del terzo settore si dimostrano economicamente convenienti. I servizi relativi alla protezione dell'ambiente, ad esempio, possono risultare molto utili a termine, oltre ad essere finanziariamente convenienti. Peraltro, altre attività quali i servizi culturali o di assistenza alle persone (anziani, disabili, asili, ecc.) possono non rientrare in una logica di profitto. I criteri economici non sono adatti in tutti i casi, per valutare siffatte attività. Il finanziamento di queste imprese deve tener conto di tale particolarità e considerare il valore aggiunto che esse forniscono alla società in termini di servizi o di inserimento di persone in difficoltà.
E' opportuno tuttavia professionalizzare il terzo sistema - se non altro per migliorare la qualità del servizio fornito - nonché trovare un equilibrio tra il finanziamento pubblico e quello privato al fine di consentire un pieno sviluppo di tale settore.
L'intervento dello Stato a favore e a sostegno del terzo settore è stato, generalmente, tardivo (dopo che il fenomeno si era largamente sviluppato), disorganico, affrontando singoli aspetti e questioni piuttosto che provvedendo ad una sistemazione organica all'intera realtà, e spesso "opportunistico", dettato più da esigenze di bilancio che animato da reale volontà di promuovere lo sviluppo dell'autorganizzazione della società civile. Inoltre le risorse pubbliche che giungono al terzo settore non sono cospicue e soprattutto percorrono numerosi, tra loro molto differenti e spesso poco "trasparenti", canali.
Comunque, sembra evidente che attraverso opportune misure generali e specifiche si può favorire lo sviluppo del terzo settore, e soprattutto, trasferire risorse al terzo settore significa operare un investimento produttivo, con positive ricadute sul piano dell'occupazione e della coesione sociale. Pensiamo semplicemente che la società per Imprenditoria Giovanile in 12 anni ha approvato 1.400 progetti d'impresa con circa 2.000 milioni di euro di investimento e ha creato 25.000 posti di lavoro, con un costo per nuovo occupato pari a circa 76 mila euro, mentre il costo di un occupato nel terzo settore, secondo l'indagine NETS, è pari a circa 13 mila euro. Ed in questo computo non sono inclusi i costi e i benefici "sociali".
8. Le agenzie locali dei servizi pubblici dell'occupazione
Le agenzie locali di collocamento cercano di far coincidere la domanda con l'offerta di lavoro, nonché di favorire uno sviluppo territoriale equilibrato. Al fine di ottimalizzare il collegamento tra offerta e domanda di lavoro, sarebbe opportuno incoraggiare i servizi pubblici dell'occupazione ad attuare un decentramento adattando i servizi alle particolari esigenze locali.
Le rete, costituita da oltre 5.000 agenzie locali, viene incoraggiata ad estendere il suo ruolo di gestione del mercato del lavoro, avviando attività innovative in materia di sviluppo locale.
9. Le parti sociali
Partecipando attivamente al dialogo sociale e facendo conoscere le loro esperienze, le parti sociali occupano naturalmente un posto privilegiato allorquando si tratta di svolgere azioni locali in favore dell'occupazione. Possedendo una buona conoscenza della situazione del mercato locale del lavoro, tanto dal lato dell'offerta, quanto dal lato della domanda, le parti sociali rappresentano un interlocutore di primaria importanza a livello locale e devono quindi avere una maggiore integrazione nelle partnership locali.
La decentralizzazione istituzionale e amministrativa destinata ad accompagnare i mutamenti strutturali tende oggi a generalizzarsi negli Stati membri. Le autorità regionali e locali, più in grado di tener conto degli aspetti specifici del territorio di loro competenza, sono ormai incoraggiate a riunire gli operatori locali al servizio dell'occupazione. La presente comunicazione raccomanda una maggiore partecipazione degli operatori locali nell'elaborazione dei piani di azione nazionali per l'occupazione.
Su applicazione di uno dei principi fondamentali della strategia europea per l'occupazione, secondo il quale le politiche dell'occupazione devono essere integrate orizzontalmente nelle politiche europee e nazionali, viene raccomandato che le strategie in favore dello sviluppo dell'occupazione locale seguano un approccio analogo. In tal senso, la politica di sviluppo regionale e rurale, nonché il nuovo regolamento relativo al Fondo sociale europeo permetteranno di sostenere maggiormente le iniziative locali per lo sviluppo e per l'occupazione.
La necessità di coordinare le attività degli operatori locali al fine di favorire le sinergie al servizio dell'occupazione è ormai considerata un elemento fondamentale della strategia europea per l'occupazione e la Commissione intende fornire il suo contributo a vari livelli per favorire un dibattito all'interno delle varie istituzioni nazionali e locali su tale argomento, per mettere alla prova l'applicazione della strategia europea per l'occupazione a livello locale. Ciò consentirà segnatamente :
di allineare i piani d'azione locali per l'occupazione sulla strategia europea per l'occupazione ;
informare circa il potenziale di creazione di posti di lavoro che offre l'azione a livello locale ;
sviluppare la cooperazione transnazionale ;
favorire l'individuazione e lo scambio delle buone procedure da seguire.
10. I settori dell’occupazione
Vediamo ora nel dettaglio quella che è stata nel corso degli ultimi anni la promozione di quei settori considerati maggiormente come possibili creatori di posti di lavoro.
a. Servizi
Il settore dei servizi comprende da solo più posti di lavoro dell'industria e dell'agricoltura riunite. A partire dal 1980, questo settore è il solo che abbia contribuito alla crescita dell'occupazione in Europa, che si è osservata prevalentemente nei servizi sociali, nei servizi finanziari, nei servizi alle imprese, nel commercio e nella distribuzione, nel settore alberghiero e della ristorazione.
La domanda di servizi sociali è in continua crescita. Poiché le spese pubbliche sono sottoposte a vincoli sempre più forti, se i servizi sociali devono restare una fonte di posti di lavoro, è necessario creare una nuova partnership fra il settore pubblico e il settore privato. E' inoltre concepibile concedere un aiuto all'avvio delle strutture di economia sociale che forniscono servizi alle persone anziane e ai disabili, servizi di istruzione prescolare o servizi di puericultura.
Il mercato dei servizi in Europa ha subito distorsioni provocate da elevati costi non salariali ed eccessive regolamentazioni. Orbene, in linea generale, le attività dei servizi sono caratterizzate dalla loro intensità di manodopera e di conoscenze. Per tali motivi, il duplice obiettivo consistente nel rendere i nostri mercati del lavoro più flessibili e nel fare in modo che la struttura dei costi del lavoro non sia di ostacolo alle attività a forte intensità di manodopera deve essere perseguito con determinazione se vogliamo sfruttare appieno il potenziale di creazione di posti di lavoro del settore dei servizi.
In generale le trasformazioni tecnologiche contribuiscono positivamente alla creazione netta di posti di lavoro nei servizi e nell'insieme dell'economia: accrescimento delle attività cognitive e degli scambi internazionali di servizi (per cui è particolarmente importante garantire un accesso ottimale ai mercati dei paesi terzi).
Le piccole e medie imprese sono i motori della crescita dei posti di lavoro nel settore dei servizi. La politica europea in questo settore dovrà seguire un strategia più integrata così da accrescerne il potenziale di creazione di posti di lavoro.
Sono in primo luogo gli Stati membri e le parti sociali che saranno chiamati a creare le condizioni adeguate affinché i servizi locali possano contribuire alla crescita dell'occupazione, e a conferire ai mercati del lavoro l'opportuno flessibilità. Ma anche la Comunità avrà un ruolo importante da svolgere.
In termini di posti di lavoro, il completamento del mercato unico ha avuto ripercussioni dirette importanti sul mercato dei servizi. Tuttavia molto resta ancora da fare. Un'efficace regolamentazione dei mercati e dei servizi è essenziale per proteggere gli interessi dei consumatori, mantenere la qualità e garantire un'equa concorrenza. Tuttavia regolamentazioni eccessivamente rigide asfissiano l'attività economica. E' urgente definire e attuare provvedimenti mirati con precisione, al fine di garantire un livello di protezione sufficiente affinché i prestatari di servizi e i servizi stessi possano circolare e stabilirsi liberamente su tutto il territorio comunitario.
Senza infrastrutture moderne, ben concepite e poco costose, l'Europa non può sperare di raccogliere con successo le sfide del futuro. La realizzazione di queste infrastrutture dipende dalla liberalizzazione dei mercati dell'energia e delle telecomunicazioni (per migliorarne l'accesso) e dal programma di reti transeuropee (per aumentarne la capacità).
La spettacolare generalizzazione del ricorso alle tecnologie dell'informazione può avere un impatto positivo notevole sulla crescita dei posti di lavoro. Affinché l'Europa possa divenire un crocevia del commercio elettronico, sono indispensabili numerose misure collegate tra loro: sviluppo tecnologico, normalizzazione e interoperabilità, presa di coscienza dei cittadini e dei responsabili delle imprese, adeguamento del quadro giuridico e regolamentare.
La ricerca di un livello di qualità elevato nella prestazione dei servizi è necessaria per assicurare l'adesione dei consumatori. Potrebbe quindi essere utile:
· definire "profili di qualità" per settori di servizi;
· adottare rapidamente un codice di buona condotta elettronica con la creazione di un marchio di qualità o "icona".
La valorizzazione e il rinnovo delle risorse umane è indispensabile per massimizzare il potenziale di creazione di posti di lavoro offerto dal settore dei servizi. L'istruzione permanente e la formazione continua sono una necessità assoluta e rappresentano la moneta del commercio del XXI secolo.
Le piccole e medie imprese (PMI) non dispongono delle risorse umane e finanziarie necessarie per fronteggiare i costi regolamentari e le procedure amministrative. La Commissione invita gli Stati membri ad agire con determinazione in direzione di una abrogazione delle eccessive regolamentazioni nazionali che frenano la crescita e la creazione di posti di lavoro.
Il finanziamento pubblico della ricerca costituisce uno strumento importante per esplorare nuove possibilità nei settori di attività economica o sociale in cui il settore privato non è sufficientemente disposto ad investire. I finanziamenti comunitari esistenti potrebbero essere orientati in modo da promuovere nuovi servizi.
E' certo che la mondializzazione del mercato dei servizi è destinata ad accelerarsi e che la concorrenza diverrà sempre più dura. L'apertura dei nostri mercati dei servizi al fine di valorizzare le potenzialità dell'Europa non è concepibile senza un accesso effettivo ai mercati esteri. La Comunità deve parlare con voce chiara e univoca a livello internazionale.
La Commissione presenterà un Libro Bianco sulla realizzazione di un mercato europeo efficace dei servizi in grado di offrire le migliori possibilità di creazione di posti di lavoro, che servirà da base ad un vasto dibattito in occasione del Consiglio europeo di Amsterdam.
b. Ambiente
Le economie dei paesi dell'Unione europea sono caratterizzate da un sottoimpiego delle risorse umane e da un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Questa situazione si traduce in un tasso di disoccupazione elevato e in rilevanti conseguenze ambientali.
Mentre la nozione di crescita economica copre aspetti puramente quantitativi, lo sviluppo sostenibile può essere definito come uno sviluppo che permette di soddisfare le necessità della generazione attuale senza compromettere la possibilità di soddisfare le necessità delle generazioni future. Tuttavia, nell'insieme, i nostri modi di produzione (industria, trasporti, energia, agricoltura) e di consumo sono tutt'altro che coerenti con una prospettiva di sviluppo sostenibile.
La sfida consiste dunque, per i prossimi anni, nel correggere questa tendenza per non oltrepassare le capacità ecologiche del pianeta, e ciò implica:
uno sfruttamento più efficace dell'energia primaria e delle materie prime;
il riciclaggio sistematico dei prodotti e dei rifiuti;
la concezione di prodotti che durino nel tempo;
dare la preferenza alle fonti di energia e alle materie prime rinnovabili.
Le imprese devono essere stimolate a trasferire i loro sforzi da soluzioni basate su processi "a catena" (trattamento dei rifiuti, ecc.) a investimenti in tecnologie proprie, più adatte a migliorare l'efficacia del processo di produzione. La preoccupazione per l'ambiente può così diventare una fonte di innovazione e di guadagno in competitività.
Si ritiene che attualmente il numero di posti di lavoro legati all'ambiente in Europa sia almeno di 3,5 milioni:
2 milioni nel settore delle tecnologie proprie, delle fonti di energia rinnovabili, del riciclaggio dei rifiuti, della protezione della natura e dei paesaggi, del rinnovamento ecologico delle zone urbane;
il resto è costituito da posti di lavoro nelle cosiddette "eco-imprese" che producono tecnologie, beni e servizi per "misurare, prevenire, limitare o evitare l'inquinamento del suolo, dell'aria e dell'acqua nonché i problemi connessi ai rifiuti, al rumore e agli ecosistemi". Questo settore offre inoltre buone prospettive per la creazione di posti di lavoro locali e presenta potenzialità di espansione rapida.
Per stimolare e sostenere lo sviluppo di strategie a lungo termine da parte degli Stati membri, la Commissione propone le seguenti azioni chiave:
attraverso l'adozione di criteri di riferimento, consentire un più agevole raffronto dell'andamento delle imprese e dei settori economici in termini di occupazione e di effetti sull'ambiente, per individuare e diffondere le buone pratiche;
sviluppare i piani esistenti per la selezione delle migliori tecnologie disponibili, estendendoli agli effetti sull'occupazione e alla valutazione precisa dell'utilizzazione di energia e di risorse;
sulla base di Agenda 2000, rafforzare l'impegno a impiegare i fondi e gli strumenti comunitari a favore di un'occupazione e di uno sviluppo sostenibili, considerati in modo integrato. Il rinnovamento urbano e lo sviluppo rurale appaiono particolarmente promettenti;
perseverare nella graduale riforma del sistema fiscale da un lato riducendo i costi non salariali del lavoro e, dall'altro, incorporando i costi inerenti all'ambiente e alle risorse nei prezzi di mercato dei beni e servizi;
promuovere l'istruzione e la formazione in materia ambientale per sostenere l'applicazione di nuove tecnologie e pratiche di lavoro compatibili con l'ambiente.
c. Banche (Il capitale di rischio come chiave per la creazione di nuovi posti di lavoro)
I mercati di capitali di rischio - che forniscono finanziamenti alle piccole e medie imprese, nonché alle società a forte crescita - svolgono un ruolo cruciale nell'avviamento e nello sviluppo di nuove imprese e, quindi, nella creazione di nuovi posti di lavoro all'interno dell'Unione europea.
Dalla comparazione con gli Stati Uniti emerge che i mercati di capitali di rischio sono ancora manifestamente sottosviluppati nell'Unione europea. Ed è questo il caso non solo per i mercati borsistici specializzati nel finanziamento delle società a forte crescita, ma anche per gli investimenti in capitali di rischio nelle imprese in fase di avviamento e di crescita, nonché in quelle d'alta tecnologia. Altre notevoli differenze riguardano la misura in cui i fondi pensioni americani contribuiscono a fornire capitale di rischio ed a lanciare la dinamica del raggruppamento geografico degli operatori interessati allo sviluppo delle imprese (fornitori di capitali di rischio, ricercatori, imprenditori).
Gli imprenditori europei non possono accedere sufficientemente al capitale necessario per l'avviamento e lo sviluppo delle loro aziende. D'altra parte, gli investitori di capitali di rischio mancano di buone opportunità di collocamento dei loro capitali. Questa mancanza di dinamismo ha delle ripercussioni negative sulla capacità dell'Unione europea di sfruttare le proprie idee innovatrici e di realizzare l'intero potenziale di cui dispone in fatto di creazione di nuovi posti di lavoro.
La comunicazione individua sei categorie di barriere che si oppongono alla creazione di mercati di capitali di rischio su scala europea:
i mercati nazionali sono ancora fortemente frammentizzati, il che riduce al tempo stesso la capitalizzazione e la liquidità dei mercati;
persistono barriere istituzionali e normative, in quanto manca a livello nazionale o comunitario un contesto normativo soddisfacente. È questo in particolare il caso per la normativa in materia di fondi di capitali di rischio, di investimenti istituzionali (imprese di assicurazione, fondi pensioni), di servizi d'investimento, di emissioni e di quotazioni transfrontaliere e di regole contabili;
i sistemi fiscali degli Stati membri sembrano penalizzare gli investimenti in capitali di rischio. In primo luogo, i redditi delle partecipazioni dirette nelle società (dividendi) sono generalmente soggetti ad aliquote più elevate rispetto a quelle applicabili ai capitali investiti senza rischi in obbligazioni o in depositi bancari (interessi). In secondo luogo, è importante che le imposte sulle plusvalenze non costituiscano un freno all'investimento, né all'acquisto opzionale di azioni come complemento di retribuzione del personale. In terzo luogo, i regimi fiscali applicabili ai fondi di capitali di rischio non sono generalmente trasparenti;
nel settore dell'alta tecnologia l'acuta penuria di nuove PMI e la conseguente mancanza di opportunità d'investimenti. La penuria è ulteriormente accentuata a causa della rarità delle reti o delle concentrazioni geografiche delle PMI a alta tecnologia, nonché a causa di un ambiente giuridico e normativo (regole in materia di proprietà intellettuale e requisiti amministrativi all'atto della creazione d'imprese) poco favorevole all'innovazione e alla creazione di imprese;
anche le risorse umane disponibili per i progetti d'investimento in capitali di rischio (imprenditori ed esperti qualificati) sono insufficienti;
fattori "culturali", come il comportamento degli investitori nei confronti del rischio e l'assenza di una cultura aziendale nelle scuole e nelle università frenano la formazione di una nuova generazione d'imprenditori europei.
La comunicazione propone un piano d'azione per sopprimere gli ostacoli anzidetti e migliorare così le condizioni idonee per lo sviluppo del capitale di rischio nell'Unione europea. Alcune delle iniziative proposte (come ad esempio la riforma del sistema di brevetto europeo) vanno attuate a livello dell'Unione europea, mentre altre (come la maggiore trasparenza nel sistema tributario che colpisce le imprese) dovrebbero essere attuate dagli stessi Stati membri.
d. Società dell’informazione
La società dell'informazione costituisce attualmente uno dei settori più dinamici dell'economia mondiale. Le evoluzioni tecnologiche in questo settore hanno comportato numerose mutazioni dei modi di vita e delle metodologie di lavoro.
La società dell'informazione rappresenta già più del 5% del PIL dell'Unione europea e il suo ritmo di crescita è superiore di oltre cinque punti (in termini reali) agli altri settori dell'economia. La società dell'informazione impiega oltre 4 milioni di persone e circa 300.000 nuovi impieghi sono stati creati tra il 1995 e il 1997.
L'Unione europea tuttavia non sfrutta nel migliore dei modi il potenziale di creazione d'impiego della società dell'informazione. Di conseguenza circa 500.000 posti offerti non hanno trovato, in base ad alcune valutazioni, un acquirente.
In seguito alla richiesta del Consiglio europeo di Lussemburgo del novembre 1997, la Commissione ha elaborato questa relazione per presentare uno stato della situazione attuale e valutare le implicazioni delle trasformazioni comportate in termini di impiego e di formazione.
Il rilancio della società dell'informazione riguarda essenzialmente tre tipi di servizi:
le telecomunicazioni (telefonia mobile, Internet);
il commercio elettronico;
i multimedia.
Nel caso delle telecomunicazioni, la liberalizzazione ha condotto ad un aumento della concorrenza. L'UE conta oggi circa 300 operatori e osserva negli Stati membri un ribasso dei costi e del prezzo dei servizi e un miglioramento della scelta e della qualità dei servizi.
La relazione mette in luce tre grandi settori d'intervento allo scopo di approfittare pienamente del potenziale economico e sociale della società dell'informazione:
l'applicazione di una cultura d'impresa: la creazione di un'impresa deve essere favorita per mezzo di misure di stimolo (regimi fiscali che incoraggino la creazione di un'impresa, miglioramento dell'accesso al capitale di rischio);
la promozione di un cambiamento organizzativo: di fronte alla rapidità delle innovazioni tecnologiche, è importante sviluppare nuovi metodi di lavoro, più flessibili e che si adattino alle evoluzioni del settore. Il successo passa attraverso una ristrutturazione delle imprese per migliorare la competitività e un aumento degli investimenti nelle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sennonchè le piccole e medie imprese europee e in particolare le imprese molto piccole non investono sufficientemente in queste nuove tecnologie;
il miglioramento delle qualifiche e delle competenze professionali: si osserva in seno all'Unione un debole controllo delle tecniche elementari della società dell'informazione e di un accesso pubblico limitato alle nuove tecnologie. Esiste in seno all'UE una vera penuria di qualifiche che limita gravemente la crescita dell'industria di questo settore. Si dovranno compiere sforzi per sviluppare il riciclaggio dei lavoratori anziani e dei disoccupati attraverso tirocini di riconversione o una formazione continua. Anche l'istruzione dovrà subire adattamenti dinnanzi a questa nuova sfida: integrazione delle tecnologie dell'informazione ai programmi d'insegnamento, presenza di strumenti informatici nei centri d'insegnamento, formazione degli insegnanti alle nuove tecnologie, promozione di compartecipazioni tra i settori pubblico e privato.
È essenziale favorire un ampio accesso della popolazione alle tecnologie dell'informazione. Infatti la società dell'informazione può rappresentare un fattore d'integrazione e di coesione sociale in Europa, abolendo gli ostacoli che derivano dalle distanze tra gli Stati membri e tra le regioni rurali e periferiche.
La Commissione raccomanda agli Stati membri di mettere a profitto le varie sinergie esistenti in Europa, cioè livello di qualifica elevato, creatività e diversità della manodopera europea, mercato unico, introduzione dell'euro e adattabilità delle imprese europee per sfruttare il potenziale di creazione di posti di lavoro in questo settore.
In questa prospettiva, la Commissione auspica l'introduzione di una strategia globale, dove:
gli Stati membri dovranno elaborare una strategia e sottoporla alla Commissione nel quadro dei Piani d'azione nazionali. Un rappresentante di alto livello, incaricato del coordinamento tra le strategie nazionale e comunitaria dovrà essere designato in ciascuno Stato membro;
le industrie della società dell'informazione dovranno presentare alla Commissione proposte per favorire la transizione dell'Unione europea verso l'era dell'informazione;
le parti sociali dovranno rendere conto delle evoluzioni in materia di adattamento dell'organizzazione del lavoro alle nuove tecnologie.
e. Turismo
La comunicazione della Commissione è stata adottata nel quadro degli sviluppi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Gruppo ad alto livello istituito nel 1998 dalla Commissione in materia di turismo e occupazione (gruppo Corsten).
Essa risponde alla richiesta avanzata dal Parlamento europeo e dal Consiglio di individuare i mezzi e le condizioni per ottimalizzare il contributo del turismo all'occupazione, nonché di rendere conto dei progressi compiuti in tale settore.
In occasione del Consiglio "Turismo" del 26 novembre 1997, i ministri degli Stati membri hanno affermato che uno sviluppo equilibrato e durevole del turismo europeo poteva contribuire in maniera sostanziale alla lotta contro la disoccupazione all'interno dell'Unione.
Attualmente, circa 9 milioni di persone lavorano nel settore del turismo. L'industria del turismo è largamente rappresentata nell'Unione: 2 milioni di imprese, essenzialmente piccole e medie, garantiscono il 5,5% del prodotto interno lordo (PIL) dell'Unione e il 30% del commercio estero dei servizi.
Tuttavia, il potenziale di tale settore non è stato sufficientemente sfruttato a livello europeo. Il turismo potrebbe infatti permettere la creazione di 2,2-3,3 milioni di posti di lavoro nel corso del prossimo decennio. Per raggiungere un risultato ottimale è necessario creare un clima favorevole agli investimenti e favorire la cooperazione fra tutte le parti interessate, comprese le parti sociali, nel perseguimento di un obiettivo comune.
Secondo la Commissione, il settore del turismo consente l'attuazione di una politica europea per l'occupazione per i seguenti motivi:
prospettive attuali e future favorevoli all'aumento della domanda di turismo, che possono incoraggiare la creazione di imprese, di prodotti, di servizi e di posti di lavoro;
la natura e la struttura delle imprese che favoriscono l'accesso di nuovi operatori sul mercato;
l'introduzione del settore del turismo nella serie di negoziati sui servizi che sono iniziati nel 2000;
la flessibilità dell'organizzazione del lavoro che facilita l'accesso al posto di lavoro dei giovani e delle donne.
Lo sfruttamento del potenziale del settore del turismo presuppone l'attuazione di una strategia comunitaria. Ciò comporta un potenziamento delle sinergie al fine di sfruttare al meglio i programmi e le iniziative attualmente esistenti (ottimalizzazione dei fondi stanziati nel quadro dei Fondi strutturali e segnatamente del FESR, utilizzazione dei fondi del quinto programma di ricerca e di sviluppo tecnologico che considera il turismo come un settore di possibile destinazione dei fondi).
La creazione di una rete europea di osservazione on-line del turismo ("EurONeT") potrebbe contribuire allo sviluppo del turismo stesso, fornendo inoltre informazioni precise agli operatori del settore. Inoltre, il ricorso ai centri "Euro Info Centres" (presenti attualmente in tutti gli Stati membri e nei paesi associati) dev'essere favorito, al fine di consentire alle imprese di accedere più agevolmente alle informazioni e ai programmi dell'UE, nonché di ricevere informazioni concrete sulla situazione locale del mercato del turismo.
Il settore del turismo potrebbe parimenti beneficiare dell'introduzione di un'aliquota ridotta di IVA per alcuni servizi a forte intensità di manodopera.
Altri provvedimenti possono inoltre essere adottati per migliorare la trasparenza del mercato del lavoro, nonché il riconoscimento dei diplomi, delle formazioni e delle esperienze professionali nel settore del turismo, segnatamente:
favorire un più ampio ricorso alla rete Eures;
migliorare l'efficacia degli aiuti previsti dal Fondo sociale europeo .
L'efficienza delle infrastrutture turistiche dev'essere adeguatamente migliorata per quanto riguarda prioritariamente il decongestionamento del traffico e l'interoperatività dei sistemi di trasporto.
Lo sviluppo del turismo deve avvenire considerando l'obiettivo comunitario di sviluppo durevole e tenendo conto dei criteri ambientali nelle procedure di gestione delle imprese e dei programmi.
f. Lavoro non dichiarato
Il lavoro non dichiarato riguarda tutti gli Stati membri e costituisce di conseguenza uno degli argomenti d'interesse comune in materia occupazionale.
Per lavoro non dichiarato si può intendere "qualsiasi attività retribuita di natura giuridica, ma non dichiarata ai poteri pubblici, in considerazione delle differenze esistenti tra i sistemi regolamentari degli Stati membri". Questa definizione esclude le attività criminali e i lavori che non necessitano di una dichiarazione.
Risulta per definizione difficile quantificare il lavoro non dichiarato. In seguito alle ipotesi avanzate, la portata dell'economia sommersa si situerebbe tra il 7% e il 16% del prodotto interno lordo (PIL) dell'Unione europea, cioè tra il 7% e il 19% del totale dei posti di lavoro dichiarati.
L'attrattiva principale dell'economia informale è di natura economica: questo tipo di attività consente ai datori di lavoro, ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori autonomi di aumentare i loro redditi o di ridurre i costi sottraendosi all'imposta e ai contributi sociali.
La portata e l'ampiezza del lavoro non dichiarato variano a seconda delle varie caratteristiche istituzionali delle economie degli Stati membri, in particolare:
importanza degli oneri fiscali e sociali;
gravosità delle spese generali e delle pratiche amministrative;
inadeguamento della legislazione alle nuove forme di lavoro;
strutture industriali locali basate su una moltitudine di piccole imprese;
debole competitività delle imprese di settori in declino a forte intensità di manodopera poco qualificata;
accettazione culturale dell'economia informale;
esistenza di occasioni facili da cogliere.
È possibile distinguere quattro grandi gruppi di lavoratori non dichiarati:
persone che cumulano due impieghi o più;
persone "economicamente non attive": studenti, casalinghe, lavoratori prepensionati;
disoccupati;
immigrati clandestini.
Il lavoro non dichiarato si riscontra soprattutto nei settori caratterizzati da una forte densità di manodopera:
i settori tradizionali come l'agricoltura, l'edilizia, il commercio al dettaglio, la ristorazione e i servizi domestici;
le industrie manifatturiere e i servizi commerciali la cui competitività dipende essenzialmente dai costi;
i settori innovatori che utilizzano mezzi di comunicazione informatici.
Il lavoro non dichiarato può avere un'incidenza considerevole sulle finanze pubbliche per il fatto delle perdite che esso comporta in termini di entrate fiscali e di contributi sociali. Questa situazione crea un circolo vizioso nella misura in cui lo Stato aumenta le imposte per continuare a garantire i servizi pubblici, favorendo quindi di più il lavoro non dichiarato.
Le incidenze individuali sono anche importanti. In materia di copertura sociale, le implicazioni variano in funzione degli Stati membri e delle situazioni individuali. Risulta quindi evidente che nessun lavoratore non dichiarato beneficia di un'assicurazione disoccupazione o di un'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. I lavoratori non dichiarati che sono ufficialmente inattivi, sono privati di tutti i vantaggi che conferirebbe loro un contratto di lavoro formale, quali la formazione, un profilo professionale specifico, aumenti salariali, la sensazione di appartenere all'impresa. Tali persone avranno anche delle difficoltà a passare ad altri tipi di attività.
Il problema del lavoro non dichiarato si può interpretare in due modi:
da un lato, si tratta di imprese e di persone che traggono un vantaggio dal sistema, mettendo quindi in pericolo la solidarietà. In questo caso, l'intervento politico si dovrebbe orientare verso la repressione e la sensibilizzazione;
dall'altro lato, esso risulta dall'inadeguamento della legislazione alle nuove forme di lavoro, nel qual caso l'azione dovrebbe concentrarsi piuttosto sulla prevenzione (semplificazione delle procedure, riconoscimento di nuove attività e competenze, riduzione dei prelievi fiscali sul lavoro, .....).
È quindi importante ridurre i vantaggi economici del lavoro non dichiarato per capovolgere il rapporto rischi/benefici. Per lottare efficacemente contro il lavoro non dichiarato, occorre stabilire una strategia globale mirata. È opportuno mettere in atto un insieme di misure che si ispirano alle due strategie precitate, facendo sì che le varie misure interagiscano e che altre iniziative politiche non intervengano a ostacolarle.
Gli Stati membri hanno avviato un certo numero di misure adeguate alle varie forme assunte da questo fenomeno e alla loro importanza. Taluni Stati membri hanno improntato le loro iniziative al lavoro non dichiarato sotto forma di secondo impiego mentre altri hanno sottolineato la forma "più industrializzata" di questo tipo di lavoro. È opportuno tuttavia far notare che talune iniziative adottate ad altri fini hanno effetti secondari positivi sul lavoro non dichiarato.
Al fine di lottare contro il lavoro non dichiarato e le frodi relative alle prestazioni e ai contributi di previdenza sociale, gli Stati membri hanno deciso di sviluppare una cooperazione e un'assistenza reciproca amministrativa. Tale cooperazione è caratterizzata dai seguenti punti:
la comunicazione diretta fra gli organismi competenti;
la designazione di centri nazionali di collegamento negli Stati membri in vista di facilitare la cooperazione, con relativa notifica di tali centri agli Stati membri e alla Commissione;
la trasmissione di ogni richiesta di cooperazione al competente organismo dello Stato membro interessato;
l'assistenza reciproca amministrativa fra gli organismi competenti (comunicazione di informazioni e trasmissione di documenti).
11. Dati sulla disoccupazione in Europa
Analizziamo ora alcuni dati significativi (fonte EUROSTAT) sul tasso di disoccupazione in Europa.
Dalla lettura della tabella "Tasso di disoccupazione", emerge una situazione molto pesante in termini di disoccupazione in quasi tutti i paesi europei; un fenomeno diffuso e grave, che costituisce un problema di grande rilievo e che, come detto, nell'ultimo incontro di Vienna (14/12/1998) i "governanti" hanno deciso di affrontare con misure comuni dirette a diminuire il tasso di disoccupazione dei paesi EU.
I motivi di una disoccupazione generalizzata si possono ricercare:
nella continua evoluzione della società;
nell'innovazione tecnologica, sempre più veloce;
nelle dinamica del mercato che portano verso la globalizzazione, spostando gli assetti produttivi in paesi remoti, in cui il costo del lavoro è sicuramente più basso;
Particolarmente rilevante è il tasso di disoccupazione in Spagna, con livelli molto al di sopra della media EU, ma che trova un ulteriore incremento quando viene esaminata separatamente la componente femminile, che pesa per il 60% in più rispetto a quella maschile.
Il problema della disoccupazione riguarda, a parte la Finlandia, anche i paesi a industrializzazione avanzata, come la Francia e la Germania che si attestano rispettivamente a ridosso della media EU, ma con equilibri percentuali tra uomo e donna di rilievo minore.
In Francia il problema della disoccupazione risente del notevole calo del settore agricolo, mentre la Germania paga, ancora oggi il prezzo dell'unificazione tedesca, diverso è il discorso Finlandese, dove le ragioni dell'alto tasso di disoccupazione va ricercato nelle condizioni climatiche del paese.
Analoga la situazione in Italia e solo in apparenza meno preoccupante, ma in vero bisognosa di interventi massicci.
La disoccupazione in generale rientra nelle dinamiche generali europee, con peculiarità proprie rispetto al ritardo del lavoro femminile. Probabilmente sull'eccessivo distacco presente in Italia, ma anche in Spagna, paesi mediterranei di recente industrializzazione, pesano fattori culturali ancora attivi. Al riguardo al di là dei numeri attuali, non si può non considerare come il confronto andasse effettuato sui decenni trascorsi, le cui risultanze risulterebbero sicuramente più vistose.
Oltre al problema culturale, occorre sottolineare come il lavoro femminile sia soggetto al problema del lavoro-nero o lavoro sommerso.
In verità il lavoro femminile nell'industria, nelle professioni e nei servizi, ha consentito di avviare il paese alla sua progressiva rinascita; il contributo della donna, si rileva determinante per i miglioramenti futuri, è infatti provato come la percentuale delle donne laureate sia maggiore rispetto a quella degli uomini, e la media dei voti è nettamente superiore.
12. Principali organismi per l’occupazione
Concludiamo ora questo lavoro parlando brevemente dei principali organismi creati dall’Unione per l’occupazione, e cioè il Comitato permanente per l'occupazione ed il Comitato per l'occupazione.
a. Comitato permanente per l'occupazione
Il Comitato permanente per l'occupazione (CPO) è stato istituito in seguito all'adozione della decisione del Consiglio 70/532/CEE, del 24 dicembre 1970, successivamente modificata dalla decisione 75/62/CEE, del 20 gennaio 1975.
L'istituzione del Comitato soddisfaceva un auspicio espresso dai rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori nel corso della conferenza sui problemi occupazionali svoltasi a Lussemburgo il 27 e 28 aprile 1970. Peraltro, nel corso degli anni e soprattutto con lo sviluppo della politica dell'occupazione a livello comunitario, si è reso necessario adeguare il CPO onde migliorarne il funzionamento.
Nella sua risoluzione del 18 luglio 1997 sulla comunicazione della Commissione relativa allo sviluppo del dialogo sociale a livello comunitario, il Parlamento europeo ha richiesto una riforma urgente del CPO, nonché l'istituzione di meccanismi di coordinamento tra tale Comitato e il Comitato per l'occupazione e per il mercato del lavoro.
Il Comitato economico e sociale, nel suo parere del 29 gennaio 1997 sulla summenzionata comunicazione della Commissione, ha dichiarato che occorreva attribuire un'importanza maggiore al Comitato permanente per l'occupazione, il quale ormai deve tener conto degli obiettivi sociali e economici della Comunità seguendo gli orientamenti che si ricavano dalle direttive di massima sull'occupazione.
- Compiti
Il Comitato ha il compito di garantire permanentemente, nel rispetto del trattato e delle competenze delle istituzioni e degli organi comunitari, il dialogo, la concertazione e la consultazione fra il Consiglio, oppure, a seconda dei casi, i rappresentanti dei governi degli Stati membri, la Commissione e le parti sociali, onde agevolare il coordinamento delle politiche occupazionali degli Stati membri, armonizzandole con gli obiettivi comunitari.
Le attività del Comitato devono aver luogo prima che siano state prese le eventuali decisioni delle istituzioni competenti.
- Composizione
Partecipano ai lavori del Comitato, il Consiglio o i rappresentanti dei governi degli Stati membri ed, a seconda dei casi:
la Commissione;
le organizzazioni dei datori di lavoro;
le organizzazioni dei lavoratori.
I rappresentanti delle parti sociali sono non più di 20, suddivisi in due delegazioni equivalenti composte da 10 rappresentanti dei lavoratori e 10 rappresentanti dei datori di lavoro. Le delegazioni delle parti sociali coprono l'insieme dell'economia e si compongono di organizzazioni europee a carattere generale o settoriale che rappresentano i dirigenti e le piccole e medie imprese.
La Commissione notifica periodicamente al presidente del Comitato l'elenco delle organizzazioni. Tale elenco deve tener conto delle modifiche che possono presentarsi nel modo in cui i lavoratori e i datori di lavoro sono rappresentati a livello europeo.
- Presidenza
Il Comitato è presieduto da un rappresentante dello Stato membro che assume la presidenza del Consiglio.
Il presidente:
prepara le riunioni in stretto contatto con la Commissione e le organizzazioni delle parti sociali che partecipano ai lavori del comitato;
convoca le riunioni a seconda delle necessità;
redige l'ordine del giorno provvisorio delle riunioni;
dirige le discussioni e al termine di esse ne riepiloga il contenuto.
La Commissione elabora e raccoglie i dati che consentono al Comitato di svolgere i suoi compiti.
b. Comitato per l'occupazione
Il Comitato per l'occupazione e per il mercato del lavoro è stato istituito nel 1997 per assistere il Consiglio nel settore dell'occupazione. Tale Comitato ha svolto essenzialmente funzioni connesse al "Processo di Lussemburgo", vale a dire riguardanti:
l'esame collettivo delle relazioni nazionali sull'occupazione;
la preparazione della relazione congiunta sull'occupazione da parte della Commissione e del Consiglio;
l'elaborazione di un parere sulle linee di orientamento per l'occupazione.
In esito all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il Comitato per l'occupazione e per il mercato del lavoro (CEMT) è stato sostituito dal Comitato per l'occupazione. Questo nuovo Comitato presenta alcuni elementi già presenti nel CEMT con alcune modifiche volte a migliorare il suo funzionamento.
- Compiti
Il Comitato per l'occupazione ha i compiti seguenti:
promuovere l'obiettivo di un alto livello d'occupazione nell'elaborazione e attuazione delle politiche e azioni comunitarie;
contribuire al processo d'adozione dei grandi orientamenti delle politiche economiche allo scopo di vigilare sulla loro compatibilità con le linee direttive per l'occupazione e contribuire alla sinergia tra la strategia europea per l'occupazione, il coordinamento delle politiche macroeconomiche ed il processo di riforma economica;
promuovere scambi di informazioni e di esperienze tra gli Stati membri e con la Commissione in tali settori;
partecipare al dialogo sulle politiche macroeconomiche a livello dell'UE.
- Composizione
Gli Stati membri e la Commissione designano ciascuno due membri del Comitato e possono nominare anche due membri supplenti. Per aumentare il peso politico del Comitato, i membri del Comitato e i supplenti vengono scelti fra gli esperti in possesso di una competenza di primo piano nel settore della politica per l'occupazione e per il mercato del lavoro nei vari Stati membri. Alcuni esperti esterni possono essere consultati a seconda delle esigenze del Comitato.
- Funzionamento
Il Comitato elegge il suo presidente tra i suoi membri, con un mandato non rinnovabile di due anni. Il presidente è assistito da tre vice-presidenti. Le riunioni vengono indette dal presidente di propria iniziativa o su richiesta di almeno la metà dei membri del Comitato.
Il Comitato stabilisce il suo regolamento interno.
Il Comitato può affidare lo studio di questioni specifiche ai propri membri supplenti ovvero a gruppi di lavoro. In tali casi, la presidenza viene assicurata dalla Commissione, ovvero da un membro o da un membro supplente del Comitato, nominato e a tal fine dal Comitato stesso. I gruppi di lavoro possono farsi assistere da esperti.
- Relazioni con altri organi
La consultazione delle parti sociali da parte del CEMT era di tipo informale. Il Comitato consulta le parti sociali e lascia una certa discrezionalità sui meccanismi di consultazione che devono essere stabiliti dal Comitato.
L'istituzione del Comitato dell'occupazione risponde all'esigenza di migliorare il coordinamento e di consolidare le relazioni tra i comitati. Il Comitato lavora, se del caso, insieme ad altri organi e comitati competenti in materia di politica economica, segnatamente con il Comitato economico e finanziario (previsto dal trattato) e con il Comitato per la politica economica (istituito tramite una decisione del Consiglio).
Bibliografia
Siti internet
legislazione comunitaria,G.U.E. e comunicazioni di pubblico interesse:
http://europa.eu.int/eur-lex/it/index.html
direzione generale politica regionale( informazioni su FS):
http://www.inforegio.cec.eu.int/dg16it.html
sito ufficiale del fondo sociale europeo in Italia:
http://europalavoro.it
politiche regionali europee:
http://europa.eu.int/comm/regional_policy/index_it.htm
rete di assistenza professionale:
http://europa.formaz.it/programmi_comunitari.html
Pubblicazioni
La dimensione sociale della globalizzazione, Carocci, Roma, 2001;
Una breccia nell’Europa fortezza? Spagna, Portogallo e Italia di fronte al problema dell’immigrazione, in "Quaderni di Sociologia", n. 22, 2000;
L’agiatezza ritrovata e il benessere perduto. Ripartire dai benestanti in "Quaderni di sociologia", n.20, 1999;
Una ragnatela sulla trasformazione, City Lights Italia, Firenze, 1998;
Tipologie del lavoro e sistemi locali. Un’analisi comparata attraverso alcuni studi di caso, in "Sviluppo locale", n.8, 1998;
"Quale relazione tra globalizzazione e cittadinanza? Il ruolo della società civile e delle istituzioni democratiche", in M. Aymard, A. Annino (a cura di), Cittadinanze di fine secolo in Europa e in America Latina, Messina, Rubettino, 1996;
La minorità incolpevole, prefazione di Ralf Dahrendorf, Milano, Angeli, 1995;
Valeria Fargion: Geografia della cittadinanza sociale in Italia. Regioni e politiche assistenziali dagli anni settanta agli anni novanta, Bologna, Il Mulino, 1997;
I servizi sociali in Europa, in "L’assistenza sociale", 1998, n.1;
Décentralizzation de l’Etat providence et différenciation territoriale: le cas de l’aide sociale en Italie in "Politiques et management public", 1998, n.3;
Timing e sviluppo dei servizi sociali in Europa,in "Rivista italiana di Scienza politica", 2000, n.1;
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"Creeping workfare policies: the case of Italy", in Gilbert (a cura di) Activating the unemployed: comparative appraisal of work -oriented polices, New Jersey, Transaction, (international social security series vol.3), 2001;
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"Des re´ formes ne´ gocie´ es le cas de l’Italie", in Daniel e Palier (a cura di) La protection sociale en Europe, Parigi, La documentation Française.
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