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La Storia di un Marchio Prestigioso

UN FENOMENO CHE E’ DIVENTATO SIMBOLO DELLA GERMANIA

La Volkswagen fondata sotto il Terzo Reich divenuta simbolo della Germania. Nonostante tutto.


20/06/2016 - Massimo Iacopi


(Assisi (Perugia))

Introduzione

La casa automobilistica tedesca, accusata oggi di aver truccato i test sui gas di scarico dei suoi motori diesel, è nata sotto il Nazismo ed ha accompagnato il miracolo tedesco del dopoguerra. Accanto ad alcune parole nella nostra terminologia, derivate dal tedesco, pesantemente evocative nell’immaginario collettivo, come Reich, Gestapo, Nazismo, c’è anche un nome che è universalmente conosciuto e che evoca anche la capacità della Germania nel campo della meccanica: questo è il nome del marchio Volkswagen, la grande casa automobilistica di Wolfsburg, diventata nel corso del 2014 il Numero Uno mondiale dell’automobile, che non si perita, nelle campagne pubblicitarie, di giocare sulla qualità del made in Germany, accessibile a tutti, autodefinendosi la “vettura per eccellenza” ovvero “Das Auto”. Il termine è pronunciato nella pubblicità con voce grave e persino bella  e trasmette un richiamo subliminale di solidità. E’ pur vero che le automobili Volkswagen offrono caratteristiche di solidità certamente superiore alle pari vettura esistenti sul mercato. Il logo, una V ed una W inscritte in un circolo, rappresenta un elemento ormai noto e facilmente riconoscibile. L’impresa Volkswagen nasce sotto gli auspici del regime nazista. L’ingegnere Ferdinand Porsche (1875-1951) ha già creato, nel 1931, sotto il suo nome, una fabbrica di costruzioni di vetture sportive, quando, il 22 giugno 1934, riceve l’ordine, della federazione delle industrie automobilistiche del Reich, di concepire un veicolo robusto capace di portare 5 persone a 100 Km/h, al prezzo di 990 Reichsmark (sei mesi di salario di un operaio). Nel luglio 1935, Porsche presenta un prototipo in legno e latta, ma, a partire dal gennaio 1938, Adolf Hitler (1889-1945) gli chiede di riflettere su un modello adattabile anche all’esercito, il Typ 82. Che Porsche abbia plagiato una invenzione di un ingegnere ebreo, Josef Ganz, che, prima di lui, ha disegnato la Standard Superior, il fatto non ha nociuto alla sua immagine. Il progetto di “vettura del popolo” (Volkswagen) viene attribuito all’organizzazione nazista del “tempo libero”. Si tratta dunque di una vettura KdF (1), “con la forza del popolo tedesco e per la gioia del popolo tedesco”, che darà vita alla fabbrica di cui Hitler poserà la prima pietra il giorno dell’Ascensione del 1938, nei pressi della piccola città di Fallersleben e del castello di Wolfsburg. Il 1° luglio 2938 viene creata dal nulla una città battezzata KdF-Stadt, la “città KdF”. Il sogno di accedere alla automobile viene, in tal modo, messo alla portata delle  persone comuni tedesche. Questa è una promessa della Volksgemeinschaft, comunità mitica di uguali uniti dal sangue ed il cui consenso viene acquisito attraverso l’accesso al benessere (non con i bonus) ed al consumo. La vettura KdF occupa un posto di rilievo nell’immaginario di un estremo dinamismo che alimenta il 3° Reich. La vettura si acquista versando regolarmente del denaro su un libretto di risparmio KdF. Fino al crollo del Nazismo, verranno versati 280 milioni di depositi da parte di 300 mila Tedeschi presso la Banca del Deutschen Arbeit, per dei veicoli che, in gran parte, non verranno mai loro consegnati. Con l’attacco alla Polonia del 1° settembre 1939, la fabbrica viene riconvertita per l’industria di guerra. Sfruttando circa 200 mila lavoratori forzati (prigionieri di guerra e deportati), essa fornirà alla Wehrmacht 40 mila veicoli Kubelwagen Typ 82, di cui 15 mila nella versione anfibia Schwimmwagen Typ 128.

Un sogno accessibile

Nel 1945, la città KdF, ribattezzata Wolfburg, viene a trovarsi nella zona di occupazione britannica. La fabbrica, occupata, cade sotto i colpi delle misure di demilitarizzazione. Ma grazie al maggiore Ivan Hirst (1916-2000), ingegnere britannico incaricato della gestione dell’impresa Volkswagen, la produzione viene rilanciata per le esigenze dell’esercito d’occupazione. Heinrich Heinz Nordhoff (1899-1968), un vecchio dirigente della casa Opel, diventa direttore generale nel 1948. In venti anni, questi farà della VW una delle più potenti imprese automobilistiche, intorno al modello inventato da Porsche nel 1935 e ribattezzato Coccinella, a causa della sua forma arrotondata. Nel 1949, i Britannici affidano la casa automobilistica al Land della Bassa Sassonia. La “Coccinella”, robusta e pratica, viene adattata alle necessità del mercato interno, rivelandosi, ben presto, un prodotto molto funzionale anche per l’esportazione. L’eccezionale recupero economico della Germania occidentale si evidenzia anche nelle migliaia di “coccinelle” caricate nelle navi trasporto del porto di Amburgo, prima che vengano aperte fabbriche di produzione nell’America del Sud. Fra il modello di base ed il cabriolet, proposti sin dal 1949, la produzione cresce rapidamente: vengono raggiunti i 100 mila veicoli nel 1950 ed il 1° milione nel 1955. La Coccinella diventa il simbolo del miracolo economico tedesco e riesce persino a far dimenticare il suo passato nazista. Quando il minibus (Combi-nat) viene adottato dagli hippies, dai sessantottini e dagli appassionati di surf, l’impresa VW è già diventata privata. Il 21 luglio 1960, una parte del capitale viene trasferita alla Fondazione Volkswagen, creata per sistemare i conti con il passato ed il Land della Bassa Sassonia rimane il suo azionario principale, con il 20% del capitale. Soprattutto, viene promulgata una “legge Volkswagen” per vietare ad ogni azionario, a prescindere dall’importo delle sue quote, di disporre di più del 20% dei voti, cosa che scoraggia qualsiasi velleità di acquisto da parte di altre imprese automobilistiche concorrenti.

Negli anni 1970, la classe media adotta massicciamente la Passat  e soprattutto la Golf, la cui versione GTI rende il sogno accessibile. Per la fabbrica ha inizio una irresistibile espansione con l’acquisto dei concorrenti Audi (1965), Seat (1986), Skoda (1991) e la conquista di mercati lontani come quello della Cina. Al suo arrivo, nel 1993, Ferdinand Piech (1937- ), il nipote di Ferdinand Porsche, adotta delle misure drastiche di riorganizzazione della produzione con l’accordo del sindacato dei metallurgici, IG-Metall. Sarà presso VW che anche il cancelliere Gerhardt Fritz Schroeder (1944- ) verrà a cercare Peter Hartz (1941- ), il direttore delle risorse umane, per riceverne un qualificato concorso alle sue riforme di mercato del lavoro fra il 2003 ed il 2005. A seguito di denunce collettive, o Class action, negli USA contro VW, AEG, Siemens o Daimler-Benz, Volkswagen è costretta a rivedere il suo passato. In tale contesto, nel 2000, la casa automobilistica si vede in qualche modo costretta a  partecipare alla creazione di un fondo di indennizzazione dei lavoratori forzati durante la guerra, con la creazione della Fondazione “Memoria, responsabilità, avvenire” ed apre i suoi archivi agli storici. Peraltro, la sua fondazione consacra ogni anno 150 milioni di Euro a progetti di ricerca scientifica in tutte le discipline. Occorreva, a tutti i costi, risparmiare il mito Volkswagen che si alimenta dei 21 milioni di “Coccinelle” vendute nel mondo e dei 26 milioni di esemplari della Golf, ritoccati senza sosta nel look e nello style. Viene inoltre aperto a Wolfburg, nel corso del 2000, un grande parco museo che ritraccia la storia dei dodici marchi del gruppo e la società si inorgoglisce dei suoi più di 200 miliardi di euro di cifra d’affari.

Prima del recente scandalo dell’imbroglio sui motori diesel, alcuni seri problemi avevano già scosso VW. In tale contesto, basti ricordare le dimissioni, nel 2005, di Peter Hartz, Direttore delle Risorse Umane, accusato di aver coperto le immense spese dei leaders sindacali della casa automobilistica. Ma la società non aveva mai conosciuto nulla di simile a quello che è diventato Der Skandal. E’ pur vero, che se lo scandalo costerà inevitabilmente molto caro alle casse della casa automobilistica, la fiducia dei suoi clienti e le vendite non hanno subito lo scossone che tutti gli osservatori si attendevano. In ogni caso, uno scossone alla fiducia generale ed alle certezze consolidate di numerosi Tedeschi è già avvenuto, perché la Volkswagen, checché se ne dica, è anche il simbolo della Germania.

NOTA

(1) KdF: Kraft durch Freude (La forza attraverso la gioia). L’organizzazione è stata fondata il 2 maggio 1933 come una suddivisione del Fronte Tedesco del Lavoro (DAF, Deutsche Arbeitfront) che, dopo l’eliminazione dei sindacati, riunisce i rappresentanti degli operai e degli imprenditori.


 

 

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