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SU QUANDO L’EUROPA INIZIÒ AD APPREZZARE LO ZUCCHERO Un alimento scoperto in Oriente molti secoli fa dai Crociati 02/09/2016 - Massimo Iacopi (Assisi (Perugia)) Ci si dimentica spesso che la coltura ed il consumo dello zucchero in Europa sono anteriori alla scoperta dell’America. In effetti, è in Oriente che i Crociati hanno conosciuto per la prima volta la “canna da miele” detta cannamellis. Lo zucchero costituisce una delle ossessioni degli inizi del XXI secolo, che lo considera come il responsabile del progresso dell’obesità fra i nostri contemporanei - in particolare fra i giovani (1). In realtà, il consumo eccessivo dello zucchero è un fenomeno recente, ma il suo consumo, in quanto tale, ha avuto inizio tanto tempo fa, molto di più di quanto non si creda. Si sa da molto tempo che lo zucchero ha costituito una delle principali produzioni delle isole atlantiche nel XV secolo e quindi uno dei principali oggetti di commercio con l’America, creando, in tal modo un legame fra la “Sweetness and the Power” (la dolcezza ed il potere di Sidney Mintz, New York, 1985). Ma si conosce molto di meno il fatto che la produzione dello zucchero in Europa occidentale risulta anteriore alla scoperta dell’America ed all’esplorazione dell’isola di Madera e delle Canarie da parte dei Portoghesi e degli Spagnoli. Lo zucchero risulta essere un prodotto abbastanza corrente già dagli inizi del XV secolo in Sicilia e nella penisola iberica, dove la coltura della canna da zucchero viene attestata ancora prima, in epoca mussulmana. Se la fine del Medioevo ha conosciuto un boom nel campo dello zucchero, questo è dovuto al fatto che gli europei dell’epoca apprezzavano lo zucchero, non tanto come una golosità in sé stessa, ma soprattutto nella loro cucina. Si assiste in tal modo ad una delle mutazioni nella storia del gusto occidentale, che influenzerà la cucina del Rinascimento fino al 1650. Una scoperta delle Crociate Sono, in effetti, i Crociati quelli che hanno scoperto, al loro arrivo in Siria, lo zucchero che si contendono i cucinieri del XV secolo. Ma anche i dottori, che lo incontravano spesso nei loro manuali tradotti dall’arabo, hanno contribuito alla sua diffusione. La notizia dell’importazione di zucchero a Venezia a partire dall’anno 996, risulta spesso citata, ma in effetti é l’invenzione di un autore inglese di un dizionario di commercio degli inizi del XIX secolo. Un errore, poi sistematicamente ricopiato di opera in opera, fino alle più recenti. Sono pertanto i Crociati, i primi dell’Occidente latino, che hanno fatto la conoscenza con lo zucchero, Il fatto ci è narrato da un testimonio oculare, il cronista Foucher de Chartres, che accompagnava Baldovino di Boulogne, quando nel 1099, lascia Edessa per portarsi a Gerusalemme (2). Siamo alla fine dell’autunno del 1099 e le migliaia di crociati riuniti da Baldovino, Beomondo di Taranto e dall’arcivescovo Daimberto di Pisa riescono a vincere la fame e la sete grazie alla ruminazione (masticazione e suzione allo stesso tempo) costante di canna da zucchero (chiamata cannamellis, vale a dire canna da miele), mentre attraversano delle regioni, coltivate, secondo i geografi ed i viaggiatori arabi del X ed XI secolo, da numerose piantagioni di canna. Questo aspetto di alimento provvidenziale viene confermato da un altro cronista, Alberto d’Aix che, da parte sua, non ha mai lasciato il suolo dell’Europa , ma che si era strettamente attenuto a quello che gli avevano raccontato sulla spedizione principale dei Crociati, quella di Goffredo di Buglione e di Raimondo di St. Gilles. Il cronista riferisce, accanto alla canna da zucchero che si succhia, il prodotto che ne traggono gli agricoltori della regione, che nel loro idioma chiamavano Zucra. Il succo di canna, dopo lo stritolamento, diventa spesso ed indurisce, “assumendo l’aspetto della neve o del sale bianco”, precisa il cronista. Mescolato con del pane o sciolto nell’acqua, esso costituisce un alimento “più dolce e salutare che il miele” ed inoltre soggiunge: “Alcuni dicono che si tratta di una specie di miele che ha scoperto Jonathan, figlio del re Saul, sulla faccia della terra e che egli ha osato consumare, disobbedendo (agli ordini di suo padre)”. Cannamellis, zucra: costituiscono, pertanto, due nuovi termini che i cronisti della Crociata utilizzano per designare la pianta e l’alimento che se ne trae e non si capisce come mai essi non l’hanno immediatamente accostato ad un prodotto di cui parlava la letteratura erudita del loro tempo, il sacharium, ovvero il sakkharon degli antichi. La questione della conoscenza dello zucchero nell’Antichità risulta complessa e costituisce oggetto di dibattiti appassionati a partire dal XVII secolo. Per semplificare esisterebbe da un lato una pianta senza nome e dall’altro un nome corrispondente ad un prodotto mal definito. Il naturalista Plinio il Vecchio realizza certamente il legame fra le due piante, ma il suo testo potrebbe riferirsi, per alcuni, alla manna del bambù. Se è verosimile che la spedizione di Alessandria ha messo in contatto degli scienziati greci con la canna da zucchero, a quel tempo coltivata in India, le testimonianze sicure sul commercio dello zucchero nell’Impero romano restano di difficile interpretazione. Nuovo prodotto, nuovo nome In ogni caso, la maggior parte dei testi, che sono stati identificati dagli eruditi moderni come delle prove della conoscenza dello zucchero nell’Antichità, non erano conosciuti dagli uomini dell’XI secolo, essenzialmente perché tali documenti erano stati redatti in greco e che la relativa tradizione manoscritta era andata perduta abbastanza rapidamente, forse già nell’Antichità. Altri testi costituivano delle vere e proprie rarità, come il poema geografico redatto da Varrone dell’Aude (I sec. a.C.), al quale si sono riferiti solo Isidoro di Siviglia ed un commento alla Fharsala di Lucano, contenuto in un manoscritto carolingio conservato a Berna. I trattati di medicina bizantini dell’XI secolo, che conoscevano lo zucchero, erano parimenti ignorati. In tale contesto, Simeone Seth, menziona (senza descriverlo), il sakar nella sua Raccolta alfabetica “Sulle proprietà degli alimenti”, che nel 1075 dedica all’imperatore bizantino Michele VII Dukas. Ma la sua opera non è stata tradotta in latino prima del 16° secolo, mentre quella del suo contemporaneo, Michele Psellos, che riporta lo zucchero nella sua Dietetica, non è stata proprio tradotta. La documentazione sullo zucchero, a disposizione dei chierici che accompagnavano la Prima Crociata, si limitava dunque a qualche testo generico. Il sakkharon, è vero, figurava nell’enciclopedia (De Materia Medica) di Dioscoride, conosciuta dal VI secolo per mezzo di una traduzione latina, che ne parlava in questi termini: “Si estrae un altro genere (di miele) che viene chiamato saccaros. Si tratta di una specie di miele spesso, che si trova nei giunchi in India ed in Arabia. Si tratta di un prodotto fragile e quando lo si mette nella bocca, somigliante al sale. Ma esso rilassa il ventre e lo stomaco; disciolto e bevuto, esso allevia la vescica ed i reni” (3). Ma il Dioscoride “longobardo” come lo chiamano gli eruditi, sembra che abbia avuto una diffusione molto limitata. Soprattutto, il punto in comune di tutti questi autori è il fatto che essi assegnavano, come origine, al prodotto/pianta l’India - o l’Arabia, mentre i Crociati l’hanno scoperto in Terra Santa. In questo contesto è molto più probabile che i Crociati l’abbiano accostato a dei fatti della Bibbia, avendo la convinzione - come certe sette attuali - di poter rivivere gli avvenimenti raccontati nella Sacra Scrittura. In effetti, l’episodio riferito da Alberto d’Aix si ritrova nel Primo Libro di Samuele, che descrive la conquista della Terra Santa da parte degli Ebrei a spese dei Filistei. Evidentemente, il parallelo si impone con i Crociati venuti nello stesso luogo per affrontare i mussulmani d’Oriente. Poiché il Re Saul aveva maledetto quello dei suoi uomini che si fosse nutrito prima della sera, i guerrieri ebrei risultavano spossati, proprio come i pellegrini armati, affamati come loro. D’altronde, il miele che copre la terra fa parte di questo cibo miracoloso, di cui rigurgita il Vecchio Testamento: la Terra Promessa vi risulta costantemente presente, come solcata da ruscelli di miele (e di latte); i Crociati non dovevano, conseguentemente, risultare troppo sorpresi nel trovare queste dolcezze in Oriente. L’enciclopedista Isidoro di Siviglia (VII secolo), molto letto nel Medioevo, aveva anche avanzato l’idea che il miele potesse nascere da una rugiada celeste che si deposita sulle foglie dei giunchi. Si comprende meglio perché i chierici della Crociata chiameranno “giunco da miele” (cannamellis) la pianta che aveva salvato i cristiani dalla fame. Quanto al termine “zucchero”, per designare il prodotto finito, esso deriva direttamente dall’arabo. Sarà solamente nel XIII secolo che Simone di Genova accosterà il saccara degli Antichi allo zucharum venuto dagli Arabi. Nel solco del Corano Quando i Crociati scoprono queste piante in Siria, alla fine dell’11° secolo, la coltura della canna da zucchero e l’industria saccarifera vi sono già installate da molto tempo. Le ricerche dei botanici fanno risalire l’utilizzazione della canna da zucchero all’VIII secolo a.C., verosimilmente nella Nuova Guinea. Dal suo luogo di origine, la coltura si estende verso l’Estremo Oriente ed anche verso l’Ovest, fino in India, dove, in una data compresa fra il IV secolo a.C. ed il I secolo d.C., vengono messe a punto le tecniche di triturazione della canna e di cottura del succo che se ne estrae. Dall’India, la canna e lo zucchero progrediscono verso ovest, attraverso l’Iran sassanide ed il Khuzestan. Quando, agli inizi del VII secolo, i mussulmani conquistano l’Irak, lo sfruttamento della canna procura importanti introiti ai loro proprietari ed allo Stato. I vincitori adottano questa nuova coltura, che diffondono con l’espandersi delle loro conquiste territoriali. Ormai lo zucchero segue le orme del Corano, secondo l’immagine allegorica coniata da Mohamed Uerfelli (4). Secondo il predetto autore, il Medioevo è in tale contesto il periodo in cui la canna da zucchero, pianta d’origine tropicale umida, si acclimata nell’ambiente mediterraneo, ivi compresa la Siria e l’Egitto, con i forti vincoli ambientali connessi (irrigazione indispensabile per la coltura, necessità di combustibile per la trasformazione). In tal modo, la canna arriva molto vicino all’Occidente latino, nella Sicilia Aglabita o Kalbita ed in Andalusia. Sulla costa sud est della penisola iberica, la canna da zucchero viene introdotta nell’XI secolo, alla costituzione dei regni di Taifas e nel corso dell’occupazione almoravide, con la trasformazione in huertas irrigati, nei quali si sviluppano le colture orientali, fra le quali, oltre alla canna, il riso e l’arancio. Tuttavia la presenza della canna da zucchero non comporta necessariamente, perlomeno nell’immediato, lo sviluppo di un’industria saccarifera ed a maggior ragione di una industria esportatrice: nella Spagna e nella Sicilia mussulmane, la canna da zucchero sembra essere rimasta per molto tempo una golosità che veniva degustata cruda. In questo modo si può spiegare il paradosso che ha visto i Latini scoprire in Oriente gli usi di una pianta, coltivata nei pressi delle loro frontiere. Dal laboratorio all’ufficio In Oriente, i Crociati trovano non solo un prodotto ma anche la maniera di utilizzarlo. Uno dei principali impieghi dello zucchero era medicinale e non è escluso che il suo successo nella medicina araba sia legato alla scuola di Jundishapur nell’Iran, che è stato uno dei luoghi di importazione e di diffusione della medicina indiana nel mondo mussulmano. Al Majusi, nel X secolo, dedica allo zucchero un posto di rilievo nella sua grande enciclopedia, che viene tradotta, due secoli più tardi, proprio in Siria, da Stefano d’Antiochia. In tale lavoro vi si trova un vero e proprio catalogo delle dolcezze dell’Oriente. I medici del mondo mussulmano impiegano una gamma molto elaborata di prodotti zuccherati che rinnova largamente il repertorio della farmacopea greca. Se i frutti vengono, nella maggior parte dei casi, ancora canditi nel miele, lo sciroppo (dall’arabo sharab) si prepara a partire dallo zucchero, ivi compreso il “giuleppe” all’acqua di rose. I fabbricanti di medicine acquisiscono una grande capacità nella lavorazione dello zucchero, che consente loro di confezionare delle tavolette preparate a partire da uno sciroppo portato a più di 130 gradi centigradi, poi tirato, indurito e tagliato come una specie di caramelle simili a dei berlingots francesi (ma che sono delle medicine). Con uno sciroppo a circa 115° centigradi si ottengono dei medicinali morbidi, ovvero dei fondenti. Questi procedimenti e questi prodotti vengono conosciuti dagli Occidentali attraverso le traduzioni dei testi medici arabi, effettuate da Costantino l’Africano nell’Italia del Sud (Scuola di Salerno) e da Gerardo di Toledo nella Spagna. Le traduzione da loro fornite delle enciclopedie di Al Majusi o di Avicenna e dei trattati di dietetica (come quello di Ishaq al Israili) saranno largamente diffusi in quanto base dell’insegnamento nelle scuole di medicina di Salerno e più tardi nelle università. E’ a quel punto che i medici occidentali prendono veramente conoscenza delle proprietà mediche dello zucchero. Non solo il suo gusto gradevole consentiva di far ingoiare pozioni amare, ma le sue qualità umorali spingevano a prescriverlo, ad esempio, contro le malattie polmonari, tosse o tisi. Lo zucchero non era solamente un eccipiente, ma anche un medicamento (5). Ci si può rendere conto di tutto questo, sfogliando uno dei numerosi “antidotari” che elencano gli effetti delle medicine composte. Quello attribuito ad un certo Nicola, che riassume l’apporto salernitano e risale forse al XIII secolo, utilizza lo zucchero in una ricetta su cinque, ancora meno frequente del miele, che infatti compare ogni due ricette, ma molte di queste preparazioni di questo Antidotario Nicolai sono per uso esterno (unguenti ad esempio) e la presenza di un prodotto gradevole non vi era strettamente necessario o obbligatorio. Le origine mediche dello zucchero hanno determinato in un primo tempo due tipi principali di impiego alimentare. In primo luogo i piatti per i malati, per la preparazione dei quali il medico salernitano, Petrus Musandinus, consacra, nel 1200, un interessante manuale. Le sue prescrizioni trovano una eco nei libri di cucina, dove la natura moderatamente calda ed umida dello zucchero lo destina principalmente alle preparazioni per convalescenti e nei numerosi conti degli ospedali di cui si dispone a partire dal XIII secolo e che registrano regolarmente degli acquisti di zucchero. Alla fine del pasto, lo zucchero viene ugualmente consumato sotto forma di confetti o da “spezia da camera” per facilitare la digestione del cibo. In tal modo lo zucchero combina lo statuto di medicina con quello di alimento. Lo sviluppo dell’arte dei dolciumi – quello che nel Medioevo chiamano le marmellate – è sotto questo aspetto rivelatore. Essa rimane l’appannaggio dei medici fino al Rinascimento, dove l’illustre Nostradamus gli dedica un trattato. Ed è in tale scenario che, nel XV secolo, un ricettario manoscritto (forse redatto da un farmacista o speziale della città di Le Mans) sviluppa un “capitolo per lavorare lo zucchero e fare qualsiasi tipo di confetti e dolciumi”; vi si spiega come schiarire e sgrassare lo zucchero e come preparare delle “marmellate con dei semi, come l’anice, il finocchio, carvi o il coriandolo”. La circolazione di questo interessante e prestigioso prodotto, che è lo zucchero, è rimasta a lungo ristretta nell’Occidente latino, dove le prime testimonianze della sua commercializzazione risalgono alla seconda metà del XII secolo. La tariffa di pedaggio dell’Ebro e dei conti di approvvigionamento provenienti dalla stessa regione, lasciano pensare che l’allargamento del prodotto al grande pubblico sia avvenuto intorno al 1200 e da quel momento la sua diffusione tenderà ad accelerarsi. Gusto dello zucchero e bocca zuccherata Alla fine del Medioevo, l’industria saccarifera, che si è molto sviluppata in Occidente (Sicilia e penisola Iberica) è riuscita a diversificare la sua produzione in modo tale da poter soddisfare le richieste di una clientela larga e diversificata. Alla metà del XIV secolo, il manuale commerciale del fiorentino Francesco Balducci Pegolotti distingueva cinque condizionamenti per il trasporto dello zucchero importato dall’Oriente. Di norma lo zucchero in pani, deve essere bianco, denso e duro e si caratterizza in cinque varietà differenti: il muccara, di un bel bianco e di forma piramidale, è il migliore di tutti ma poco diffuso in Occidente; il caffetino, arrotondato alla sommità; il bambilonia piramidale risulta di grandezza variabile, mentre il musciatto è grande e piatto alla sommità – meno denso, esso è il migliore commercialmente rispetto ai precedenti e destinato al piccolo commercio; infine il damaschino è il meno buono di tutti (in quanto meno raffinato) e può presentarsi appuntito al centro. Lo zucchero in polvere è stato certamente macinato a partire dai pani oppure è diventato polvere durante il trasporto a causa della sua bassa concentrazione; le polveri bianche di Cipro, Rodi e di Siria sono da preferire a quelle brune del Krak e di Alessandria; si possono anche vendere a parte la punta, zamburi, meno ben raffinata. Lo zucchero candito, ottenuto per lenta cristallizzazione, si presenta in grossi pezzi trasparenti e fini. Si tratta di un prodotto costoso, contrariamente alla melassa o mel zuccarae, vale a dire la massa viscosa, gialla e spessa che non si è cristallizzata durante la fabbricazione. Ci sono infine gli zuccheri profumati che sono un miscuglio di succo di cottura e di acqua profumata (acqua di rose o essenza di violette): ed in questo modo viene fabbricato lo zucchero rosato o rosso. Con lo sviluppo di una produzione autoctona, la gamma degli zuccheri tende ad allargarsi. Il prezzo degli zuccheri di una sola cottura diventano meno cari di quelli a due, tre o più cotture ed, in tal modo, il prodotto diviene accessibile a frazioni sempre più importanti della popolazione. Ma tutta l’Europa non è interessata nelle stesse proporzioni dal gusto dello zucchero. Se si guardano i libri di cucina, le cui testimonianze sono corroborate dai conti di approvvigionamento, alcuni Europei cominciano ad avere, incontestabilmente e molto presto, la “bocca zuccherata”: E’ il caso degli Inglesi, ma anche degli Italiani e dei Catalani. Presso questi ultimi, ad esempio, lo spolvero finale zucchero-cannella viene di norma a completare l’integrazione dello zucchero in corso di cottura sui piatti serviti durante ogni pasto. Il gusto per il dolce, che si traduce con delle costante e significative importazioni di zucchero, si estende, del resto, ad altri prodotti come i vini dolci, la frutta secca o il miele. A partire dal XV secolo, si può affermare che tutta l’Europa è accomunata nello stesso gusto per lo zucchero: la cucina del Rinascimento, che domina dal 1450 al 1650 circa, risulta fortemente zuccherata e manifesta l’apogeo in Occidente di un gusto dolce salato che si ritrova oggi, grazie al successo di determinate cucine “esotiche”. In effetti, occorre attendere l’epoca classica affinché lo zucchero venga relegato alla fine del pasto, in una fase ben individuata, il dessert, ma alcuni paesi europei, come l’Inghilterra, sono tuttavia rimasti fedeli a degli usi che si possono far risalire al Medioevo. NOTE (1) Fischler C., “La morale degli alimenti: l’esempio dello zucchero”, Odile Jacob, 1990; (2) Da Historia Hierosolymitana di Foucher de Chartres degli inizi del XII secolo: “E come noi siamo entrati nelle zone interne (del paese) dei Saraceni e che gli abitanti della regione ci erano abbastanza ostili, noi non abbiamo potuto avere né pane, né alimenti – poiché non c’era nessuno che ce ne dava o che ne vendeva – ed i nostri viveri diminuivano ogni giorno sempre di più, arrivando a molti di essere tormentati dalla fame … … Me c’era allora, nei campi coltivati che noi attraversavamo passando, delle piante da raccolta che vengono chiamate in lingua volgare “canne da miele” e che si assomigliano molto a dei giunchi. Il loro nome è composto da canna e miele, da cui deriva anche il fatto di essere chiamate, almeno credo, “miele selvaggio”, quello che si ottiene a partire da esse in maniera elaborata. Degli affamati, a causa del loro sapore mielato ne ruminavano fra i loro denti tutta la giornata, anche se questo fatto sia stato poco utile …”; (3) dal “De Materia Medica” di Dioscoride; (4) Uerfelli Mohamed, “Lo zucchero. Produzione, commercializzazione ed usi nel Mediterraneo medievale”, Brill, Leyde - Boston, 2008; (5) Dal Libro della Fisica di Aldobrandino da Siena del XIII secolo: “Il cannamiele è caldo e umido ed è quindi molto conveniente per la natura umana. Per la sua natura fa ben urinare, purga i reni e la vescica, rilassa il ventre, allarga il petto ed i polmoni. Ma se se ne mangia troppo, il ventre gonfia e le vie rimangono bloccate, a causa della grande attrazione che le membra esercitano su di lui. Si purga lo stomaco vomitando allorché, dopo averne mangiato troppo, si prende dell’acqua calda. E comprendete che lo zucchero che viene prodotto a partire dal cannamiele possiede la stessa natura”.
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