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La contesa infinita. Ancora oggi Gerusalemme al centro della Storia

GOFFREDO DI BUGLIONE

Uomo pio, saggio e coraggioso. Conquista Gerusalemme e diventa Difensore e Sovrano del S. Sepolcro


02/10/2016 - Massimo IACOPI


(Assisi (Perugia))

GOFFREDO DI BUGLIONE

Il duca della Bassa Lotaringia, capo dei contingenti armati valloni, fiamminghi, sassoni e bavaresi durante la Prima Crociata, Goffredo di Buglione diventa, dopo la conquista di Gerusalemme, “Difensore/Avvocato del Santo Sepolcro”. Goffredo di Buglione (1060-1100), figura di spicco della storia medievale, conquista rapidamente un posto di rilievo nell’immaginario collettivo del tempo. “Uomo pio, retto, senza cupidigie”, egli incarna, a fianco di Re Artù e di Carlo Magno (742-814), gli ideali ed i valori cavallereschi dell’esempio e della gloria. Lo straordinario percorso che ha condotto il Duca della Bassa Lotaringia sino a Gerusalemme, con la benevolenza dei cronisti dell’epoca, ne ha fatto un crociato leggendario ed un combattente esemplare, adornato da un’aureola di meraviglia e di gloria. Una leggenda di difficile comprensione da parte dei nostri contemporanei, divnuti psicologicamente ermetici e chiusi all’avventura occidentale delle Crociate.

Figlio di Eustachio dai lunghi baffi e di Ida di Verdun

E’ proprio nelle terre settentrionali dell’antico Impero carolingio che ha inizio, nella seconda metà dell’IX secolo, la vicenda di Goffredo (Godefroy) di Buglione (Bouillon). Suo padre Eustachio II di Boulogne (soprannominato Eustachio dai lunghi baffi; 1020-1088) deriva da un illustre lignaggio. Conte di Boulogne, egli possiede anche delle terre in Inghilterra, in ricompensa, senza dubbio, della sua partecipazione nel 1066, a fianco di Guglielmo il Conquistatore (1028-1087), alla battaglia di Hastings. Egli ha sposato in seconde nozze, la beata Ida di Verdun (1043-1113), la figlia del temibile duca di Bassa Lotaringia, Goffredo III di Lorena, il Barbuto (997-1069). La pietà di questa donna esemplare, nipote anche del papa Stefano IX (1020-1058, al secolo Federico Gozzelone dei Duchi di Lorena), ha fortemente marcato gli spiriti dei contemporanei. Dalla prestigiosa unione di queste famiglie, discendenti entrambe da Carlo Magno, nascono tre figli: Eustachio III, conte di Boulogne (1056-1125), Goffredo e Baldovino (1058-1118), “tre grandi principi, di cui il primo sarà duca, il secondo re ed il terzo conte”, affermazione di cui si compiaceva la loro madre, molto attenta all’educazione della sua pro genitura. Goffredo, per la sua posizione di nascita tra i fratelli, era destinato a priori ad una vita senza grandi prospettive, ma il suo zio materno, Goffredo IV di Lorena il Gobbo (1040-1076), non avuto figli dal suo matrimonio tumultuoso con la contessa Matilde di Toscana (1046-1115). Egli lo prende sotto la sua protezione nella speranza di trasmettergli le redini del ducato di Bassa Lotaringia, che ha ereditato da suo padre.  Senza dubbio il giovane da quella data ha cominciato ad assistere suo zio nei suoi doveri di vassallaggio nei confronti del suo sovrano, il re dei Germani. Enrico IV di Franconia (1050-1106), a mal partito con una feudalità turbolenta, specie in Sassonia, si trova in aperto conflitto con il Papato che cerca di imporre nelle terre dell’Impero la riforma gregoriana. Ostile a questa impresa, il sovrano non esita a far deporre il papa da parte dei vescovi tedeschi riuniti a Worms, cosa che gli procura una solenne scomunica. E’ proprio in questo difficile contesto della guerra per le Investiture che il duca della Bassa Lotaringia che viene assassinato, nel 1076, nel momento in cui suo nipote ha appena 16 anni. Se egli eredità beni provenienti dalla sua famiglia (Buglione e Verdun in particolare), Enrico IV non gli concede l’investitura del ducato, che tuttavia spettava di diritto alla sua famiglia da almeno tre generazioni e lo assegna al suo figlioletto di appena due anni, Corrado di Lorena (1074-1101). Goffredo, nominato signore della Marca di Anversa continua, nondimeno, a servire il suo sovrano con fedeltà. Sembra che egli abbia partecipato al suo fianco, nel 1083, al sacco di Roma, che consente ad Enrico IV di farsi incoronare imperatore da parte dell’antipapa che ha insediato sul seggio pontificale. Goffredo, giovane feudale contestato, deve anch’egli darsi da fare per preservare l’eredità familiare, rimessa in discussione dalla sua zia, la Contessa di Toscana e per restaurare l’unità del Ducato della Bassa Lotaringia, che finalmente gli è stato assegnato nel 1087, in ricompensa di una lealtà senza pecche. Un compito arduo che condurrà positivamente per diversi anni, prima di abbandonare i suoi domini ed i suoi beni per diventare crociato ed impegnarsi in una avventura totalmente inedita. Mentre i Normanni hanno già vinto gli Arabi di Sicilia e che la Reconquista registra dei buoni successi in Spagna, l’imperatore bizantino, si trova, da parte sua, di fronte all’avanzata dei Turchi Selgiuchidi. Dopo la sconfitta subita a Manzikert (Manziscerta) nel 1071, numerosi territori sono passati nelle mani di questi nuovi convertiti all’islam, provenienti dall’Asia centrale, la cui presenza complica ancora di più il mosaico dei piccoli principati più o meno indipendenti e rivali d’Anatolia e del Levante. L’avanzata selgiuchide minaccia anche il Pellegrinaggio sui Luoghi Santi che all’epoca conosce uno sviluppo considerevole. Il basileus Alessio Comneno (1056-1118) si rivolge a quel punto verso l’Occidente per sollecitare un aiuto, nella speranza di ricevere contingenti di mercenari. In occasione del Concilio di Clermont Ferrand, del 1095, papa Urbano II (1040-1099; al secolo Guy de Chatillon)) va ben oltre le aspettative di Bisanzio. Egli chiama i Cristiani a portare soccorso ai fratelli d’Oriente ed offre ad una Europa divisa una prospettiva di superamento individuale e collettivo senza precedenti, specialmente con la promessa dell’indulgenza a tutti quelli che si impegneranno su questa via pericolosa. Presentata in un contesto di rinnovamento monastico, di affermazione della potenza pontificale nei confronti dei poteri laici e della cristianizzazione dei valori profani della cavalleria, il suo richiamo suscita, al grido di “Dio lo vuole”, un entusiasmo generale ed inatteso. Una folla di anonimi, condotti dal predicatore Pietro d’Amiens, detto l’Eremita (1050-1115), parte senza tardare, nella più grande impreparazione, ma spinta da un prospettiva escatologica della restaurazione del Regno del Cristo. Goffredo ed i suoi fratelli si fanno Crociati ma prendono del tempo, come tutto l’insieme dei Grandi, per mettere ordine nei loro affari e preparare con cura la loro partenza. La domanda che ci si pone per Goffredo di Buglione appare evidente: perché diventare crociato quando si è ormai riusciti a consolidare una eredità familiare monto contestata?... I cronisti insistono sulla fede e la pietà del personaggio (“per lo zelo nel servizio di Dio, egli costituisce la fedele immagine di sua madre, per lo spirito cavalleresco, egli continuava suo padre”) e riportano a volte che Goffredo avrebbe fatto voto di pellegrinaggio, quando era stato colpito dalla malattia, subito dopo aver partecipato al sacco di Roma. Egli si mette pertanto in regola impegnando i suoi domini personali e specialmente il suo bene più prezioso, il castello di Buglione, dove è cresciuto. Nell’estate del 1096, ha luogo la partenza di questa famosa “Crociata dei baroni”, alla quale non partecipa alcuna testa coronata. Quattro convogli distinti, comprendenti sia cavalieri che pellegrini anonimi, muovono verso l’Oriente: Francesi, condotti da Ugo I di Vermandois (1057-1101), figlio di Anna di Kiev (1024-1075) e fratello del re scomunicato Filippo I di Francia (1052-1108); un contingente meridionale con il conte di Tolosa, Raimondo IV di S. Gilles o di Tolosa (1045-1105) ed il legato pontificio Ademaro di Monteil (?-morto agosto 1098), vescovo di Puy; Normanni dell’Italia del Sud e di Sicilia sotto la guida di Beomondo d’Altavilla di Taranto (1054-1111); ed infine un esercito di Valloni, Fiamminghi, Sassoni, Bavaresi, Alamanni che si incammina per la via danubiana con Goffredo di Buglione. A dispetto della recente cristianizzazione dell’Ungheria, l’avanzata del duca della Bassa Lotaringia viene resa difficile dalle violenze e dalle depredazioni perpetrate dalla crociata popolare ed i primi contingenti che li hanno preceduti. Sarà persino necessario lasciare in ostaggio suo fratello Baldovino presso la corte di Re Coloman o Colomanno d’Ungheria (1070-1116), per poter raggiungere la Bulgaria ed entrare così nella terra bizantina. A Natale, le sue truppe si accampano sotto le impressionati muraglie di Costantinopoli, in attesa degli altri Crociati europei. Essi raggiungeranno ben presto le decine di migliaia di individui.

Le inquietudini dell’imperatore bizantino

“Si trattava dell’intero Occidente … che emigrava in massa, procedeva per famiglie intere e marciava sull’Asia attraversando l’Europa da un capo all’altro. Essi arrivavano gli uni al seguiti degli altri, con armi, cavalli e tutto l’equipaggiamento militare … mio padre ne temeva l’arrivo poiché conosceva il loro irresistibile slancio, il loro carattere instabile e versatile”. Anna Comnena (1083-1150), con queste parole, descrive la profonda inquietudine di suo padre, il Basileus, più abituato a pagare mercenari che a vedere alle porte del suo Impero un intero esercito, impregnato dagli ideali di crociata, ai quali i Greci rimangono estranei. Se egli teme i saccheggi e le esagerazioni, egli si preoccupa ancora di più delle motivazioni dei Crociati e specialmente di quelle di Beomondo di Taranto, il figlio del suo nemico Roberto il Guiscardo (1015-1085) che ha conteso ai bizantini i possedimenti dell’Italia meridionale. Egli esige pertanto che i baroni gli prestino giuramento di fedeltà per garantirsi di veder rientrare nell’ambito del girone di Costantinopoli tutte le terre che verranno liberate dal giogo dei Selgiuchidi. Dopo mesi di rifiuto ostinato, Goffredo uomo ligio di Enrico IV, finisce a contro cuore ad impegnarsi a servire Bisanzio, consentendo in tal modo ai Crociati di passare in Asia minore, dove la crociata popolare è stata già annientata qualche mese prima. I cronisti, in particolare Alberto d’Aquisgrana o d’Aix (fine IX secolo-dopo 1120), non mancano di sottolineare le imprese del duca durante gli assedi ed altre battaglie che costellano questa seconda tappa della strada verso Gerusalemme. Egli si illustra nell’assedio di Nicea, capitale del sultano Kilij Arslan (1079-1107). A Dorileo, egli salva all’ultimo momento le truppe di Beomondo di Taranto e riesce a trasformare in vittoria un combattimento che stava andando male contro i Turchi. Altrove, egli viene ferito lottando da solo contro un orso che aveva attaccato uno dei suoi uomini, Nei veri e propri panegirici redatti in suo gloria, egli brilla ancora in occasione dell’assedio di Antiochia, che vede, per sette mesi, i Crociati tentare di superare la straordinaria muraglia di 12 chilometri, rafforzata da centinaia di torri, che circonda la città posta sull’Oronte. Provati dai combattimenti, ma anche dalla terribile traversata dell’altipiano anatolico (“una terra sprovvista di acqua ed inabitabile, dove abbiamo avuto molte difficoltà ad uscirne vivi”), le cronache si compiacciono nel ricordare le imprese di quest’uomo capace di tagliare in due un cavaliere turco con la sua spada.

Che potere instaurare nella città santa

Tuttavia le dissensioni minano l’alto baronaggio. Le scelte strategiche circa l’avanzata verso la Città Santa dividono gli animi, poiché si teme una reazione dei Fatimidi d’Egitto che dominano da poco tempo Gerusalemme e la sua regione. Ma sono soprattutto gli interessi specifici di ciascun cavaliere che contribuiscono a dare un colpo di arresto alla spedizione. Già, il fratello di Goffredo, Baldovino è riuscito a stabilire un vero principato ad Edessa, primo stato latino d’Oriente. Beomondo di Taranto, a dispetto del giuramento prestato al Basileus, sogna di ritagliarsi un dominio all’altezza delle sue ambizioni e di imporsi ad Antiochia, proprio perché Alessio non li ha aiutati a conquistarla. Dopo un’interminabile attesa, lo stesso Goffredo decide di riprendere la strada verso l’obbiettivo iniziale della spedizione, diventando così la principale figura della crociata. Agli inizi del mese di giugno del 1099, le torri di Gerusalemme appaiono finalmente all’orizzonte, dopo ben tre anni di terribili sofferenze. Felicemente sostenuti dall’arrivo di navi genovesi, i Crociati danno l’assalto generale nella serata del 14 luglio. Goffredo figura fra i primi assalitori a penetrare nella città, che da quel momento viene sottoposta al massacro ed al saccheggio. Una carneficina alla quale Goffredo non avrebbe partecipato: si racconta che da umile penitente, il duca della Bassa Lotaringia si sarebbe raccolto in preghiera nel Santo Sepolcro. La questione della natura e della forma di potere da instaurare a Gerusalemme viene immediatamente discussa. I membri del clero sognano già di stabilire un potere teocratico in Terra Santa. Ma, essendo morto il legato pontificio, sarà una autorità laica che imporrà il suo potere. Due candidati sembrano essere in grado di concorrere: l’ombroso Conte di Tolosa e Goffredo di Buglione, più modesto, che riscuote i maggiori consensi e soprattutto più popolare. Il 22 luglio, “i principi e i baroni eleggono re e signore del regno di Gerusalemme il duca Goffredo di Buglione … Egli non ha voluto essere incoronato perché egli non voleva portare la corona d’oro là dove il re dei re, Gesù Cristo, il figlio di Dio, aveva cinto una corona di spine il giorno della sua passione”. Il titolo di “Difensore/avvocato del Santo Sepolcro che egli adotta, lascia perlomeno una incertezza sulla realtà del suo potere: rapidamente contestato da baroni come Raimondo di S. Gilles ed egli è attaccato anche dal temibile Patriarca di Gerusalemme, Daiberto o Dagoberto da Pisa (1050-1105), che vorrebbe stabilire una teocrazia, di cui Goffredo sarebbe appena l’umile servitore. Un eco della lontana disputa sulle Investiture che continua a dividere l’Occidente. Alla incertezza giuridica della situazione, si aggiunge la necessità di imporsi al di fuori della stessa città di Gerusalemme. Dopo aver respinto un contrattacco fatimide sotto le mura di Ascalona, Goffredo inizia, in maniera non uniforme, a consolidare le posizioni franche anche all’interno del paese, oltre che sul litorale. Un’impresa molto difficile per il fatto che le sue truppe si sono fortemente ridotte dopo la partenza nell’estate del 1096 e preannunciando già l’insolubile problema degli effettivi disponibili, che peserà per secoli sugli Stati latini d’Oriente. Circa un anno dopo aver liberato Gerusalemme, il 18 luglio 1100, Goffredo muore a 40 anni a causa di una misteriosa malattia. Inumato nel Santo Sepolcro, “l’illustre capitano e nobilissimo atleta del Cristo”, appartiene già alla leggenda, quando suo fratello Baldovino, dopo aver affidato la guida di Edessa ad un cugino, assume la sua successione, ed anche il titolo di “Re di Gerusalemme”.

BIBLIOGRAFIA

Aubé Pierre, “Godefroy de Bouillon”, Fayard, 1985;

Grousset René, “L’epopée des Croisades”, Perrin, 2002;

Guglielmo di Tiro (1130-1186, arcivescovo di Tiro): “Historia rerum in partibus transmarinis gestarum” (A History of Deeds Done Beyond the Sea), traduzione di Emily Atwater Babock e A. C. Krey, Columbia University Press, 1943;

Guglielmo di Tiro, “Historia della guerra sacra di Gierusalemme, della terra di promissione, e quasi di tutta la Storia ricuperata da' Christiani: raccolta in 23 libri, da Guglielmo arcivescovo di Tiro, e gran cancelliere del regno di Gierusalemme: la quale continua ottantaquattro anni per ordine, fin'al regno di Baldoino 4”. Tradotta in lingua italiana da M. Gioseppe Horologgi. In Venetia : appresso Vincenzo Valgrisi, 1562. 2ª edizione: In Venetia: appresso Antonio Pinelli, 1610.


 

 

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