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I PERCHE’ DEL DISASTRO GRECO Il naufragio economico-finanziario greco ha avuto inizio nel 1829 con il processo di indipendenza 18/11/2016 - Massimo Iacopi (Assisi (Perugia)) I PERCHE’ DEL DISASTRO GRECO La crisi greca può essere spiegata con la combinazione di due necessità e di una illusione. La necessità in cui questo Paese si è venuto a trovare, sin dalla sua indipendenza, di doversi rimettere o rivolgere allo Stato (in quanto struttura organizzata) per sopravvivere e svilupparsi e quella di realizzare, per assicurare la sua sopravivenza, la sua unità per mezzo di guerre, strumentalizzate dalle potenze occidentali. L’illusione, in tempi più recenti, deriva dalle speranze e dal benessere, attesi dall’adesione alla zona euro. Un paese sotto tutela, una economia sottosviluppata Dopo la sua indipendenza nel 1829, la Grecia è stata utilizzata dai suoi alleati europei come una pedina destinata a spingere i loro vantaggi nel Mare Egeo e negli Stretti. Esse hanno preso pretesto dal suo indebitamento nei loro riguardi per fare pressioni sul suo governo in nome dei loro diritti di “potenze protettrici”. In tale contesto, incoraggiata da queste, la Grecia si è impegnata militarmente a fianco di Mehemet Alì (1769-1849), Khedivé d’Egitto, contro la Sublime Porta, fatto che ha avuto come effetto quello di rovinarla e di indebitarla ancora di più. La Grecia della metà del 19° secolo appariva dunque come un paese sotto tutela da parte dei suoi “protettori” e creditori, che orientavano la sua diplomazia e la sua vita politica: essi le impongono la monarchia, nonostante un forte sentimento repubblicano nella popolazione. La sua struttura economica e sociale rappresentava un handicap. L’agricoltura dipendeva dai grandi latifondi, condotti con metodi arcaici, dove era impiegata una manodopera miserabile. Peraltro, nel paese non esisteva una classe industriale e commerciante abbastanza significativa per garantire un decollo economico. La borghesia si riduceva praticamente alle professioni liberali ed al personale dell’amministrazione. Nella seconda metà del XIX secolo, due settori vanno incontro ad un certo sviluppo, ma che non ha portato alcun vantaggio al paese: la finanza, a causa dei prestiti delle “potenze protettrici”, ma di cui solamente gli agenti sul luogo ne hanno tratto beneficio e l’armamento navale, le cui accumulazioni di capitali si sono prodotte il più delle volte all’estero. Da allora, lo sviluppo del paese è ricaduto interamente sulla responsabilità dello Stato. Ma questo subisce la sua disorganizzazione e dell’incompetenza dei suoi agenti. Il re Ottone I di Witteelsbach (1815-1867), quindi Giorgio I di Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg (1845-1913) ed i loro ministri, costretti a costruire in fretta una amministrazione, hanno reclutato dei funzionari, scelti piuttosto per la loro adesione che sulla base di criteri di competenza. Questi agenti sono diventati i clienti dello Stato e della classe politica che procurava e conservava loro l’impiego, in cambio della loro fedeltà. Occorrerà aspettare il 1911 perché, su iniziativa del Primo ministro Eleutherios Venizelos (1864-1936), i funzionari siano (solo una parte) reclutati per concorso e retti da uno statuto che assicura la loro indipendenza. Ma questa riforma arriverà troppo tardi per mettere fine ad un clientelismo diventato modo di vita e di funzionamento. Questa corruzione risultava doppiamente nociva: gli agenti dello Stato non erano altro che degli egoisti intriganti in cerca dell’ottenimento o della conservazione di una sinecura, mentre la classe politica prendeva l’abitudine a preoccuparsi esclusivamente della difesa delle proprie prebende; in tale situazione, il paese risultava guidato non da una classe dirigente preoccupata dell’interesse nazionale, ma da una amministrazione e da dirigenti parassitari. La funzione pubblica viene a questo punto ricercata anche per il semplice fatto dell’impossibilità, da parte dei Greci, così poco istruiti, di trovare un impiego altrove, per mancanza di imprese suscettibili di impiegarli. Dagli inizi del XX secolo, la Grecia conterà circa 370 mila funzionari per un totale di 2 milioni e mezzo di persone attive. Il costo della funzione pubblica sul PIL è a quel punto enorme e tale lo resterà fino ai nostri giorni, fino a raggiungere, la cifra di 800 mila su 5 milioni di attivi, ovvero il 40% del PIL nel 2014. Durante il suo ultimo mandato di primo ministro (1928 - 1932), Venizelos tenterà di risolvere questo problema della funzionarizzazione della popolazione attiva, concentrando i servizi amministrativi e moltiplicando le scuole professionali al fine di offrire ai giovani carriere nell’industria, nel commercio e nell’agricoltura e di deviarli dagli studi classici, responsabili, a suo dire, della produzione di un “proletariato intellettuale”, incapace di trovare lavoro al di fuori dell’amministrazione e delle professioni liberali. Ma, per la carenza di impresari e di investitori, questa politica sortirà effetti limitati. Nella realtà, è lo Stato stesso che, per stimolare lo sviluppo del paese, sarà costretto a creare imprese nazionali. Ma questa iniziativa non farà che accrescere il debito pubblico ed il rendimento di queste società sarà tanto più ridotto in funzione del reclutamento del personale, poco competente, perché effettuato anch’esso su base clientelare come per i funzionari prima del 1911. In seguito, il monopolio dell’impiego sindacale aggraverà ancora tale situazione. In tal modo, in Grecia, lo Stato non potrà mai dedicarsi al compito urgente di dover dirigere l’economia. Questo dirigismo sarà la costante di tutti i governi, anche liberali e conservatori. Nel 1959, il primo ministro Kostantinos Karamanlis (1907-1998), lancerà un piano quinquennale destinato a stimolare tutti i settori dell’economia, che prevedeva, tra l’altro, grossi investimenti nelle infrastrutture stradali e portuarie. Scelte politiche discutibili amplificheranno in seguito questo marasma. In tale contesto governi molto diversi, come quello del liberale Venizelos (1010-1915 e 1928-1932) e del socialista Andreas Papandreu (1919-1996) (1981-89 e 1993-1996) metteranno in atto una politica sociale generosa, ma prematura, nei riguardi del sottosviluppo del paese. Papandreu estenderà, anche a proporzioni demenziali il settore pubblico, nazionalizzando 230 imprese private. La Grecia assomiglierà a quel punto ad una repubblica popolare ed i governi di destre che seguiranno non rivedranno queste iniziative. Solamente quello di Kostantinos Mitsotakis (nato a Creta nel 1918) (1990-1993) darà inizio ad una politica di riduzione degli effettivi della funzione pubblica e di privatizzazione di alcune imprese pubbliche. Gli altri governi, specialmente quello di Karamanlis (marzo 2004-ottobre 2009) rinunceranno a proseguire su questa strada al fine di preservare la loro clientela elettorale. In definitiva, lo Stato, di fronte alla necessità di stimolare una economia il cui sviluppo naturale era inizialmente reso difficile dall’inesistenza di una borghesia industriale e commerciante, non riuscirà a far sbocciare un vero capitalismo, tale da portare la società sulla via del progresso e le sue iniziative sono state compromesse dalla burocrazia e dal clientelismo. Due elementi hanno aggravato, la crisi dello Stato: la necessità di rimborsare i debiti contratti con le “potenze protettrici” e le peripezie di una politica straniera segnata dall’irredentismo. Un debito paralizzante che asservisce Le “potenze protettrici” hanno imposto al giovane Stato condizioni di rimborso draconiane, imponendo poi nel 1850 il blocco del paese. Essi hanno imposto una commissione di controllo sulle finanze del regno, fatto che ha avuto come effetto quello di limitare gli sforzi del ministero per creare le infrastrutture ed operare la stimolazione finanziaria (sotto forma di aiuti e sgravi fiscali), necessari alla fioritura di una classe di imprenditori. Il fallimento completo dello Stato, nel 1893, dovuto alla corruzione della classe politica, che deviava prestiti e fondi pubblici, contribuisce a peggiorare ancora di più la situazione. I creditori istituiscono una Commissione finanziaria internazionale, incaricata del recupero dei debiti e del controllo rigoroso delle finanze pubbliche (1897), che otterrà il rimborso del 40% del debito. La ricerca dell’unità greca è stata una fonte costante di guerre e quindi di indebitamento e di instabilità. Dopo l’indipendenza, l’Impero ottomano continuava a dominare sempre delle regioni che saranno unite al regno di Grecia solo al termine di conflitti e di trattati, derivati dal Congresso di Berlino (1878) e di Costantinopoli (1881). La Grande Idea (Megali Idea), é quella della riconquista di tutti i territori di popolamento greco molto popolare, e questo proprio perché la riconquista di regioni ricche risultava necessaria ad assicurare la sopravvivenza del paese. Nel 1916, l’ipotesi oppone il primo ministro Venizelos - che vi era favorevole ed intendeva, pertanto, impegnare il paese a fianco dell’Intesa - al re Costantino I (1868-1923), cognato del Kaiser Guglielmo di Hohenzollern (1859-1941). La tendenza propugnata da Venizelos avrà la meglio e la Grecia otterrà, per mezzo del Trattato di Sevres (1920), la Tracia e la Ionia turca, che verranno perse poi nel 1923 con il Trattato di Losanna, a seguito di una guerra disastrosa con la Turchia kemalista. Questa sconfitta avrà delle conseguenze fatali per la Grecia, obbligata ad accogliere, 1,2 milioni di Greci espulsi dalla Turchia, nel momento in cui i suoi abitanti erano circa 5 milioni. La Grecia, a quel punto, ricadrà più che mai nella spirale della povertà, del marasma economico e dell’instabilità politica. Instabilità ed impotenza L’instabilità politica è stata la regola di vita della Grecia nel periodo fra le due guerre mondiali, al ritmo dei cambiamenti di regime: ascesa al trono nel 1922 di re Giorgio II (1890-1947), colpo di stato del generale Nikolaos Plastiras (1881-1953) nello stesso anno ed instaurazione della repubblica (1924-1935), restaurazione nel 1935 di re Giorgio II, dittatura dal 1936 al 1941 di Ioannis Metaxas (1871-1941). Dall’aprile 1941 al novembre 1944, la Grecia occupata è vissuta sotto un regime di tipo fascista infeudato all’Asse. Nel corso di questo periodo, le divisioni interno si aggraveranno: opposizione fra collaborazionisti e resistenti e fra questi fra conservatori e comunisti e fra gli stessi comunisti, fra quelli di fede stalinista e quelli di fede maoista. Tutto questo sfocerà nella guerra civile del 1946-1949. I partiti post Venizelos al potere vedevano la loro politica contestata, tanto più che le distruzioni causate dalla guerra e la persistenza degli Occidentali a reclamare ancora e sempre il rimborso dei loro vecchi crediti, determineranno il fallimento dei loro tentativi di recupero. Dopo numerosi negoziati, i Greci riusciranno a rimborsare l’importo di questi vecchi debiti nel 1969. Alla fine degli anni 1950, la Grecia si presentava come una nazione incancrenita dai debiti, con lo statalismo impotente, il clientelismo e per questi motivi, votato alla stagnazione economica, alla contestazione permanente, alle divisioni ed all’instabilità politica. Il relativo successo del periodo Karamanlis (1955-1963), marcato da una ripresa del controllo sull’economia e da uno sforzo di sviluppo, sono stati possibili nella misura in cui, al suo livello, la Grecia ha beneficiato dell’ondata di prosperità comune a tutto l’Occidente. Ma Karamanlis non riuscirà a deviare il paese dalla scia fatale sulla quale si era incamminato. Indebolito da uno Stato impotente e minato dalla corruzione, esso scivola inesorabilmente sulla via del socialismo a credito, una scelta irresponsabile, che ha rappresentato, a partire dal 1981, una fuga in avanti nella quale ha continuato a persistere per un quarto di secolo. Questo orientamento ha auto inizio con Georgios Papandreu (1888-1968) (il nonno), che primo ministro fra il 1963 ed il 1965, ha cercato di rigenerare il venizelismo su basi dirigiste e riformiste incompatibili con la Grecia degli anni 1960. Esso conosce il suo apogeo con Andreas Papandreu junior (1919-1996), suo figlio, il fondatore nel 1974 del Partito Socialista panellenico (PASOK) e che, diventato primo ministro (1981-1989 e 1993-1996), edificherà un socialismo alla greca, basato su numerose nazionalizzazioni e l’istituzione di un sistema di protezione sociale troppo oneroso per uno Stato, già in situazione di bancarotta. Due elementi contribuiranno ad aggravare la situazione: un falso miracolo economico e l’illusione europea. Falso miracolo ed illusione europea Si è parlato di un miracolo greco, con una crescita del 4% per anno dal 2004 al 2007, uno sviluppo senza precedenti dei trasporti marittimi e del turismo e la creazione di numerose promettenti PME. Il governo ha voluto trasformare l’esperimento integrando il paese alla zona euro, che, pensava, avrebbe portato una moneta forte e delle facilitazioni di credito con bassi tassi di interesse, offrendo in tal modo due vantaggi: la fine della svalutazione monetaria della dracma greca che annichiliva qualsiasi investimento ed allo stesso tempo, il dopaggio dell’impresariato. Nessuno aveva capito che l’adozione dell’euro avrebbe portato ad una spirale dell’indebitamento e della speculazione, mettendo l’economia alla mercé delle fluttuazioni borsistiche. E precisamente, una delle ragioni della creazione dell’euro è stata quella di permettere ai mutuatari strutturali (Stati, banche, grande imprese) minacciati dalla planetarizzazione degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie, di uscirne attraverso la possibilità di chiedere mutui massicciamente grazie ad una moneta unica e forte, riducendo i costi dei prestiti e garantendo il valore dei loro crediti. La tentazione è stata irresistibile, per lo Stato greco, che, dal momento dell’entrata del club euro, pensava di superare le sue difficoltà di bilancio ricorrendo anche lui massicciamente al prestito presso i suoi partners europei, senza disporre del corrispondente necessario per la garanzia del rischio legato ad una tale politica. Lo stato greco é, a quel punto, paragonato al famoso “Monsieur Gogo”, del XIX secolo che inghiottiva tutte le sue risorse nei giochi di borsa, di cui non ne capiva nulla. Banche, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno in tal modo prestato senza esitare ad uno Stato greco insolvente, che aveva mascherato i suoi conti per dissimulare la sua incapacità a rispondere ai criteri di adozione dell’euro. Da quel momento, l’euro ha stimolato l’economia greca nella sua forma peggiore: bolle speculative, economia clandestina macchiata di corruzione e di traffici, evasione di capitali, frodi fiscali. Tutti questi elementi hanno provocato un mancato guadagno di 15 miliardi di euro per il Tesoro greco. Questa tendenza si è accentuata con la caduta, a partire dal 2009, delle entrate dei trasporti e del turismo. Il peggio è che il tutto ha dato una dimensione internazionale all’indebitamento greco nella misura in cui, moneta continentale forte, ha incoraggiato gli speculatori stranieri e spinto gli speculatori greci a trasferire i loro capitali su piazze estere: alla fine dei conti, il 70% del debito greco è detenuto dalle grandi banche europee. Questo debito ammonta attualmente a 317 miliardi di euro (dopo che i creditori hanno accettato di alleggerirlo di 107 miliardi nel 2012), ovvero il 176% del PIL del paese. Impossibilità di pagare il debito Oggi, gli Europei impongono alla Grecia misure drastiche di rimborso e di riduzione del suo deficit. Orbene, appare evidente che essa non potrà mai raggiungere gli obiettivi che le sono stati imposti. Essa non è il solo debitore insolvente dell’Europa, ovvero del mondo. La finanziarizzazione globalizzata dell’economia ed, in Europa, l’istituzione dell’euro come moneta unica, hanno spinto gli Stati ad indebitarsi per riassorbire i loro deficit, giungendo ad un punto in cui il rimborso diventa, se non problematico, impossibile in una moneta forte e stabile. Tanto più che i paesi della zona euro risultano mutualmente concorrenti, nel senso che ciascuno cerca di mantenere i propri vantaggi economici. Ed è in tale contesto che, come lo evidenziano due economisti dell’OFCE, una delle condizioni della capacità delle Grecia a rimborsare il debito risiedeva proprio nella possibilità per essa di esportare in Europa, specialmente nella Germania, che è stata così intransigente nei suoi riguardi. In effetti, la Germania vuole evitare tale concorrenza, che ridurrebbe le sue eccedenze commerciali e la porterebbe ad aumentare le sue spese pubbliche ed i suoi salari. Il dramma della Grecia contemporanea è dunque quello di una nazione costretta nel corso della sua storia, per sopravvivere, a doversi affidare ad uno Stato, rapidamente minato dal clientelismo e ridotto all’impotenza dalle nazione europee creditrici, che non hanno mai smesso di asservirla ai loro disegni e di indebitarla. La Grecia, da allora, è stata votata all’instabilità e presa in una spirale di un dirigismo deleterio, quindi la fuga in avanti in una Europa, dalla quale sperava la soluzione dei suoi problemi. Oggi, la nazione ellenica si risveglia esangue nello stesso modo dei paesi dell’est, nel momento in cui sono usciti dal comunismo alla fine del XX secolo.
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