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Un argomento di stringente attualità che il buonismo dilagante non affronta

SALAFISMO IN EUROPA ISTRUZIONI PER L’USO

Il Salafismo rappresenta oggi la matrice ideologica e identitaria dell’estremismo islamico


16/01/2016 - Massimo Iacopi


(Assisi)

SALAFISMO IN EUROPA ISTRUZIONI PER L’USO

(Nel Download in alto a destra altre foto di Capi Salafiti)

Il Salafismo rappresenta una ortodossia religiosa, rivendicata da un fronte eterogeneo, complesso ed in evoluzione, nel quale si possono distinguere oggi almeno tre tendenze principali: un Salafismo predicatore, un Salafismo politico ed un Salafismo rivoluzionario.

Il Salafismo predicatore è convinto che la sola soluzione ai problemi dei mussulmani risieda in quello che viene denominato al-tasfiyatu wal-tarbyya, ovvero la purificazione e l’educazione. Purificare la religione dalle “innovazioni” che ne intaccano i suoi precetti ed i suoi dogmi per poter ritornare alla religione trasmessa dal Profeta; educare i mussulmani affinché essi si conformino a questa religione, abbandonando le loro cattive abitudini ed ogni altra soluzione prospettata (politica o rivoluzionaria) che, nei fatti, li devia dalla retta via.

Vicina alle autorità religiose saudite, questa tendenza costituisce una forza decisamente maggioritaria in Francia, il cui riferimento è il religioso saudita Rabi al Madkhali. In Gran Bretagna, essa è animata da due predicatori Abu Khadeeja ed Abu Hakeeem Bilal Davis, nell’ambito dell’Associazione Ahl-Sunna di Birmingham. In Canadà, il Salafismo predicatore risulta guidato da Abu Hammaad Suleiman Dameus al Hayiti, con precedenti esperienze a Medina e noto per le sue traduzioni di opere teologiche saudite.

Il Salafismo politico propugna una visione militante e politica dell’islam, alla maniera dei Fratelli Mussulmani. La creazione di partiti politici, sindacati ed associazioni viene considerata come un mezzo pacifico di accessione al potere o per fare pressione sullo potere stesso. I temi politici (integrazione dei mussulmani in Occidente, cittadinanza, politica americana, conflitto israelo-arabo …) si coniugano con una visione molto conservatrice della società.

Questa tendenza risulta molto attiva in Gran Bretagna attraverso l’associazione Yamyat Ihya minhaj assuna (JIMAS, Raggruppamento per la vivificazione del metodo della Sunna) diretta dal pakistano Abu Muntasir. Questa tendenza risulta altresì presente in Belgio con il Partito della Cittadinanza e della Prosperità (PCP), creato nel 2002 da Jean François Bastin (che l’ha poi lasciato per fondare, nel 2004, il Partito dei giovani mussulmani).

Il Salafismo rivoluzionario propugna, invece, la Jihad (Guerra santa) nella sua dimensione di lotta armata. Prodotto di una scissione con l’ideologia dei Fratelli Mussulmani, esso ha conservato, della dottrina del movimento egiziano, l’idea che le azioni politiche e sociali debbano necessariamente inscriversi in una prospettiva islamica. Esso coniuga con questa prospettiva anche una lettura letterale dei testi coranici a connotazione politica, riguardanti il califfato ed il potere, per uno sbocco rivoluzionario dell’azione. I discorsi e le azioni risultano radicali e rifiutano qualsiasi idea di impegno e di collaborazione nelle società mussulmane o occidentali. Ostili ad una azione religiosa limitata alla sola predicazione (da’wa), questi militanti rivoluzionari pongono la jihad al centro delle loro convinzioni e ne fanno un obbligo religioso.

In sintesi, il movimento salafista copre un largo spettro di sensibilità che va dal salafismo predicatore (salafiyya al-dawa), socialmente conservatore e politicamente tranquillo e la cui azione si basa essenzialmente sulla formazione religiosa, al salafismo rivoluzionario (spesso designato come al Salafiyya al-jihadiyya), che propugna azioni dirette con accenti terzomondisti. Per alcuni il salafismo è direttamente legato all’istituzione religiosa ufficiale dell’Arabia Saudita e si sovrappone in tal modo al wahabismo (1). Per altri, esso designa una metodologia riformatrice che sarebbe in grado di sollecitare virtù liberatrici, suscettibili di riportare i mussulmani “all’età d’oro” dell’islam. Nonostante le loro divergenze, queste differenti correnti condividono un fondo ideologico comune, che si basa sull’idea secondo cui il ritorno alla religione mussulmana dei Salaf al Salah  (i pii antenati), consentirà alle società di ritrovare la gloria dei primi secoli dell’islam, nel corso dei quali i mussulmani hanno dominato il mondo.

Una critica dei movimenti islamisti

Se nei fatti, tutte le tendenze salafiste si contrastano sulle strategie da mettere in opera, esse si trovano peraltro d’accordo e criticano con lo stesso vigore i movimenti islamisti del mondo arabo. L’Unione delle Organizzazioni Islamiche di Francia, l’Ennada in Tunisia, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo in Marocco, l’AKP in Turchia o anche i Fratelli Mussulmani in Egitto sono accusati di aver perduto la loro autentica originalità, integrando nel loro patrimonio islamico dei valori, come la democrazia, del tutto estranei alla religione mussulmana. Il movimento salafista rimprovera con forza ai Fratelli Mussulmani più la loro strumentalizzazione dell’islam in chiave partitica (hiz-biyya), che la loro apertura politica. Per i salafisti questa tendenza egiziana porta ad una frammentazione dell’Umma (comunità dei Credenti), inaccettabile, nella misura in cui essa genera un indebolimento complessivo dell’islam, producendo di fatto una divisione dell’Umma, con una Fitna (frattura). Per numerosi militanti salafisti che hanno frequentato a suo tempo queste organizzazioni, esse non hanno mantenuto le loro promesse, specialmente quelle legate ad una vita migliore grazie all’islam. Da quel momento, i predicatori ed i militanti salafisti utilizzano nei loro riguardi il cosiddetto “lessico del discredito”. In definitiva, in maniera esclusiva e su un tono attivo ed anche guerriero, queste organizzazioni che “tradiscono l’islam ed i mussulmani” debbono essere combattute senza tregua e senza pietà.

I tre gradi di opposizione all’Occidente

Se l’opposizione agli islamisti viene unanimemente accettato da quasi tutti i salafisti, ben diverso risulta il loro atteggiamento sulla critica nei confronti dell’Occidente, che viene declinata secondo tre diversi registri: indifferenza, contestazione e propaganda. Indifferenza. Per i Salafisti predicatori, l’atteggiamento nei confronti dell’Occidente non consiste nel voler convertire la popolazione o attenderne la sua caduta, ma più semplicemente ad allontanarsene per gioire della sicurezza procurata dalla santità personale. Indifferente alle riforme sociali, il Salafismo predicatore si oppone a qualsiasi forma di partecipazione politica delle popolazioni mussulmane alla società europea, proprio per il fatto che tale società è contraria ai principi dell’islam. La democrazia viene assimilata ad una forma d’associazionismo (Shirk) che porta inevitabilmente all’eresia, poiché i deputati occidentali legiferano in nome di valori che non sono quelli della Sharia. Vale comunque la pena di sottolineare che le relazioni che il salafismo predicatore intrattiene con la cosa pubblica non sono sempre fondate su una visione strettamente religiosa dell’islam. Se i teologi sauditi difendono una visione pacifica dell’islam, essi sostengono apertamente il loro istituto monarchico. Incarnati in Arabia Saudita da Muhammad Amam al Jami al Harari e dal sunnominato Rabi al-Madkhali, questi religiosi salafisti mantengono un atteggiamento leale con la monarchia saudita e si oppongono a qualsiasi critica rivolta al potere saudita, specialmente quelle provenienti dai Salafisti politici e rivoluzionari. In cambio, essi si sono visti offrire dal potere saudita cariche importanti. L’Università islamica è stata messa al passo da Rabi al Madkhali, facendone espellere una gran parte dei Fratelli Mussulmani e dei Salfisti politici che vi insegnavano.

Contestazione. Mentre il Salafismo predicatore sviluppa una forma di fiancheggiamento nei confronti dei regimi arabi, esso costituisce un potente elemento di critica dei sistemi politici occidentali. Esso esprime giudizi nei confronti della società che accoglie, ma che non vive secondo il modello del Profeta. Indubbiamente, il movimento “non fa politica”, in quanto i suoi membri si mantengono in un terreno neutro, che corrisponde perfettamente all’atteggiamento politico di molti di loro, allo stesso tempo critico e disimpegnato nei confronti del governo del loro paese d’origine. Il movimento conserva, nondimeno, nel suo ambito una dimensione protestataria simbolica attraverso un atteggiamento di isolamento, giustificato dalle ragioni religiose, ma che si spiega anche con le condizioni di vita deludenti dei mussulmani d’Europa e d’America del nord (discriminazione religiosa e sociale, esclusione economica …).

La protesta simbolica si esprime, ad esempio, nel rifiuto dei segni esteriori della maggioranza: il modo di vestire del salafista si caratterizza con una lunga camicia, la barba ed una calotta. Si assiste alla declinazione delle proteste collettive ad un livello individuale, dove il militante è obbligato ad un grande rigore morale. Nella misura in cui il Salafismo predicatore non si fa carico in maniera effettiva (oltre alla domanda spirituale) dei problemi quotidiani dei giovani mussulmani, questi ultimi vi aderiscono più sotto la forma di un passaggio destinato a reislamizzarsi, piuttosto che in una maniera da militanti. Questo passaggio, più o meno lungo, può tuttavia condurre alcuni individui, insoddisfatti della natura pacifica del Salafismo predicatore, ad impegnarsi in azioni politiche violente, una volta usciti dal movimento. In tale contesto, questa tendenza del Salafismo potrebbe essere considerata e funzionare come una struttura d’islamizzazione pre socializzatrice ed uno “stadio” preliminare per quello politico e rivoluzionario.

Propaganda (Agit-prop). Mentre il Salafismo predicatore esprime la sua opposizione nei confronti dell’Occidente attraverso un atteggiamento d’indifferenza politica e di rifiuto do integrazione sociale, l’atteggiamento dei Salafisti politici nei confronti dell’Europa e dell’America del Nord risulta più complesso. Per essi, si tratta, in parte di ritirarsi dal mondo ed in parte di voler cambiare la società in funzione del modello islamico. Le attività delle organizzazioni che si rifanno al Salafismo politico tendono a costruire spazi sociali nei quali i mussulmani possano vivere pienamente la loro fede in Occidente. Pur cercando di integrarsi (con molti distinguo) nelle società occidentali, essi esigono per i loro membri la possibilità di vita comunitaria. I loro membri non rifiutano il sistema politico nella sua globalità, ma vi si oppongono su problemi di gestione legati alla presenza di mussulmani in Occidente.

Le modalità d’azione si avvalgono della comunicazione e molto spesso della propaganda. In occasione di una adunata organizzata nell’aprile 2011 a Francoforte alcuni predicatori si sono espressi sulla necessità di mobilitarsi per lottare contro l’islmofobia in Occidente: “Una delle fonti dell’islamofobia deriva dai media. E noi non possiamo gestire questo mezzo se non ci implichiamo nei media Qualche nostro fratello deve formarsi al mestiere di giornalista e diventare un comunicatore … … Noi non dobbiamo più fuggire ed aver paura dei media, ma piuttosto dobbiamo temere la falsa informazione che viene di continuo rinforzata. Quindi, noi dobbiamo gestire i media e correggere per quanto possibile l’immagine dell’islam. La seconda fonte è costituita dagli uomini politici. Per questo motivo noi dobbiamo impegnarci nel processo politico, in quanto mussulmani ch viviamo in Germania. Se vogliamo cambiare le cose, dobbiamo avere la nostra voce”.

La figura del rivoluzionario

Il terzo atteggiamento (propagandistico) nei confronti dell’Occidente viene spinto all’estremo della sua logica dal Salafismo rivoluzionario. In una maniera più generale, quest’ultimo si considera come un combattente, un giusto che lotta per una causa legittima: l’instaurazione di un Stato islamico che sarà il precursore della giustizia di Dio sulla Terra. Si può distinguere in tale contesto una prima tendenza jihadista, incentrata sulle lotte politiche nei paesi mussulmani e che non riguarda i salafisti occidentali, se non come effetto secondario. Moltiplicando gli attacchi nei confronti dell’islam politico, del quale essi effettuano un bilancio critico, questi salafisti jihadisti inscrivono, tuttavia, la loro azione nella continuità degli obiettivi iniziali degli islamisti: la creazione di uno stato islamico. Per questa tendenza, la giustizia potrà essere instaurata grazie ad una strategia di lotta contro lo Stato, incarnazione del taghut (empietà). Questo verrà vinto per mezzo di attentati e sulle sue ceneri sarà instaurato uno stato islamico giusto, fondato sui principi della Sharia. La figura dominante di questo jiahdismo è rappresentata dal Mujahid (il martire combattente) . Il nocciolo duro di questo movimento è spesso formato da veterani della 1^ guerra d’Afghanistan, che sono entrati a far parte delle opposizioni islamiste dei paesi mussulmani. Contrariamente all’ala politica del Salafismo, questo gruppo ritiene che il Jihad rappresenta il solo strumento capace di islamizzare lo Stato e quindi la società, se l’opzione politica dovesse fallire. Di fronte alla repressione, i suoi fautori invitano la popolazione a sollevarsi contro lo Stato, considerato come l’unico ostacolo alla creazione di un regime islamico. L’Occidente, in questo caso, viene interessato come effetto di propagazione del movimento. Quando alcuni paesi (ad esempio la Francia) forniscono un sostegno ai regimi arabi minacciati, viene scatenata una campagna di attentati allo scopo di convincerne i politici ad interrompere questa politica. Ben lungi dal rappresentare una sensibilità politico-religiosa omogenea, il Salafismo rivoluzionario esprime attualmente due categorie principali che condividono la stessa base ideologica, ma i cui obiettivi divergono. Una comprende individui che hanno effettuato la scelta di arruolarsi per differenti zone di combattimento nel Medio Oriente, mentre l’altra si cristallizza attorno alla figura del “terrorista dell’interno” (homegrown terrorist). La prima tendenza cerca di sostenere con le armi, all’interno delle terre dell’islam, le popolazioni minacciate nella loro integrità territoriale, fisica e politica da quelli che sono presentati come i nemici dell’islam. L’obiettivo è quello di approfittare della situazione provocata dalle primavere arabe per creare dei fronti interni (anche con l’aiuto più o meno cosciente di “miscredenti” e qui il discorso diventa più complesso !!) che consentiranno l’ulteriore messa in opera di Stati islamici. In nome di un ritorno ad un ordine politico anteriore ideale, questi jiadisti propugnano l’islamizzazione dello Stato con la forza. Affascinati da questo tipo di discorsi, numerosi combattenti dell’Unione Europea sono partiti per combattere in Siria nella speranza di rovesciarvi un regime empio. La maggioranza di questi combattenti sono stati inquadrati nelle brigate jihadiste - specialmente nelle brigate dell’ISIS e di Al Nosra. In un rapporto pubblicato nel dicembre 2014, l’International Centre for the Study of Radicalisation (ICSR) del King’s College di Londra ha stimato che fino a quella data circa 2 mila combattenti dell’Unione sarebbero stati arruolati in Siria a partire dall’inizio del conflitto.

La seconda tendenza rivoluzionaria cerca, invece, di punire, attraverso la violenza, le ingiustizie e le discriminazioni che possono subire o soffrire i mussulmani che vivono in Europa. Fra queste: lavare l’affronto dei miscredenti che avrebbero effettuato azioni blasfeme riportando in caricatura il Profeta costituiva anche la giustificazione principale avanzata dagli autori dell’attentato di Parigi. Tutti i successivi attentati del 2015 in Francia sono, di fatto, inquadrabili nella stessa logica operativa di questo gruppo di jihadisti.

NOTA

(1) Movimento politico religioso ortodosso fondato nel XVIII secolo nel deserto del Nejid in Arabia Saudita, da Mohamed ibn Abd al-Wahhab (1703-1792). Esso fa ricorso incondizionato alla lettura letterale del Corano ed all’applicazione rigorosa della Sharia e rappresenta l’ispiratore del Rego dei Banu (tribù, clan) Saud, fin dalla sua origine.

BIBLIOGRAFIA

Anghar Samir, “Il Salafismo oggi, Movimenti settari in Occidente”, Michelon, 2011;

Mohamed Al-Adraoui, “Dal Golfo alle periferie. Il Salafismo mondializzato”, PUF, 2013;

Khosrokhavar Farhad, “Radicalizzazione”, MSH, 2014;

Chebel Malek, “Dizionario dei simboli mussulmani, riti, mistica e civiltà”, Albin Michel, 1995.


 

 

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