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Dal nostro inviato Ale Sarcią

60 OPERE DI EDWARD HOPPER AL VITTORIANO

La mostra rimarrą aperta fino a febbraio.


12/12/2016 - Ale Sarcią


(Dalla Faglia del Centro Italia)

EDWARD HOPPER AL VITTORIANO

Tra le tantissime cose, alcune anche indigeste, che ha partorito l’America in fatto di arte contemporanea, tra le due Guerre Mondiali e dopo la Seconda, ce n’è una di cui l’America può andare fiera e orgogliosa:  il realismo di Edward Hopper, conosciuto anche come espressionismo astratto. Edward Hopper nasce a Nyack il 22 luglio 1882 e muore a New York il 15 maggio 1967. Questo pittore statunitense facente parte del movimento precisionista, è famoso soprattutto per i suoi ritratti della solitudine nella vita americana contemporanea.  La mostra delle più note opere di Edward Hopper al Vittoriano costituisce quindi una tappa rilevante del mondo culturale romano e direi europeo. Hopper si rivela un Artista a tutto tondo che non si accontenta mai del suo lavoro. Egli è solo, nella solitudine della sua America. Solitudine che le sue opere raccontano pedantemente, quasi ossessivamente. Hopper ridipinge i suoi soggetti preferiti, li analizza, li sviscera, li studia, li compone e li decompone, sempre alla ricerca di quell’espressionismo che ha informato la sua epoca, e con un occhio agli Impressionisti francesi, almeno per il taglio quasi fotografico che impone alle sue opere. Per la pittura americana Hopper rappresenta un punto di partenza e di arrivo, nel senso che ha lasciato un solco cui nessun artista americano potrà sottrarsi. In un’America immensa ma ovunque uguale a sé stessa, un artista del calibro espressivo di Hopper non troverà uguali. Semmai potrà vedere, ospitare, celebrare altre realtà, tanto  moderne, quanto avveniristiche, anche per il tramite della pop-art che nel dopoguerra ha informato la pittura americana. Ma Edward Hopper rimarrà una bandiera, con un suo spazio speciale che da una parte tradisce le sue origini certamente europee e dall’altra rivela un amore fisiologico per la sua patria, tutta Bibbia e Libertà. Edward Hopper lascia quindi ai posteri un’impronta indelebile di onestà intellettuale che traspare tutta nel verismo delle sue opere.

Ale Sarcià

 

RIFLESSIONI  DI EDWARD HOPPER SUL SUO QUADRO

“LE UNDICI DEL MATTINO 1926”

 …E poi c'era una donna da sola in una stanza, nuda, con le sue scarpe sdraiate per terra, ancora addormentate. Non sapevo come fosse possibile riuscire a guardare una donna che si trovava da sola in una stanza chiusa. Poterla osservare senza esserci. E soprattutto non capivo come mai mi sembrava che il quadro appeso alla parete la guardasse, e che le lenzuola del letto fossero pensierose, e che le colline fuori dalla finestra fossero più sensuali del suo seno nudo, che appariva invece inanimato, come la sigaretta e il polpaccio venoso. …                                  

«Il mio scopo nel dipingere è sempre stata la più esatta trascrizione possibile della più intima impressione della natura.»   (Edward Hopper)

COMMENTO DI STEPHEN DUNN

Tranne che per le scarpe la giovane donna è nuda su una sedia, e guarda fuori da una finestra spalancata, il volto messo in ombra dai capelli castano scuro. Appartamento? Albergo? Di fuori, la dura tetraggine di palazzi di città. Sono le undici di mattina, dice il titolo di Hopper, tempo per lei di essersi vestita cento volte. Son le scarpe ad accennare al suo desiderio di vestirsi, e a qualche grande impedimento. I gomiti sulle ginocchia. Mani strette.

La finestra verso cui si sporge è senza tendine. Non c'è motivo per cui si debba preoccupare di esser vista, o per cui voglia mettersi in mostra.                   

Edward Hopper è un artista degno di essere amato, indipendentemente dai possibili condizionamenti indotti dallo stato umorale dell'osservatore posto dinanzi ad una della sue opere. Automat (1927) rappresenta bene, in una soluzione sintetica, i caratteri essenziali della sua arte. L'oggetto di Hopper è la solitudine dell'individuo metropolitano, di periferia, frequentatore di bar notturni e sonnambulo per vocazione per ammazzare la noia, il vuoto che pervade le voragini di non senso della modernità. Gli elementi dell'ambientazione pittorica non svolgono una funzione ornamentale o meramente decorativa . Sono strutture di senso che dilatano il cancro della passività che corrode il cuore del soggetto centrale della figurazione. L'angoscia dell'individuo, atomo contingente ed accidentale di una composizione mostruosa di sovrastrutture funzionali, non si converte mai in inquietudine. L'angoscia è la condizione dell'individuo consapevole che nel possibile tutto è possibile, è la rimozione psicologica di paracaduti di senso (siano essi religiosi o ideologici non ha importanza) capaci (un tempo magari) di scongiurare l'appiattimento individuale nei fumi dei locali notturni, nelle foschie di periferia respirate da puttane ad ore e da disperati. I soggetti di Hopper non dormono, dunque, non ne hanno ragione alcuna. Brancolano nella notte metropolitana che riflette fedelmente la profondità oscura del loro cuore ormai defenestrato e contagiato da infezioni esistenziali di ogni sorta. In ogni modo l'opera di Hopper non può essere intesa come una raffigurazione cronachistica del nichilismo moderno. C'è un elemento dirompente che spezza la passività della figurazione che, pur non introducendo un elemento dinamico, di azione liberatoria, in ogni mondo eleva il soggetto dal proprio fondo di desolazione. Si tratta della luce intensa che anima i notturni di Hopper. Rivelazione artificiale. Penetrazione insperata della nebbia. Luce al neon che seda l'anima placando gli sciabordii di pensieri, ricordi, sentieri esperiti centrifugati da un mondo, avvertito in lontananza, rispetto al quale l'alienazione scava un rifugio pubblico.  (Stephen Dunn)

LA PRESENTAZIONE DI “GIUSIPI” NEL SUO BLOG : http://blog.libero.it/ECHIdelSILENZIO/view.php?reset=1&id=ECHIdelSILENZIO

Finalmente, sbarca in Italia - a Milano e a Roma - una mostra totalmente dedicata ad Edward Hopper, il famoso pittore americano nato a Nyack (New York) nel 1882, che ha introdotto nella pittura del '900 il realismo urbano. Eppure i quadri di Hopper raccontano qualcosa di più che non semplici scene cittadine. Sanno parlare, infatti, a diversi livelli; dicono di silenzi, di incomprensioni, di solitudini e di paesaggi intriganti, spogli e al contempo vivi. La sua pittura costituisce un riferimento comune: la prima istantanea delle metropoli di oggi come anche delle nostre esistenze in cui l'uomo e la città convivono spesso senza incontrarsi. La sua pittura è tanto il primo passo verso il minimalismo, che Hopper stesso preconizza e introduce nella cultura americana, che un'evoluzione di un discorso classico, metafisico, nato con i lavori di Giorgio de Chirico, che affonda le sue radici nella tradizione impressionista europea. In questo modo, Hopper fa dialogare due diverse culture, due diverse sensibilità, restando sempre fedele a se stesso e al suo modo originale di intendere la pittura e la vita.

La grande mostra antologica, che potremo ammirare questo autunno in Italia, realizzata in collaborazione con il Whitney Museum of American Art, comprende più di 160 opere ed è suddivisa in sette sezioni che spaziano tra le diverse tele del pittore americano: gli autoritratti, le prime opere, le opere parigine, l'erotismo, il passaggio dal disegno alla tela e i concetti essenziali, cioè la sua personale visione della forma, dello spazio e della memoria. La mostra, infine, è completata da una riflessione sulla cultura americana dai primi anni del '900, fino agli anni '60; anni in cui Hopper muore. Per tutti gli amanti dell'artista americano, della pittura moderna e contemporanea, e per chi volesse approfondire la cultura statunitense, rappresentata da un acuto osservatore, questa mostra costituisce un'occasione imperdibile, un appuntamento da non mancare.”


 

 

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