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Le Inchieste di Massimo Iacopi

PREOCCUPANTE CRESCITA DEL TERRORISMO ISLAMICO

Indagine sulla provenienza dei mezzi finanziari di cui dispongono gli ispiratori del terrorismo


12/04/2017 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

Il 22 ottobre 2016 si è tenuto alla Sorbona a Parigi un colloquio internazionale dedicato alla questione del finanziamento del terrorismo. Un’iniziativa che si è sforzata di decrittare le minacce che pesano sul mondo di oggi, diventato troppo conflittuale, cercando di chiarire aspetti in campi poco esplorati, ma il cui peso specifico appare comunque decisivo. Nello specifico si trattava di individuare i diversi meccanismi del finanziamento del terrorismo islamista per individuare mezzi e modalità di intervento. Distinguendo la parte emersa e visibile dell’iceberg, l’intervento delle monarchie del petrolio e della Turchia, delle loro banche e delle loro fondazioni, da un retro bottega più segreto, il contributo dell’economia informale al finanziamento di organizzazioni islamiste, specie quello delle cellule impiantate nei paesi occidentali. Il 17 dicembre 2015, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato, all’unanimità la risoluzione n. 2553, presentata da USA e Russia, che impone il congelamento dei beni, il divieto di viaggiare e l’embargo sulle armi nei confronti dello Stato islamico (ISIS), di Al Qaeda e degli “individui, gruppi ed altre entità loro associate”. Questa risoluzione è destinata a restare lettera morta fino a quando non esisterà un controllo di fatto che miri alle transazioni internazionali che riguardano l’islamismo e la fornitura di armi ai combattenti del Vicino Oriente, come quelle dell’ISIS, del Fronte Al Nusra, l’Ahrar al Sham (1), ma anche a quelli impegnati su altri terreni come Boko Haram o Al Qaeda e le sue affiliate l’Aqpa (2), l’Aqmi (3). Concentrandosi sulla ricerca di una soluzione politica, necessaria a lungo termine, ma che non metterà fine alla tragedia siro-irakena. Ci si dimentica che l’eliminazione del terrorismo è una condizione preliminare o nel peggiore dei casi deve essere simultanea all’apertura di qualsiasi negoziato.

Finanziamento iniziale di provenienza islamista

Il finanziamento del terrorismo islamista deriva inizialmente da due fonti distinte:

1) i gruppi islamici armati operanti in Egitto che hanno approfittato del declino di una classe media traumatizzata dalle privatizzazioni del sottore pubblico e dallo smarrimento di un proletariato, le cui molteplici rivendicazioni si indirizzavano ad uno Stato che non era più in condizione di proteggerlo; 2) lo shock petrolifero del 1973-74 che ha permesso alle monarchie del Golfo e specialmente all’Arabia Saudita, di dedicare una parte delle sue risorse alla “wahabizzazione” della società araba ed all’esportazione della sua ideologia. Si trattava, soprattutto agli inizi, di sostenere il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) algerino e di aiutare i movimenti sunniti ostili alla rivoluzione sciita iraniana. Questo finanziamento è stato rivendicato dalle più alte autorità dell’islam, come Mustafà Mashur (1921-2002), la guida della Confraternita dei Fratelli mussulmani, che nel 2002, poco prima della sua morte, dichiarava “Occorre portare il ferro della guerra santa sui terreni economico e finanziario, come lo prescrivono i testi fondamentali dell’islam. Le banche islamiche devono aiutare i nostri fratelli in difficoltà secondo i mezzi più appropriati, dai più innocui ai più radicali, ivi compresi quelli della lotta armata”. Oggi, secondo quanto affermano diversi servizi segreti occidentali, dei gravi sospetti pesano sul vecchio capo dei servizi generale sauditi, Bandar bin Sultan Al Saud (1949-), considerato come l’architetto del jihadismo internazionale ed i cui interventi hanno riguardato il Libano, l’Afghanistan, il Nord del Sahel, la Tunisia e, evidentemente, la Siria. L’inventario dei finanziamenti ufficiali comprende l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait, la Turchia, Abu Dhabi, una parte delle loro banche, la Lega islamica mondiale e le  associazioni caritatevoli come il Soccorso islamico, che dispongono di “antenne” in numerosi paesi ed infine delle fondazioni-lobbies come il fondo Welfare. Gli uni e gli altri approfittano largamente del traffico del petrolio, del gas, di armi, che estende le sue nervature in tutta l’area. Ma una dissonanza si è introdotta nella orchestrazione di questi enormi flussi  di denaro che riforniscono i movimenti terroristi.

Il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia

Per alcuni specialisti, la chiave del finanziamento dell’ISIS si trova a Doha. Occorrerebbe pertanto isolare politicamente ed economicamente il Qatar. Ma come fare? Poiché questo paese ha allacciato buone relazioni economiche e commerciali e quindi politiche, con diversi paesi occidentali ed ha spinto i suoi tentacoli nell’immobiliare, nelle comunicazioni, nello sport, nei trasporti aerei ed il commercio di lusso, con delle somme che superano largamente il PIL ufficiale del paese (203 miliardi di dollari) la cui origine è largamente occulta. Altri mettono sotto accusa la monarchia saudita dove la sharia ha valore di Costituzione e dove i clan che si spartiscono il potere, costituiti dalla famiglia Al Saud per il potere politico e le istituzioni religiose e dalla famiglia Al Sheik per il potere religioso e la vita sociale, sono obbligati a cooperare, perché parti costitutive di uno stato in cui la religione e la politica sono indissolubilmente legati e dove il wahabismo sostiene la monarchia. L’Arabia Saudita è stata da sempre vicina ai Fratelli Mussulmani. Essa ha armato e finanziato i mujiahidin nella guerra santa contro il comunismo in Afghanistan. Gli stessi mujihaidin che, dopo il rientro nei loro rispettivi paesi, costituiranno una delle basi militanti di Al Qaeda. La stessa Arabia Saudita sul piano mediatico è passata al contrattacco. Ha infatti sviluppato, attraverso i suoi schermi pubblicitari, la sua influenza nel mondo arabo acquistando giornali e catene di comunicazione e creando Al Arabiya per fare concorrenza ad Al Jazeera. Nella lotta contro gli Sciiti e la potenza iraniana, essa ha domato la rivolta nel Bahrein, si è impegnata militarmente nello Yemen in una guerra sanguinosa, ha armato gli oppositori a Bashar el Assad che non è un sunnita ed è sostenuto dall’Iran. Una delle ipotesi prese in considerazione per contrastare il finanziamento del terrorismo da parte degli Stati e dei loro satelliti era quella di giocare sulle rivalità fra la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita, che vogliono imporre la loro leadership sul mondo sunnita. Il primo paese possiede il numero e la forza, il secondo dispone del denaro ed il terzo della legittimità religiosa. I settori di scontro privilegiati sono l’educazione, le associazioni caritative, la formazione ed il finanziamento dei predicatori. Ma questa parte del finanziamento rimane alquanto opaca. Qual è la proporzione tra i fondi assegnati alle associazioni caritative impiegati per l’aiuto umanitario  dei rifugiati e i fondi che invece vanno a favore del reclutamento dei jihadisti ed all’organizzazione della loro partenza per il fronte? In che misure queste associazioni partecipano all’inquadramento della gioventù ed alle sfilate “spontanee” dopo la preghiera del venerdì? Le reti sociali che contano decine di migliaia di abbonati forniscono un’idea della potenza di queste associazioni e del potere dei loro capi. Peraltro, la Turchia, per effetto della paura che venga a costituirsi, nel nord del Medio Oriente, uno stato curdo dominato dal partito terrorista curdo (PKK), concorre a modificare i dati di base. La Turchia teme inoltre l’interesse manifestato dalla Russia, il possibile intervento della CIA e l’influenza, forse più discreta, delle Fondazioni di Soros a fianco dei fedeli del predicatore Fethullah Gülen (1941-) il quale sarebbe riuscito ad infiltrare suoi adepti nell’apparato politico militare dello stato turco per destabilizzare il regime di Reciyp Erdogan (1954-). Tutto questo spiega il doppio gioco di questo paese, teoricamente schierato con la coalizione anti-ISIS, ma ideologicamente orientato a sostenere  il nascente califfato terrorista agevolando il passaggio dei giovani militanti che volevano raggiungere i jihadisti. Infine, non va dimenticata l’interpretazione della questione che danno i seguaci  della teoria del complotto, i quali sdoganerebbero le azioni  violente dei terroristi, attribuendo alla CIA il ruolo di direttore d’orchestra della destabilizzazione del Medio e del Vicino Oriente. Secondo alcuni l’Agenzia americana trarrebbe vantaggio da risorse occulte, ivi compreso il denaro della droga e l’oppio proveniente dall’Afghanistan, utilizzando società schermo di cui una parte avrebbe la propria sede nel Delaware - allo scopo di contrastare il terrorismo attraverso le sue stesse armi. Risulta praticamente impossibile fornire le prove di tali asserzioni, tuttavia l’assioma diventa credibile allorché osserviamo che l’ingegneria politica che presiede alla messa a fuoco dei conflitti non si riduce più solamente all’antagonismo classico dello scontro di civiltà.

Gli affari islamici (islamo-business)

E’ proprio quest’ultimo aspetto, poco conosciuto, che è stato trattato dal libro “Islamobusiness, vivier du terrorisme” (Affari islamici, vivaio del terrorismo), recentemente pubblicato dall’editore Pierre Guillaume de Roux, ci propone un aspetto dell’islamismo radicale ed una esplorazione della stratificazione della comunità mussulmana della  Francia con i suoi quattro cerchi concentrici: l’Umma, i praticanti, gli islamisti radicali, gli attivisti.

Questo approccio prende in contropiede le conclusioni delle commissioni governative che si sono dedicate allo studio del finanziamento del terrorismo: alcune Commissioni (Fenech- Pietrasanta e Jean Frederic Poisson) hanno privilegiato le riforme della giustizia e dei servizi di informazioni, lo stretto controllo delle reti mafiose e l’embargo sulle armi ed il petrolio, negligendo però un’azione diretta per prosciugare o interrompere le sue filiere finanziare. L’islamobusiness, nei fatti, designa due fenomeni distinti; il finanziamento del terrorismo ed il reclutamento degli apprendisti jihadisti, ma esse hanno in comune il fatto di derivare entrambi dall’economia informale. Gli introiti dell’economia informale, riguardanti essenzialmente le tasse imposte ai commercianti ed ai privati, le risorse tratte dal business alimentare (carne halal, shorba (4)), che transitano per mezzo di associazioni caritative opache una parte delle quali costituisce il tesoro di guerra delle organizzazioni islamiste, la rivendita fraudolenta delle materie prime (petrolio, gas naturale) a Stati della regione che negano la realtà di questi traffici. Occorre aggiungere la confisca di beni e degli averi bancari nelle regioni controllate dagli islamisti, i riscatti delle taglie ottenuti per la liberazione di ostaggi, le entrate legate all’immigrazione clandestina ed infine i traffici di droga, di armi o persino … d’organi umani. Lo sviamento delle imposte e dei doni viene ad aggiungersi a queste diverse risorse. Occorre ricordare l’esistenza, nel mondo mussulmano, della Zakat, che corrisponde all’elemosina obbligatoria, della Jizya o Djizya, l’imposta pagata dai Dhimmis, i membri cosiddetti “protetti” delle comunità religiose comunitarie, della Sadaqah, che rappresenta un dono volontario ed infine dell’Hawala, che corrisponde ad uno scambio di liquidità, senza traccia scritta, per mezzo di commercianti intermediari, che dispongono di codici di riconoscenza. In tal modo fra le otto categorie di beneficiari dello Zakat, ufficialmente autorizzati, ritroviamo la “causa di Allah” che copre la promozione dell’islam, il finanziamento delle moschee, il sostegno alle minoranze mussulmane in paesi non mussulmani, la stessa Jihad; fatto che, alla fine dei conti, autorizza ad orientare fondi per l’acquisto di armi, il pagamento dei combattenti, l’amministrazione dei territori conquistati, la propaganda o l’insediamento di cellule attive o “dormienti” nei paesi che li combattono. Il riciclaggio del denaro raccolto consente di “occultare” il denaro investito. Si calcola che l’insieme di questi finanziamenti rappresenta nel suo complesso più di 1000 miliardi di dollari all’anno !!!

Verso l’autonomia delle cellule terroriste

Tenuto conto della sorveglianza delle transazioni e della proliferazione delle cellule terroriste, di cui ISIS non è in condizioni di controllare se la fedeltà che esse proclamano sia vera o meno, i dirigenti dell’ISIS hanno recentemente cambiato strategia.

I gruppi che si reclamano all’islamismo radicale devono ormai ricorrere il più possibile all’autofinanziamento, ovvero devono trovare nel loro ambiente più immediato le risorse che permettono loro di organizzare le loro azioni. Da qui l’esplosione di una delinquenza che verrà religiosamente “coperta”, perché se viene rubato, saccheggiato, esercitato il racket o traffici illeciti, questo non viene fatto per motivi di arricchimento personale, (e questa logica ci fa venire in mente quando in Italia “innocentemente” si “rubava” e si “trafficava” per il partito), ma per mettere in difficoltà un mondo di miscredenti e di accelerare l’avvento di una nuova società ispirata dalla religione, con la quale quelli si renderanno solidali quelli che sono stati esclusi dalla vita civica (le periferie ghetto), dalla vita sociale (i precari) e dalla vita civile (i clandestini, sic!!). In questo ambiente locale, non è più sufficiente preparare delle azioni mediatiche come gli attentati mirati. Quello a cui si deve mirare è l’instaurazione di un terrorismo di prossimità, così come l’aveva ordinato il 22 settembre del 2014 il porta parola dell’ISIS. Abu Mohamed al Adnani (1977-2016), ribattezzato il “ministro degli attentati”, prima di essere eliminato in Siria il 30 agosto del 2016.: “Se voi non siete in grado di recuperare degli ordigni esplosivi o munizioni, allora isolate l’Americano infedele, il Francese infedele o qualsiasi altro dei suoi alleati. Schiacciategli la testa a colpi di pietra, uccidetelo con un coltello, investitelo con la vostra vettura (vanno benissimo anche gli … autotreni), gettatelo nel vuoto, soffocatelo, affogatelo o avvelenatelo”. Si può ora capire l’impatto che queste dichiarazioni e la predicazione salafita hanno avuto sulla gioventù mussulmana, ma anche su giovani che, pur estranei alla religione (ma sensibili alle rivendicazioni sociali), hanno trovato in questa prospettiva uno sfogo al loro senso di rivolta ed alla loro rabbia. Si capisce parimenti perché le istituzioni occidentali risultino disarmate di fronte alla opacità di tali circuiti, alla moltiplicazione delle cellule e siano incapaci di controllare una economia informale che, nazionale ed internazionale, rappresenta oggi quasi un quarto degli scambi e delle transazioni dell’economia mondiale.

NOTE

(1) Arār al-Shām o Hakarat Ahar al Sham, che significa Uomini liberi della Grande Siria è un gruppo islamista siriano che raduna varie formazioni minori d'impronta ideologica islamista e salafiti.

(2) Al Qaeda nella Penisola Arabica. Désignata a partire dal 2011 con il nome di Ansar al-Sharia per le sue attività nello Yemen. La cellula e' tuttavia nata ufficialmente nel 2009 dalla fusione delle correnti qaediste yemenite e saudite. E’ una organizzazione terroristica islamista, di ideologia salafista jihadista, attiva particolarmente nello Yemen ed in Arabia Saudita e con forti influenze anche in Europa.

(3) Al Qaeda nel Maghreb Islamico. è un gruppo terrorista jihadista, attivo nell'area sahariana e saheliana. Fino al 2005 era noto come Gruppo salafista per la predicazione e il combattimento, GSPC e da quella data si è affiliato ad Al Qaeda. Dal 2012, è diventato attore non secondario nella guerra civile che in Mali ha portato alla dichiarazione dell'indipendenza del settentrione di quel paese (Azawad), abitato prevalentemente dalla componente tuareg. Nel 2016, insieme ad al-Murabitun, al-Qāida nel Maghreb islamico si rende protagonista di un attentato a Ouagadougou contro un ristorante e un hotel, provocando 30 morti, e di un attentato in Costa d'Avorio contro dei resort e delle spiagge frequentati da turisti occidentali, provocando 18 morti.

(4) Shorba: è un piatto di origine algerina, una tipica zuppa a base di carne di montone o agnello con legumi, ortaggi e verdure.


 

 

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