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CHI E’ SENZA PECCATO? Un’opera coraggiosa che affronta un tema scabroso: la pedofilia nella Chiesa. 16/01/2018 - Cinzia Ceriani (Montecchio Maggiore VI) Trattare l’argomento di questo libro non è stata di certo una cosa semplice per l’Autrice. Tanto più che la stessa ha scelto di farlo con tatto e delicatezza, tenuto conto della particolarità dei fatti narrati. E, posso scommetterci, alcuni arricceranno il naso, altri non mostreranno emozioni, altri neanche lo leggeranno, preferendo comportarsi come gli struzzi, sotterrando la testa sotto la sabbia, per non sapere, per non vedere, per non sentire. Altri ancora etichetteranno romanzo ed Autrice con giudizi e appellativi di comodo secondo le loro convinzioni. In effetti questo libro tratta questioni fastidiose, anche dal punto di vista ideologico oltre che sociale e religioso, ed è facile che vincano l’ipocrisia e l’ignoranza. La Chiesa soffre purtroppo di tanti mali: i difetti antichi del potere temporale, la gestione di ingenti somme di danaro, spesso di dubbia provenienza e in alcuni casi, divenuti misteri permanenti, anche la violenza. Infine, a quanto pare da sempre, la pedofilia. Ciascuno di questi mali associato al termine Chiesa configura nell’immaginario collettivo una teoria di fenomeni dicotomici: per ognuno di essi lo stesso corpo, la Chiesa e di volta in volta una delle tante “teste” che caratterizzano le immagini negative. Ebbene, la friulana Paola Totis, con l’opera Chi è senza peccato? (Editrice Giorgione, pp. 185), si incarica di far luce sul particolare aspetto negativo della pedofilia nella Chiesa, fenomeno che ha modificato la visione pubblica della realtà ecclesiale. E’ vero, in TV e sui giornali si parla spesso di questi argomenti ogni volta che si affaccia alla ribalta dell’informazione un nuovo episodio di questa triste storia. Ma è evidente che i media non approfondiscano le storie come si dovrebbe e come invece ha fatto Paola Totis nel suo libro. In effetti c’è ancora molta reticenza a parlare di questi argomenti liberamente e spesso si fa fatica a trovare spazi e opportunità per farlo. Personalmente ho apprezzato il fatto che l’A. abbia scelto la forma del romanzo per trattare l’argomento, piuttosto che fossilizzarsi nella routine del saggio o dell’inchiesta giornalistica. Ne è scaturita un’opera dal linguaggio leggero, scorrevole, che si legge facilmente e che pertanto risulta vicina al lettore, persino a coloro che normalmente sono restii a praticare la lettura come mezzo di conoscenza e di accrescimento. Il mio parere sull’opera è assolutamente positivo, ma a margine, per onestà professionale, desidero esternare un mio desiderio: mi sarebbe piaciuto che fossero state approfondite le conseguenze psicologiche, piuttosto che quelle materiali sofferte dalle tre protagoniste dei fatti narrati, protrattisi per anni, vittime ormai adulte di un sacerdote “pedofilo”. Infatti, pur nella ricchezza delle descrizioni, secondo me sarebbe risultato avvincente un linguaggio più ricco di considerazioni e approfondimenti tali da coinvolgere il lettore fino a colpirlo al cuore e farlo riflettere. Insomma, la terminologia utilizzata e l’organizzazione narrativa, peraltro alquanto blanda, offrono più che altro un quadro di “semplicità” discorsiva, limitate come sono al mero racconto del disagio in sé, senza quegli approfondimenti morali, sociologici ed etici che avrebbero forse influito magistralmente nella classificazione dell’opera. Considero comunque positivo il fatto che l’A. abbia inserito nell’opera nozioni storiche ed aspetti religiosi, tali da facilitare la conoscenza degli ambienti e dei luoghi, quelli vicentini, nei quali è maturata la vicenda oggetto della narrazione.
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