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Ultime dall’Africa Orientale

UNA LIBIA … ANZI DUE … MASSIMO IACOPI ESAMINA LA SITUAZIONE

L’Italia deve agire con decisione strategica per evitare di cadere nel tranello Francese.


12/02/2019 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

L’intervento franco-NATO del 2011 ha distrutto il fragile consenso istituzionale libico, duramente e pazientemente edificato dal colonnello Kaddhafi. Poiché esso si basava sull’equilibrio fra le tribù e le confederazioni tribali, la sua distruzione è risultata molto più grave, proprio perché la costante storico-politica della Libia è stata sempre la debolezza del potere centrale rispetto alle tribù e la tendenza al frazionamento in aree autonome. Oggi, nei fatti, a voler grossolanamente semplificare le cose, esiste una Libia spaccata in due e quindi almeno due Libie in ciascuna delle quali la situazione risulta decisamente diversa:

In Cirenaica, dove il generale Khalifa Haftar è riuscito, per il momento, ad imporre un inizio di autorità dopo aver eliminato quelle delle milizie che non gli si erano sottomesse (1).

In Tripolitania, dove due forze principali cercano di “aggregare” una miriade di forze secondarie che cercano di emergere dal caos: la prima, trincerata a Tripoli intorno alla figura di Fayez el Sarraj, capo del Governo di Unione Nazionale (GUN), costituito il 19 gennaio 2016, sotto la pressione dell’ONU; la seconda che, invece, controlla Misurata, dove si oppongono diverse correnti politico religiose.

Una Cirenaica, forse in un processo di ricomposizione

In Cirenaica, all’indomani della guerra del 2011, tre gruppi principali risultavano dominare l’area. La Brigata dei Martiri del 17 febbraio e la Brigata Raf Allah el-Chahati risultavano basate a Bengasi, mentre la Brigata dei Martiri di Abu Slim, composta da islamisti radicali, risultava dominare il feudo di Derna (Darnah). Tutte e tre sono state eliminate dopo duri combattimenti dal generale Haftar, con l’aperto appoggio dell’Egitto ed il generale ha, successivamente, assunto il controllo del “crescente” petrolifero della Cirenaica, con i terminali di Ras Lanuf e di Brega.

La posizione del “Signore della Cirenaica” non risulta tuttavia così solida come potrebbe  sembrare. La sua salute, dopo che l’AVC o ictus l’ha colpito nel mese di aprile 2018 e dopo che è stato costretto a farsi ricoverare in un ospedale a Parigi, appare fragile. Per di più, il suo esercito, l’Esercito Nazionale Libico (E.N.L.), non costituisce una struttura monolitica. In effetti, attorno ad un nucleo militare si sono opportunisticamente aggregate alcune milizie e qualcuna di queste, di orientamento salafista, potrebbe riprendere la sua autonomia in caso di scomparsa o di indebolimento del potere del generale.

Una Tripolitania, in totale anarchia

In Tripolitania, la realtà del potere viene esercitata da una miriade di milizie. Al momento, quelle di Misurata e di Tripoli, di orientamento salafista, super armate ed equipaggiate dal Qatar e dalla Turchia, sono sotto il tirp di quelle di Zenten e di Tahruna, località poste a sud, nei pressi dell’altipiano tripolino. Nel 2016, a Tripoli, quattro milizie: il Battaglione dei Rivoluzionari di Tripoli, la Ghaniwa, la Nawasi e la Rada, costituiscono un’alleanza destinata a sostenere il Governo di Unità Nazionale (GUN). Queste milizie, assumeranno in seguito il controllo della città, captando a loro vantaggio le risorse dello stato, attraverso un sistema di tipo mafioso. Di fronte ad esse, nonostante le loro opposizioni interne religiose, politiche e tribali, le milizie escluse, che si sono raggruppate in una coalizione eterogenea. Il suo nòcciolo duro è rappresentato dalla VII Brigata, originaria della città di Tarhuna. Essa riunisce al suo interno gruppi di seguaci di Kaddhafi ed ha ricevuto il rinforzo di elementi provenienti da Misurata. Nel mese di agosto 2018 questa coalizione ha lanciato un attacco su Tripoli. Sempre alla fine del mese di agosto una forza composta di milizie giunte da Misurata e da Zenten, come anche di partigiani locali e regionali del generale Haftar, ha, a sua volta, attaccato Tripoli. Agli inizi del mese di settembre 2018, di fronte ad una situazione conflittuale completamente confusa, la “Comunità internazionale” ha cercato di imporre un “cessate il fuoco” sulle posizioni del momento, una proposta del tutto irreale, in quanto lo scopo degli attaccanti non è rappresentato dalla fine delle ostilità, ma da una nuova suddivisione delle risorse dello stato a loro favore. La situazione risulta, dunque, senza uscite durevoli, almeno a medio termine, in quanto a Tripoli e nella regione, il potere si è frammentato in una miriade di autorità locali e di loro vassalli. Misurata, la terza città della Libia con i suoi 400 mila abitanti, rappresenta una delle chiavi di volta della crisi libica. Questa ricca e potente città, posta ad est della Tripolitania risulta, storicamente, culturalmente, religiosamente, politicamente e militarmente, orientata verso la Turchia. Si stima che la sua popolazione sia rappresentata da circa un terzo di Kulughli (meticci di Turchi e di donne indigene). Nel 2012, alla fine della guerra civile, Misurata contava diverse decine di migliaia di uomini armati, raggruppati in brigate, che potevano disporre di blindati, di artiglieria e di veicoli equipaggiati con mitragliatrici pesanti. Oggi, le due principali milizie di Misurata sono: el Halbus, forte di 6 mila uomini ed el Mahjub, che, da parte sua, riunisce circa duemila uomini, senza contare i riservisti che consentono di raddoppiare, se non triplicare, gli effettivi. Anticipando le loro possibili iniziative, a Misurata si è costituito un Blocco Volontà Nazionale, attorno alla figura del vecchio ministro islamista degli Interni, Fawzi Abdelalì il quale, fra i suoi orientamenti, ha quello di rifiutare qualsiasi avvicinamento con il generale Haftar. La costante politica di Misurata è rappresentata dalla sua volontà di dominare la Tripolitania, solidamente sostenuta dalla Turchia. Essa gioca un ruolo personale ed indipendente che si esprime attraverso il siluramento sistematico di qualsiasi tentativo di costruire un potere tripolino che, evidentemente, non è più in grado di controllare. Misurata risulta oggi indebolita militarmente, in quanto le sue forze hanno subìto gravi perdite nel 2016, nella battaglia della Sirte. La conquista di questa enclave dello Stato islamico gli è costata 700 morti e non meno di tremila feriti. Spossata da questo sforzo, non è stata in condizioni di opporsi al generale Haftar ol quale ne ha approfittato per conquistare i terminali petroliferi e completare il controllo del “crescente petrolifero” libico. Costretta ormai a compromessi, Misurata ha operato un avvicinamento di circostanza con il Consiglio Militare di Zenten, che riunisce le brigate della città e quelle del Djebel Nefusa.

Ma c’è anche il Fezzan

La terza grande regione della Libia, il Fezzan, conosce, a sua volta, una situazione conflittuale, in quanto i Tuareg ed i Tubus o Tebu, i suoi due principali gruppi etnici, hanno costituito due alleanze opposte. Quella costituita attorno ai Tubus risulterebbe sostenuta dalle forze del generale Haftar e dalle tribù filo Kaddhafi (Kadhafa e Magarha) ed é appoggiata ed armata dagli Emirati Arabi. La seconda alleanza dell’area, riunisce i Tuareg, gli Arabi di Awlad Suleyman, che è appoggiata dalle milizie di Misurata e di Tripoli. Equipaggiata dal Qatar e dalla Turchia, la coalizione risulta anche godere del sostegno dell’Algeria. Nella regione si registrano, peraltro, scontri quasi permanenti fra Tubus e Awlad Suleyman. Negli ultimi tempi le alleanze sembrano essersi rovesciate e notizie recenti riferiscono di una avanzata delle forze di Haftar nel Fezzan, con il consenso della missione dell’ONU (UNSMIL) e con l’appoggio (rilevante, ma discreto) delle forze aeree francesi di stanza a N’jamena nel  Ciad. Haftar sembrerebbe essere riuscito ad assumere il controllo di Sebha, la capitale del Fezzan, con la scusa ufficiale di “lottare contro il terrorismo”, ma con lo scopo non dichiarato di conquistare gli ultimi pozzi petroliferi ancora non in mano al signore di Bengasi, che sono poi i pozzi di Sharara, gestiti dall’ENI, la cui capacità produttiva è di circa 300 mila barili al giorno. La Francia ha eseguito dei raid aerei nella zona, con la scusa di proteggere il Ciad dalle minacce delle milizie ribelli antigovernative che operano alla frontiera con la Libia, ma è evidente che ha operato in stretto coordinamento con Haftar e con il Ciad. Inoltre, la manovra di Haftar sembra effettivamente mirare anche all’aggiramento della Tripolitania da sud; ipotesi confermata dall’attacco terrestre ed aereo di probabile mano francese, registrato all’aeroporto di El Feel, nei pressi del confine algerino, dove si trova anche un pozzo petrolifero che produce settantamila barili al giorno.

Quale soluzione politica??

Il 29 maggio 2018, cercando di anticipare le iniziative ONU e italiane ed allo scopo di consolidare le sue posizioni nella regione, il presidente francese Emanuel Macron ha riunito a Parigi un vertice al quale hanno partecipato Al Sarraj, Khalifa Haftar, Aghela Saleh, Presidente della Camera dei Rappresentati rifugiatasi a Tobruk e Khaled Mishri Presidente dell’Alto Consiglio di Stato con sede a Tripoli. All’incontro non sono state invitate le tribù di Tripolitania e del Fezzan, che sono le sole vere forze politiche esistenti nella zona. Quanto ai rappresentanti di Misurata, essi sono stati parzialmente esclusi dalla riunione. Per di più, mentre non sembra al momento ipotizzabile alcuna soluzione durevole, almeno sino a quando non saranno distrutte le milizie islamico mafiose, che si spartiscono la Tripolitania. La sola soluzione proposta dalla Francia, che nell’attuale confusione libica appare altamente surrealista, è stata quella di una agenda elettorale. Intanto l’ONU ha ribadito che la responsabilità per la ricerca di una soluzione pacifica deve essere di competenza italiana. E questo rappresenta uno smacco inaspettato per la Francia. Quanto alle supposte elezioni auspicate dai Francesi, rimandate a data da destinarsi, esse non arriveranno certamente a risolvere le questioni lasciate aperte da quelle programmate a  luglio 2012 ed a febbraio 2014 che non hanno potuto avere seguito. Ma, nei fatti, come si potrebbero organizzare elezioni libere in un paese così frammentato? Se, al limite, si potesse ipotizzare una tornata elettorale in Cirenaica, regione tenuta dal generale Haftar, la stessa cosa non si potrebbe realizzare in Tripolitania o nel Fezzan, dove il potere risulta saldamente nelle mani delle milizie. Il primo ministro del GUN, Fayez al Sarraj, che non controlla, né la Tripolitania né Tripoli, sembra sia  persino costretto a delegare la propria sicurezza alla milizia Rada, diretta da Abderrauf Kara, un salafista radicale finanziato dall’Arabia Saudita. E’ dunque su questa milizia fondamentalista, che conta solo qualche centinaio di uomini, che si basa la sopravvivenza di questa “commedia” di governo che è il GUN. Governo che alcuni governanti transalpini in completa malafede vorrebbero impegnato nell’organizzazione di libere elezioni. Personalmente ritengo che sia venuto il tempo per l’Italia di riesaminare le scelte effettuate in precedenza, forse non del tutto produttive, e di riconsiderare un eventuale intervento in un quadro strategico più realistico ed aderente alla situazione, avendo soprattutto cura di evitare malintesi con l’Egitto di Al Sisi, con riferimento ad altre questioni dai “contorni poco chiari” che poco hanno a che fare con la Realpolitik.

NOTA

(1) Durante la guerra civile libica del 2011 si sono costituiti numerosi gruppi combattenti sostenuti dalla Francia di Sarkozy e rappresentati da Brigate (Katiba o Kathaib) secondo la terminologia britannica o da Milizie nel linguaggio corrente.


 

 

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