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Scenario della transizione
LA POLITICA ITALIANA
Da ragazzi si è come immortali, si guarda e si ride. Non si sa quello che costa.
Jan 10 2000 12:00AM -
(Rieti)
Dai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese: Da ragazzi si è come immortali, si guarda e si ride. Non si sa quello che costa. Non si sa la fatica e il rimpianto. Si combatte per gioco e ci si butta a terra morti. Poi si ride e si torna a giocare. La politica italiana sta precipitando in un vortice il cui epilogo non é poi del tutto inimmaginabile. Esaminiamo gli attuali scenari in cui si muovono la politica e l’economia nel nostro paese e poi proviamo a fare alcune ipotesi su quello che potrà essere il nostro futuro prossimo venturo.
Tangentopoli atto primo, quindi disfacimento della intera classe politica dirigente; avvento delle destre, scelte sbagliate, carenze di concertazione, attacchi giocati sui fronti delle carriere dei giudici, sul progetto di colpo di spugna e sulle pensioni ed infine rottura con Bossi e caduta del Governo Berlusconi; poi tira e molla con Scalfaro, Governo Dini cosiddetto dei tecnici, nuove elezioni, calcoli, alleanze e scelte sbagliate delle destre ed avvento delle sinistre, sia pure con il concorso dello scomodo Bertinotti; quindi sequela di promesse dei nuovi governanti, specchietti per le allodole come proposta di potre dare ai figli il cognome della madre, ripristino del latino alle Medie, liquidazione del liceo classico; ma ad occupare quasi per intero la scena, il secessionismo di Bossi, i proclami della Lega del 15 settembre, il balletto sul numero dei partecipanti e la perquisizione della sede della Lega con relativo martirio di Maroni; infine la cannonata di “Tangentopoli atto secondo” con strascico di sospetti sul Pool di Milano, su Di Pietro e Nomisma (Prodi). Intanto il Governo, tra flebili smentite, inconsistenti dichiarazioni e ridicole rassicurazioni, prepara una legge finanziaria (da 32 o 60 milioni di lire, non si sa) che dovrebbe portarci in Europa ma che sotto il ricatto di Bertinotti su sanità e pensioni non ci porterà da nessuna parte, anzi continuerà a sprofondarci verso la recessione (la questione Olivetti è uno dei primi capitoli). Tra le voci di spesa che hanno portato il debito pubblico al baratro attuale, quella delle pensioni di invalidità (facili) è uno degli argomenti chiave per spiegare, se ce n’era bisogno, come è stato gestito il danaro pubblico negli ultimi 20/30 anni.
La situazione economica interna denuncia, già da qualche anno, i sintomi di un malessere sempre più grave ed irreversibile le cui componenti possono riassumersi in: aumento indiscriminato del costo del lavoro, inesistenza di concorrenza, scarsa credibilità dei Paesi che sfruttano il basso costo della lira per importare prodotti ad alta tecnologia, Borsa in preda ad irrefrenabili sussulti e a non sopiti terremoti, movimentata da una lotta senza quartiere tra poteri cosiddetti “forti”, e poteri più o meno “occulti”. Quanto all’immagine offerta ai Paesi amici, si tratta ormai di una foto, logorata dai troppi maquillages, impolverata, graffiata e scolorita. Sappiamo bene che all’Estero, grazie anche alla grande stampa nostrana, è divenuto sentimento comune che l’Italia sia un paese inaffidabile e ingovernabile, popolato da borseggiatori, truffatori, mafiosi, sequestratori, soppressori di neonati, ecc., incapace di arginare l’invasione degli extra comunitari, impotente ad impedirne l’organizzazione in bande per lo sfruttamento della prostituzione, il commercio di droga e lo sfruttamento del lavoro minorile, incline allo sciopero dei trasporti, specie nel periodo estivo, delle Poste, della scuola, degli ospedali e persino della Polizia.
A completare l’immagine, un Meridione sporco e ingovernabile, “dotato” di strutture e servizi pubblici da Terzo Mondo, incapace di gestire, tranne rari casi, l’industria e l’agricoltura secondo modelli nordeuropei, lento ad assimilare una visione dei rapporti sociali basata sul rispetto reciproco dei diritti.
Siamo, in effetti, un popolo che irride alla efficienza mitteleuropea, se ne frega della concezione francese di Patria, sorride dell’impostazione anglosassone della democrazia e della giustizia ed a cui la tradizionale perfezione svizzera fa venire in mente le barzellette e che si guarda bene dall’introdurre soluzioni europee pur se sperimentate con successo negli altri Stati.
Più appropriatamente, l’immagine che in questi ultimi anni abbiamo dato di noi non è certo quella di un paese serio, pur con i distinguo in favore di quella cospicua parte di cittadini che continua a credere nel lavoro e nel risparmio e che è ancora capace di rischiare risorse per finanziare uno Stato sprecone, non in grado di ridurre la spesa pubblica drasticamente (a questo doveva servire il governo tecnico, non certo per inventare nuove tasse).
A tal proposito direi che è giunto il momento di usare il bisturi, oltre che per bonificare i vertici corrotti, anche per ridurre finalmente la spesa pubblica a cominciare dai privilegi. Bisogna fermare le auto blu, ridurre i contratti telefonici all’essenziale, azzerare lo straordinario, licenziare e riqualificare i fannulloni, controllare i consumi, chiedere produttività ai dipendenti, senza dover per forza dare la caccia alle streghe, ma con una autorevole gestione del personale e delle risorse che non deve permettere deroghe, né assicurare privilegi neanche a chi questa autorevolezza è destinato ad esercitare.
C’è da fare anche un discorso sulla sicurezza del Paese, che ultimamente è diventata un problema irrisolvibile, specie al Sud. I tagli alla sicurezza nelle previsioni in bilancio sono diventati un’abitudine inevitabile. La riduzione a 10 mesi della leva, più che creare risparmio, a conti fatti è stata causa di un aumento della spesa. Le risorse destinate alla difesa vengono sempre più assottigliate, erose dalla svalutazione, destinate in buona parte a finanziare gli adeguamenti stipendiali che fanno seguito ai provvedimenti migliorativi; non ultimo quello sulla riforma dei ruoli dei sottufficiali.
L’organizzazione dei servizi di sicurezza diventa sempre più problematica. Il prof. Derita, in una sua recente relazione, ha ben descritto la minaccia che incombe sul Paese da parte di una certa Magistratura che tende ad orientare le attività di polizia e dei servizi segreti verso una paralisi della politica, della funzione legislativa e del potere esecutivo.
Le frontiere sono diventate un colabrodo, specie quella ionica, ma direi anche quella siciliana davanti a Tunisi e, più di quanto si pensi, la zona di frontiera intorno a Trieste.
La legge Martelli è inadeguata e resta pressoché elusa. La sanatoria non ha prodotto grandi esodi, né cospicue regolarizzazioni. Il volersi tenere in “casa” irregolari e clandestini per non essere tacciati di razzismo è un fatto che fa a cazzotti con il diktat europeo che, come se non bastassero le bocciature degli economisti inglesi, tedeschi ed americani, ci ha già etichettato come partner inaffidabili al punto che i passeggeri provenienti dall’Italia sono considerati tutti extracomunitari e sottoposti ai più rigorosi controlli, a differenza di quelli provenienti dagli altri Stati Europei che godono già da tempo del privilegio di circolare in Europa come liberi cittadini. Di questo dovremmo almeno vergognarci. Ma quel che più deve far paura, sono quelle migliaia di Islamici provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa che si sono ormai insediati in modo organico sul territorio e che rappresentano un vero pericolo per la sicurezza del Paese.
Si vanno poi sviluppando bande di Albanesi e di individui di altre etnie dell’Europa dell’Est che il disequilibrio mondiale e la proverbiale dabbenaggine di casa nostra ci procurano, con un’alta probabilità che costoro, prima o poi, possano evolvere la loro potenziale tendenza al crimine, passando a gestire i sequestri di persona a scopo estorsivo, emulando le “scuole” sarda e calabrese.
Gli episodi francesi dei “sans papier” barricati nelle chiese indicano come la Chiesa tenda a schierarsi a fianco di questi derelitti giustificando l’invasione delle nazioni e condannando ogni iniziativa volta a limitare o regolamentare l’ingresso dei clandestini.
Infine, potere di acquisto della lira, inflazione, debito pubblico, tutti argomenti che vanno di pari passo con la recessione economica e industriale, con l’aumento della disoccupazione e con la pressoché inesistente offerta di posti di lavoro per i giovani le cui famiglie sono ormai rassegnate a dover provvedere alle loro necessità “a vita” e comunque fin oltre i quarant’anni di età.
In questa situazione i maggiori responsabili dei destini degl’Italiani continuano a prodursi in un altalenante battibecco su ciò che è meglio o peggio per il futuro dell’economia, su quale possa essere la migliore politica di governo del Paese e su ciò che ci convenga fare per entrare in Europa.
E’ possibile che si debba continuare in questo modo? E per quanto tempo ancora?
Sono convinto che il problema italiano sia in fondo di facile soluzione e non è da escludere che alla fine si risolverà per naturale evoluzione storica.
Ma intanto, quali sono i problemi urgenti che ci affliggono? Da una parte debito pubblico, inflazione, disoccupazione, industria ed economia prive di incentivi; dall’altra corruzione, ordine pubblico, strapotere dei giudici, minacce di secessione, maggioranze parlamentari risicate, ingresso in Europa sempre più problematico, impianto costituzionale da rimodernare. Le soluzioni, pur con i tempi e le priorità fisiologicamente necessari, non possono ancora rimanere a margine del dibattito politico. Sembra che tutti sappiano di cosa abbiamo bisogno, ma nessuno ha il coraggio di venire allo scoperto.
E’ molto diffusa la paura di diventare impopolari. E intanto il cerino si consuma.
Si ha paura dell’ “inciucio” governativo di emergenza. Mentre i Cileni, per neutralizzare le gerarchie militari dopo Pinochet, fecero qualcosa di simile che ancora regge e che chiamarono “concertazion”.
Se non ci sono soluzioni migliori, perché non si fa almeno una prova? Magari escludendo dalla “concertazion” i vari Bertinotti, Cossutta, Rauti e tutte le frange poco affidabili e poco credibili in fato di democrazia.
I punti di convergenza non sono difficili da individuare. Abbiamo bisogno di una legge finanziaria rigorosa che attinga principalmente agli sprechi ed ai privilegi, ma che incida in modo fermo e definitivo sulla spesa sanitaria e sulle pensioni.
E’ necessario promulgare al più presto una legge sulla separazione delle carriere dei giudici e sul loro codice di comportamento; gli organi giudicanti e le sanzioni sono da ridisegnare con criteri e soluzioni da attingere alla politica pura e non alla politica inquinata dalle manovre corporative; è necessaria una legge che fissi attribuzioni, termini e procedure rigorosi per contrarre la durata dei processi e delineare i limiti entro cui deve operare il giudice e le responsabilità di cui deve essergli fatto carico.
A monte di tutto ciò vedo positivamente il lavoro di una Commissione d’inchiesta su Tangentopoli, innanzitutto come elemento di chiarezza ed infine come strumento di vera pacificazione tra le forze politiche. Dal lavoro di tale Commissione dovrebbero poi scaturire i criteri per impedire il ripetersi del fenomeno della corruzione e per tentare una sanatoria che non sia un “colpo di spugna”.
Quindi una sanatoria che preveda, si, condoni e riabilitazioni, ma anche pene, sospensione dalle funzioni pubbliche, restituzione delle somme, termini per l’autodenuncia. Dovrebbe essere in sostanza vagliato il lavoro svolto da politici e funzionari per giungere alla rivalutazione degli apparati non corrotti ed all’estromissione di chi ha concorso a radicare il deprecabile fenomeno della corruzione e delle tangenti.
Ma io andrei oltre. Se si vuole dare al Paese un segnale di vera svolta, è necessario dare attuazione alla legge sul Difensore Civico, ampliandone le prerogative ed estendendone la competenza a tutte quelle strutture che in passato hanno consentito il realizzarsi del fenomeno Tangentopoli. Perché é necessario capire che esiste anche una corruzione che è preceduta da tutta una serie di comportamenti (lungaggini, omissioni, ritardi, difficoltà) che ingenerano nel Cittadino la convinzione che il suo bisogno non potrà essere risolto se non con una disponibilità ad elargire compensi sottobanco a chi si adopererà (ma sarà poi vero che si adopererà?) per la soluzione delle problematiche.
Infine bisogna mettere mano alle modifiche costituzionali: presidenzialismo o cancellierato, sistema maggioritario o proporzionale, decentramento o federalismo, finanziamento ai partiti e finanziamento dei sindacati, personalità giuridica dei partiti e delle organizzazioni sindacali.
Sono questi i nodi scottanti sui quali avviare il confronto, con l’impegno di dare un volto nuovo a questo Paese che ha le potenzialità per divenire trainante nell’economia europea.
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