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RIPORTARE LA PACE IN SOMALIA : IMPRESA IMPOSSIBILE Il Fallimento degli Organismi Internazionali 13/03/2019 - Massimo Iacopi (Assisi PG) Mentre il paese ha subito nell’ottobre 2017 uno fra gli attentati più sanguinosi al mondo degli ultimi dieci anni (più di 500 persone e più di 300 feriti), la Somalia continua ad attraversare una crisi politica ininterrotta dal 1991. Eppure, mentre nel 1990 essa attirava l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, uomini politici e opinionisti oggi si stanno allontanando da questo “stato fallito” fra i più poveri e più violenti del mondo. Ma non certo perché le cose stanno andando meglio. Lo stato somalo è il risultato di un doppio processo di decolonizzazione, britannico ed italiano, nel 1960. La Repubblica della Somalia ha conosciuto una parvenza di stabilità sotto la dittatura del generale Mohamed Siad Barre (1919-1995; al potere dal 1969 al 1991), che ha saputo manipolare abilmente il gioco politico della guerra fredda per attirarsi i favori dell’URSS, quindi quelli degli USA. La riduzione degli aiuti economici americani alla fine degli anni 1980, coniugati con la fallita invasione della regione etiopica dell’Ogaden, determinano la caduta di Siad Barre nel 1991. Ne segue una guerra civile ancora oggi in corso fra lo Stato e le diverse entità separatiste, inizia menti legate ai clan o alle tribù e successivamente Jihadiste. Somalia, uno Stato che si è frammentato. La Somalia risulta oggi “tirata” da molte forze politiche di natura diversa. Al centro di tutto lo Stato centrale, diretto dal presidente Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo (1962- ), eletto nel febbraio 2017. Questo risulta in conflitto con il sud del paese, con diversi gruppi jihadisti fra i quali Harakat Al-Shabaab al Mujahiddin (1), affiliato ad Al Qaida. Nel nord el paese si trovano due regioni con ambizioni distinte: il Somaliland, la cui indipendenza è stata proclamata nel 1991, ma che non riconosciuto ufficialmente dalla Comunità internazionale ed il Puntland, che si è dichiarato “autonomo” nel 1998. La questione del Somaliland, risulta la più complessa. Storicamente, mentre il resto del paese era stato colonizzato dall’Italia, il Somaliland E stato sotto il protettorato britannico fra il 1888 ed il 1960. A seguito della decolonizzazione, l’unificazione del paese dura una ventina di anni e sarà proprio un conflitto fra i separatisti del Somaliland e le forze del generale Mohamed Siad Barre che provoca l’inizio di una guerra civile nel 988 fino alla sua caduta. A differenza del Somaliland, il Puntland non vuole l’indipendenza, ma aspira a maggiore autonomia. Dal 2016 la Somalia è diventata, d’altronde, uno Stato federale, aderendo alle attese del Puntland: il paese ha adottato una nuova costituzione e messo in opera un sistema di suffragio universale per le sue elezioni. Se il Puntland, come il resto del paese, viene regolarmente “mirato” dai jihadisti somali, il Somaliland è riuscito ad allontanare la minaccia terrorista insediando un governo stabile. Il resto del paese è risultato in preda a carestie ripetute (2) ed alla pirateria sulle coste, che hanno indebolito uno Stato incapace di rispondere a queste crisi, nonostante gli aiuti internazionali, e consentendo ai vari attori separatisti e jihadisti di far valere la loro legittimità. Se la comunità internazionale, attiva in Somalia dal 1991, sostiene l’idea di una stato unificato, essa non si oppone al movimento locale del Somaliland nella speranza di veder sorgere un dialogo politico interno. Storia di un fallimento internazionale L’ONU privilegia oggi la messa in opera di missioni militari africane piuttosto che l’invio di truppe ONU ed occidentali. Questa decisione è il risultato del fallimento dell’intervento che ah avuto luogo fra il 1992 2d il 1995 sul suolo somalo. Queste missioni ONU si sono svolte in un contesto esplosivo dopo la caduta del generale Siad Barre. Mentre il Somaliland ed il Puntland dichiarano la loro secessione, il sud del paese si solleva agli ordini del genero di Siad Barre contro il nuovo governo di Mogadiscio. I diversi conflitti, provocheranno allora la morte di 50 mila persone e scateneranno una carestia ancora più rovinosa. La prima missione dell’ONU (ONUSOM) fallisce nel 1992 nell’organizzare un cessate il fuoco fra le differenti fazioni del paese. Il ruolo degli USA, alla fine dello stesso anno diventa preponderante. In effetti la nuova amministrazione Clinton propone all’ONU, nel novembre 1992, la missione rinforzata “Restore Hope” ed invia circa 25 mila uomini sul luogo. Una prima fase che ha successo, poiché nel marzo 1993 viene constatata una sensibile diminuzione dei combattimenti. La seconda fase inizia due mesi più tardi con una crescente tensione a Mogadiscio, causata specialmente dai ribelli dell’SNA (Alleanza Nazionale Somala), con alla testa il generale Mohamed Farah Aidid (1934-1996). Dal maggio all’ottobre 1993, le forze americane si concentrano nella eliminazione di questo gruppo e del suo capo. E’ a partire dall’estate del 1993 che il fallimento americano ed internazionale inizia a configurarsi. Nonostante una presenza militare massiccia che scoglia i diversi belligeranti somali a fare ricorso alla violenza, la missione ONUSOM conserva una vocazione principalmente umanitaria. Il 12 luglio 1993, elicotteri americani bombardano diversi immobili ed uccidono diversi civili somali. In risposta, nello stesso giorno, vengono assassinati quattro giornalisti da parte della popolazione (3). Questa evento combina allo stesso tempo “un errore morale” per aver indirettamente causato la morte dei 4 giornalisti ed un errore giuridico, poiché il comando americano aveva oltrepassato il contesto della missione fissata dall’ONU. Questa situazione renderà fragile la legittimità dell’intervento americano nel paese. Il colpo di grazia avrà luogo il 3 e 4 ottobre 1993 in occasione della battaglia di Mogadiscio, la cui storia è stata in seguito resa popolare dal romanzo, e quindi film di Ridley Scott, la Caduta del Falcone nero (Black Hawk down) del 2001. Questa battaglia è scoppiata per iniziativa delle forze americane ed aveva per obiettivo la cattura del generale Aidid. L’operazione si conclude con la morte di 19 soldati americani e diverse centinaia di somali, militari e civili, senza riuscire a mettere le mani sul generale somalo. Due giorni più tardi, il 6 ottobre, Bill Clinton (1946- ) annuncia la fine dell’operazione ed il suo fallimento. La missione UNOSOM II terminerà nel marzo 1995, senza peraltro riuscire a mettere un termine alla guerra civile. Questo fallimento porta, allo stesso tempo la firma americana ed internazionale e produce, come conseguenza il disinteresse globale dell’Occidente per la Somalia, dalla metà degli anni 1990 fino a praticamente oggi. Questo fatto può certamente essere spiegato con la mancanza di interesse politico-economico di questa regione (a differenza del Medio Oriente) e forse anche per la complessità di questo paese, che noi Occidentali troviamo difficoltà ad analizzare correttamente. Avvenimenti dopo la fine della missione UNOSOM Gli sforzi diplomatici successivi alla missione portano all'Accordo fra ventisei fazioni (1997; fra i Signori della guerra ), alla Conferenza di pace di Gibuti (2000), alla Conferenza di pace di Mbagathi (2002) e alla Conferenza di pace in Kenya (2004). Nel dettaglio, i signori della guerra si accordano per formare il governo federale di transizione, con presidente ad interim Abdullahi Yusuf Ahmed (1934-2012) e capo del governo Ali Mohamed Ghedi (1952- ). Tuttavia di fatto ogni signore della guerra continua a governare il proprio feudo in modo indipendente dal governo transitorio, mentre nel vuoto di potere causato da quindici anni di guerra civile aumenta il controllo del territorio da parte del movimento delle Unione delle Corti islamiche locali, che nel frattempo si affiliano alla rete di al Qaida. Nel 2006 il governo provvisorio somalo viene costretto a scendere a patti con l'Unione delle Corti islamiche, che controllano di fatto ampie regioni tra cui la stessa Mogadiscio e minacciano di espandersi verso altre città e le stesse regioni autonome del Somaliland e del Puntland, fino a quel momento caratterizzate da maggiore stabilità. A seguito della revoca dell'embargo delle armi al governo federale somalo da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la guerra civile entra in una nuova fase, che vede opporsi le milizie delle Corti islamiche a quelle leali al governo provvisorio di Baidoa, sostenute anche dall'Etiopia e dagli Stati Uniti, nel contesto della guerra al terrorismo e ad al-Qāʿida. Il primo ministro Ali Mohamed Ghedi si dimette a fine 2007 ed il nuovo capo del governo Nur Hassan Hussein (1938- ) si insedia a Mogadiscio nel 2008, mentre una fazione moderata dell'Unione delle Corti Islamiche, costituitasi come partito politico nell'Alleanza per la Riliberazione della Somalia (ARS) sotto la guida di Sharif Sheikh Ahmed (1964- ), stipula col governo di transizione un accordo di pace a Gibuti, che prevede il coinvolgimento nel governo anche degli esponenti più moderati delle Corti islamiche. A seguito di ciò il presidente Abdullahi Yusuf Ahmed (1934-2012) si dimette e le elezioni presidenziali nel 2009 verranno vinte dallo stesso Sharif Sheikh Ahmed, leader dell'ARS. Il 1° agosto 2012 l'Assemblea Nazionale Costituente approva la nuova Costituzione della Somalia, frutto dell'accordo tra il presidente Sharif Sheick Ahmed, il Primo Ministro Abdiweli Mohamed Ali (1965- ), il Presidente del Parlamento Sharif Hassan Sheikh Aden (1954- ), il Presidente del Puntland Abdirahman Mohamed Farole (1945- ), il Presidente del Galmudugh (4) Mohamed Ahmed Alim, ed il rappresentante del movimento paramilitare sufi anti-Shabaab, Ahlu Sunnah Waljama'a (5), Khalif Abdulkadir Noor. Nasce così la Repubblica Federale di Somalia. Alle elezioni presidenziali del 16 settembre 2012, risulta eletto Hassan Sheikh Mohamud (1955- ). Secondo l'ONU, alla fine del 2012 il governo centrale controllava circa l'85% del territorio nazionale, grazie anche al processo di ricostituzione della polizia e dell'esercito. Nel 2013 sono ripresi i colloqui di riconciliazione tra il governo centrale di Mogadiscio e quello della regione settentrionale del Somaliland, che rivendicava l'indipendenza dal 1991. Infine l’’8 febbraio 2017 Mohamed Abdullahi Mohamed viene eletto dal parlamento alla presidenza dello Stato Federale e il successivo 16 febbraio si insedia ufficialmente, nominando Hassan Ali Kheyre (1968- ) a capo dell’esecutivo il 23 febbraio. Le prossime elezioni sono previste nel corso del 2020. Uno del Paesi più poveri del mondo La Somalia fa parte dei 15 stati più poveri al mondo con un PIL di 549 dollari per abitante. Una delle caratteristiche dell’economia somala è la dipendenza dalla sua diaspora. Ogni anno sono circa 2 miliardi di dollari che vengono inviati dagli emigrati nel paese, ovvero un terzo del PIL somalo, valutato intorno ai 6,2 miliardi di dollari nel 2016. Un simbolo della debolezza strutturale dell’economia somala, che non è assolutamente in condizioni di lottare da solo contro i flagelli cui va incontro periodicamente il paese. A seguito della carestia del 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha valutato che circa 6,2 milioni di somali (poco meno della popolazione totale) aveva bisogno di un aiuto umanitario urgente. I bambini sono i primi ad essere toccati dalla crisi e circa 1,2 milioni di essi soffre di malnutrizione. Nel mese di gennaio del 2018, l’OMS e l’UNICEF hanno sostenuto il governo somalo per realizzare una campagna di vaccinazione di 5 milioni di bambini contro il morbillo. Questo intervento è stata la conseguenza del bilancio catastrofico del 2017, in cui diverse epidemie hanno devastato il paese; in tale contesto circa 100 mila persone avrebbero perso la vita per il colera ed il morbillo. Sembra tuttavia intravvedere alcuni fattori positivi per la Somalia, come le elezioni pacifiche che si sono svolte nel 2017, che hanno designato il nuovo presidente. Nel periodo sono stati creati diversi Stati federali autonomi per far fronte alle numerose attese separatiste ed è stato impostato un piano nazionale di sviluppo per rispondere agli imperativi della ricostruzione e dello sviluppo del paese. Ma le prospettive di sviluppo economico rimangono incerte, a causa dell’instabilità politica che determina numerose conseguenze sullo stato del paese. Per esempio, la Banca centrale della Somalia non stampa più banconote dal 1991, non è in condizione di controllare il tasso di cambio né l’emissione dello scellino somalo, che viene stampato per entità private. La raccolta fiscale risulta quasi impossibile, poiché lo stato centrale non controlla il territorio che rivendica e questo da almeno 25 anni. Infine, l’economia somala interna si basa per circa il 60% sull’allevamento e l’agricoltura (6) ed il paese rimane pertanto dipendente dalle condizioni climatica, spesso sfavorevoli. Una sfida di sicurezza e di stabilità regionale Il Corno d’Africa è una regione instabile, composta da Somalia, Eritrea, Gibuti, dominato dall’Etiopia ed i suoi 105 milioni di abitanti, tuttavia in posizione geografica interna agli stati precedentemente citati. Se la Somalia ha un ruolo da giocare nella sicurezza della regione, essa potrebbe ugualmente contare sull’attrattiva, attuale e futura, dell’Etiopia, secondo paese più popoloso dell’Africa, le cui prospettive risultano positive (7). La storia difficile fra i due paesi, connessa con la guerra dell’Ogaden (1978-79) è una delle cause del sostegno crescente etiopico alla regione separatista del Somaliland. Sebbene Addis Abeba non ne abbia riconosciuto l’indipendenza, gli investimenti etiopici nella regione risultano in netta crescita con il recente sviluppo del porto di Berbera, aiutato anche dagli investimenti degli Stati del Golfo. A breve termine, Berbera potrebbe diventare il secondo parto più importante del Corno d’Africa, dietro a quello di Gibuti, approfittando dell’instabilità del resto del territorio somalo e della chiusura esistente fino a poco tempo fa dell’Eritrea. di fatto il recente accordo del 24 agosto 2018 firmato a Gedda fra Abiy Ahmed Alì (1976- ), per l’Etiopia ed Isaias Afwerki (1946- ), per l’Eritrea apre nuove positive prospettive di sbocco per l’economia di Addis Abeba. Sul piano sicurezza, l’Unione Africana cerca di sradicare il jihadismo somalo per mezzo della sua missione militare (AMISOM), iniziata nel corso del 2007, con l’avallo del consiglio di sicurezza dell’ONU. Oggi, la missione mobilita più di 20 mila soldati che lottano sul territorio contro gli islamisti Shebab. Questi ultimi che sono emersi durante la guerra civile del 2006, non si limitano al territorio somalo. Essi hanno, di fatto, rivendicati diversi attentati nel Kenia, in particolare nel Centro Commerciale Westgate di Nairobi nel 2013 (68 vittime) e quello dell’università di Garissa nel 2015 (147 vittime): L’insicurezza della Somalia è dunque un vettore di instabilità per i suoi vicini e per la regione in generale; essa limita gli scambi economici e, conseguentemente, lo sviluppo della zona. Nonostante il ritiro delle truppe americane nel 1993, gli USA partecipano oggi alla lotta contro Shebab, nel contesto della “lotta al terrorismo” ed hanno regolarmente fatto ricorso, per mezzo di droni, a bombardamenti aerei. Gli atti di pirateria di fronte alle coste somale costituiscono una ulteriore fonte di inquietudine. Questi hanno fortemente destabilizzato il trasporto marittimo locale ed internazionale nel 2005 e nel 2012. Per far fronte a questo pernicioso fenomeno è stato organizzato un pattugliamento marittimo sotto l’egida dell’Unione Europea, della NATO (fino al 2016), ma anche delle marine russe, cinesi, indiana, sud coreana e tutte queste iniziative hanno permesso di diminuire sensibilmente gli atti di pirateria fino a contenerli totalmente nel corso del 2016 (8). La Cina, in particolar modo, possiede notevoli interessi in questa regione del Corno d’Africa, poiché ha installato, nel corso del 2015, una base militare a Gibuti. Altri provvedimenti tendenti a neutralizzare questo flagello rappresentato dalla pirateria: l’utilizzazione di società private di sicurezza a bordo delle navi e la creazione nel 2009, di un corridoio di passaggio dal mare di Aden al Mar Rosso, l’IRTC (Internationally Recommanded Transit Corridor). Ma questo “contenimento” ha un costo non irrilevante (ogni anno circa 300 milioni di dollari vengono dedicati all’Operazione europea Atalanta) ed un limite, poiché gli atti di pirateria sono ripresi nel corso del 2017. Se il problema della pirateria sembrava risolto, esso non è evidentemente scomparso e risulterà in aumento nel caso che fossero sospesi i pattugliamenti. In un contesto regionale complesso, le prospettive di avvenire della Somalia rimangono incerte. Se la proliferazione jihadista e criminale sul territorio costituisce al momento lo scenario meno chiaro, lo sviluppo economico potrebbe rappresentare un primo passo verso la stabilizzazione del paese. Una soluzione politica che tenga conto delle diverse forze e clan del paese è, a corto termine, la sfida principale. Questa costituirebbe una assicurazione nelle prospettive di una riabilitazione di uno stato somalo unificato e stabile, comprendente o meno il Somaliland. E’ unicamente attraverso questo scenario che si potrà sradicare i gruppi jihadisti e mettere fine agli atti di pirateria. NOTE (1) Più correntemente denominato “Shebab”; (2) La Somalia ha conosciuto ben tre periodi di carestia in otto anni: nel 2011, nel 2014 e nel 2017; (3) Smith Stephen, Somalia: la guerra perduta dell’umanitario, Calmann-Levy, 1994; (4) Il Galmudugh è una regione della Somalia, costituita dalla metà meridionale del provincia di Gallacaio (Somalia), recentemente autodichiaratosi autonomo e attualmente sotto controllo del Governo Federale di Transizione (TFG). Confina a nord con il Puntland, a ovest con l'Etiopia e a sudest con il resto della Somalia; (5) Ahlu Sunna Waljama'a (ASWJ) é un gruppo paramilitare somalo composta da sufi moderati opposti agli islamisti radicali come Al-Shabaab. Essi combattono contro la possibilità che sia imposta ed introdotta nella vita del paese la Sharia ed il Wahhabismo. Essi vogliono, inoltre proteggere le tradizioni dei Sufi locali sunniti ed in genere le visioni religiose moderate. Durante la Guerra civile l’organizzazione ha cooperato con la dazione guidata da Mohamed Farrah Aidid; (6) Secondo il gruppo studi della Banca Africana di Sviluppo; (7) Secondo Global Economy Prospect, edito dalla Banca Mondiale, L’Etiopia sarebbe lo Stato dalla crescita economica più elevata nel 2017 con l’8,3% di aumento del PIL; (8) 160 attacchi nel 2011 per 7 attacchi nel 2013, 3 nel 2014 e zero nell’insieme degli anni 2015 e 2016.
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